Pellicola cupa e nei colori e nelle atmosfere. Nella Napoli di Terracciano non si canta né si ride; la tanto famosa allegria campana non c'è, al contrario c'è la solitudine, solitudine in famiglia e fuori. Il filo rosso del film è il gioco che a volte può essere al servizio di una nobile causa come i preparativi di un matrimonio (e al Sud infatti in molti la pensano così), altre paradossalmente utile a salvarsi dalle sue stesse conseguenze. Seppure con alcuni difetti di sceneggiatura (che poteva essere riassemblata in modo un po' più scorrevole) resta uno splendido affresco psicologico supportato da recitazioni sublimi. Se Castellitto deve rinunciare alla sua parte giocosa e mattacchiona per privilegiare il lato oscuro della sofferenza (e del riscatto), la Gedeck con il suo accento tedesco è di una intensità pari a quella della Magnani in un rapporto di coppia molto credibile. Tra di loro c'è feeling e si vede. Che altro dire: musiche bellissime e soprattutto la poesia di Sbarbaro di cui vale la pena riportare il testo perché essenziale per la comprensione del film, ROVINATO DA UN TITOLO FALSO E FUORVIANTE. Vorrei proprio conoscere chi ha inventato questo slogan pubblicitario...
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marezia
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domenica 20 settembre 2009
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p.s.
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Becattini ha in linea di massima ragione nel senso che è vero che il contesto che circonda Castellitto è poco costruito però dimentica (o non ha capito) che questa non è una storia sulla famiglia ma su UN GIOCATORE, sulla solitudine di un giocatore. Si potrebbe dire anzi, di un giocatore tra giocatori perché se il figlio frequenta con lui la bisca che lo vede continuamente perdere anche la moglie ha una certa inclinazione mai portata alla ribalta della scena ufficiale e che le permetterà, una volta scoperto il dramma in cui sono precipitati, di sostituirsi al marito e di arrivare ad un passo dalla salvezza. E' quindi nella seconda parte che il film diventa corale e il legame di sangue che la poesia di Sbarbaro esplicita ricompatta tutti.
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Becattini ha in linea di massima ragione nel senso che è vero che il contesto che circonda Castellitto è poco costruito però dimentica (o non ha capito) che questa non è una storia sulla famiglia ma su UN GIOCATORE, sulla solitudine di un giocatore. Si potrebbe dire anzi, di un giocatore tra giocatori perché se il figlio frequenta con lui la bisca che lo vede continuamente perdere anche la moglie ha una certa inclinazione mai portata alla ribalta della scena ufficiale e che le permetterà, una volta scoperto il dramma in cui sono precipitati, di sostituirsi al marito e di arrivare ad un passo dalla salvezza. E' quindi nella seconda parte che il film diventa corale e il legame di sangue che la poesia di Sbarbaro esplicita ricompatta tutti. Becattini dovrebbe dedicarsi all'horror visto che a volte l'ho trovato da quelle parti perché dare 2 stelle e 1/2 è da incapaci.
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marezia
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mercoledì 23 settembre 2009
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p.s. 2
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E soprattutto Becattini non mette in evidenza la bravura di Castellitto il quale appare dalle sue parole un attore dalla performance mediocre e responsabile del risultato complessivo del film: una sufficienza stiracchiata. Eh Becattini... A parte che il film si apre sulla scena del fido bancario quindi l'antefatto che Becattini racconta NON ESISTE e anzi, i personaggi in sostanza nemmeno si parlano chiusi come sono in loro stessi. Essi sono presentati dal regista singolarmente, in scene quasi giustapposte, TUTTO si desume via via fino alla resa dei conti in seguito al taglio della luce, conseguenza dell'ennesima bugia da parte del padre di famiglia. Ma Becattini a che cosa stava pensando?
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edo_mymovies
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giovedì 24 settembre 2009
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critica alla critica
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Accolgo le tue critiche alla critica, marezia. Solo una precisazione però: non attribuisco affatto a Castellitto le ragioni della modestia del film, sia ben chiaro. Non è la sua performance ad essere mediocre, tutt'altro, bensì il personaggio di Franco Campanella che, grazie anche alla straordinaria grazia del suo attore, si iscrive di diritto nella grande tradizione degli inetti narrati da Marotta o da Zavattini.Quel che biasimo a Terracciano è piuttosto che, nel processo di umanizzazione del meschino Franco, non sia riuscito a costruire per lui un microcosmo altrettanto efficace a reggere il peso delle tematiche della sua storia (la frenesia dell'azzardo, i rapporti familiari, lo spazio del reale di Napoli).
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Accolgo le tue critiche alla critica, marezia. Solo una precisazione però: non attribuisco affatto a Castellitto le ragioni della modestia del film, sia ben chiaro. Non è la sua performance ad essere mediocre, tutt'altro, bensì il personaggio di Franco Campanella che, grazie anche alla straordinaria grazia del suo attore, si iscrive di diritto nella grande tradizione degli inetti narrati da Marotta o da Zavattini.Quel che biasimo a Terracciano è piuttosto che, nel processo di umanizzazione del meschino Franco, non sia riuscito a costruire per lui un microcosmo altrettanto efficace a reggere il peso delle tematiche della sua storia (la frenesia dell'azzardo, i rapporti familiari, lo spazio del reale di Napoli). Dove tu vedi 'uno splendido affresco psicologico', a mio avviso c'è invece più di un difetto strutturale che fa sì che un racconto sulla solitudine di un giocatore e l'affetto della sua famiglia deleghi solo al citazionismo, per quanto alto, e ad un funzionale accompagnamento musicale, la sua componente di emotività.Cordialmente,Edoardo Becattini
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