Vincere

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Un film di Marco Bellocchio. Con Filippo Timi, Giovanna Mezzogiorno, Fausto Russo Alesi, Michela Cescon, Pier Giorgio Bellocchio.
continua»
Drammatico, durata 128 min. - Italia, Francia 2009. - 01 Distribution uscita mercoledì 20 maggio 2009. MYMONETRO Vincere * * 1/2 - - valutazione media: 2,98 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Vado a Cannes per presentare il mio film più antifascista

di Paola Zanuttini Il Venerdì di Repubblica

Il regista è in concorso con «Vincere», storia della donna che diede un bambino a Mussolini. Uno scandalo, soffocato, che portò madre e figlio a morire in manicomio. E una riflessione sul potere di sempre.
Marco Bellocchio si è innamorato di Ida Dalser perché era una seccatrice. Irresistibile, nel senso che non si arrese mai. Tragica, perché finì malissimo. Nella fossa comune del manicomio in cui l'aveva spedita Benito Mussolini che, avendola un tempo amata, non trovò altro modo per levarsela di torno. «È una di quelle donne per cui gli uomini alzano le spalle sospirando che se l'è cercata,
fosse stata un po' zitta e al suo posto, avrebbe potuto fare la bella vita. Invece no, è un'eroina anomala, tra melodramma e mito greco: un po' Antigone e un po' Medea. Una piccola donna antipatica, rompi-, e per non essere cancellata. Va contro il buon senso, suscita un orrendo sentimento di sufficienza, per questo mi ha esaltato».
Bellocchio si è innamorato di lei il 14 gennaio 2005, vedendo su RaiTre il documentario di Fabrizio Laurenti e Gianfranco Norelli II segreto di Mussolini, ricostruzione di una vicenda ignobile, risaputa e sottaciuta per quasi un secolo che, sebbene riesumata più volte con inchieste e libri, sembrava destinata a restare: un non detto della nostra Storia.
Il segreto è quello di Benito Albino Dalser Mussolini, primo e scomodissimo figlio maschio del Duce, nato nel 1915 dall'unione con Ida e, in seguito, internato come la madre in manicomio. Dove, a 26 anni, mori e fu sepolto, anche lui, in una fossa comune.
Il regista non ne sapeva niente: ha deciso di farci un film, Vincere, con Giovanna Mezzogiorno e Filippo Timi, unico titolo italiano in concorso a Cannes. Famiglia, identità, follia, potere, morale cattolica, ragion di Stato, rabbia. E il fascismo nelle sue forme pubbliche e private: sembra il compendio delle tematiche di Bellocchio. «Non vorrei sembrare retorico, ma un amico mi ha detto che è il film più antifascista che ha visto».
Il suo amico ha letto molte analogie con i nostri giorni?
«In una delle prime scene, Ida assiste, nel 1907, al dibattito in una Casa del Popolo fra il giovane Mussolini socialista e anticlericale è un sacerdote: discutono sull'esistenza di Dio, che lui nega. Poi, quando è rinchiusa nel manicomio di Pergine, sente alla radio l'annuncio della firma dei Patti Lateranensi. Mussolini sposò Ida in chiesa, ma poi, poco dopo la nascita di Albino, sposò, stavolta in municipio, anche Rachele, peraltro madre di Edda da cinque anni: questa è bigamia».
Pensa ai nostri ex liberi pensatori sposati in chiesa o ai pluri divorziati che si scagliano contro le unioni di fatto?
«Penso al cinismo. Ida aiutò molto Mussolini, vendette il suo salone di estetica a Milano per finanziarlo, ma lui poi scelse Rachele: era la moglie che ci voleva. Forse non aveva ancora prefigurato l'ideale della donna fascista, ma, da un certo punto in poi, la custode del focolare che parlava in dialetto era più funzionale alla sua ascesa di quanto non lo fosse Ida, così istruita e intraprendente. Per proteggere la sua immagine e la famiglia ufficiale, strappò Albino alla madre, facendolo adottare, mettendolo in collegio, impedendogli di dire chi fosse. E quando, prima Ida e poi il ragazzo, iniziarono a dar troppo scandalo con le loro richieste di riconoscimento, lì sacrificò. Mussolini usava tutto e tutti. Non fu lui a dire che gli serviva qualche migliaio di morti da gettare sul tavolo della pace?».
Qualcuno ci vedrà il cinismo della nuova politica italiana, che usa tutto per il consenso.
«Riproporre l'asse Mussolini-Berlusconi mi sembra banale, trovo più interessante chiedersi come mai l'Italia allora accettò questa situazione. Parlando con Sergio Luzzatto, che ha scritto quel bellissimo libro, Il corpo del duce, è emerso chiaramente che Mussolini intuì la potenza dell'immagine...».
Riecco l'asse.
«Attenzione. La conquista del potere attuata da Mussolini anche attraverso la potenza della sua immagine è un fatto. Aveva uno stile nuovo rispetto ai politici con la barba lunga del tempo: rasato, fisico, seduttore. Ma la grande differenza rispetto a oggi è che lui, sebbene legittimato in qualche modo dal re, si impose con una dittatura e gli orrori che l'accompagnarono. Adesso assistiamo al trionfo dell'immagine in senso lato, un'immagine controllata da una certa parte, ma questo avviene in una specie di regime democratico. La gente può ancora parlare, votare. Ma c'è un regime. Democratico». Filippo lini ha un'aria innegabilmente simpatica: il suo Mussolini non è un po' troppo seduttivo, oltre che seduttore? «Nell'ultima parte del film abbandoniamo il Filippo Timi bello e accattivante e passiamo al Duce reale, quello dei filmati di repertorio.
Filippo torna nel ruolo del figlio Benito Albino da giovane: la somiglianza trai due, del resto, era impressionante. Il ragazzo faceva l'imitazione del padre a scuola».
Un film con il Duce non rischia di sembrare una fiction storica?
«Di quelle che quando compare uno famoso si dice "Ciao Togliatti" per far capire chi è? Sì, la sfida era questa: trovare una forma che tenesse conto dei limiti produttivi, neanche stretti per la media italiana, sette milioni di euro, e utilizzare con uno stile non troppo illustrativo il repertorio. Ci sono immagini anche notissime che abbiamo cercato di elaborare in modo originale: il montaggio è fondamentale in questo film. Detto questo, i film assomigliano sempre più ai prodotti per la tv e non solo in termini formali».
Ci spieghi.
«L'ideologia e la censura televisiva hanno reso mediocre il cinema. Una volta in un film si potevano dire cose
che non si potevano dire in tv, ma oggi, visto che questa è il medium principale, il circuito principale, la produzione principale, se voglio fare un film di un cerio costo devo sviluppare la metafora, l'allusione, perché la televisione ha le sue regole. Oppure faccio un film indipendente a basso costo e, visto che con le nuove tecnologie il cinema si è molto democratizzato, questo è possibile, ma poi chissà che distribuzione trovo... Viviamo nell'ipocrita paradosso per cui in tv non possono passare film che un bambino non possa vedere, ma centinaia di migliaia di italiani si sparano un porno sul satellite o sul web prima di andare a dormire».
A 26 anni, con «I pugni in tasca», lei fece il debutto più arrabbiato del cinema italiano. A settanta che si fa della rabbia?
«La rabbia è già qualcosa, ma da sola non basta, porta alla sconfitta. L'importante è salvare la libertà».
È salva, la libertà?
«Non tutto è perduto». Da Il Venerdì di Repubblica, 1 maggio 2009

di Paola Zanuttini, 1 maggio 2009

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