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Una catastrofe colpisce la terra. A sopravvivere sono in pochissimi, tra cui un uomo (Mortensen) e suo figlio (Smit-McPhee); i due vanno verso sud, in cerca di una speranza della cui esistenza non sono certi. Padre e figlio vagano perciò per le desolate lande dell’America, lottando per la sopravvivenza. L’adattamento di Joe Penhall del romanzo premio Pulitzer di Cormac McCarthy gli è abbastanza fedele in tutto pur prendendosi qualche libertà, ad esempio il personaggio della madre (Theron) nel romanzo è solo accennato, mentre nel film ha una discreta importanza. È un film sul rapporto padre-figlio, un tragico melodramma sulla sopravvivenza, oltre che un film sull’educazione di un figlio da parte di un padre. Con quasi sempre solo due attori in scena, la regia di Hillcoat è di scarna eleganza, di estrema funzionalità e, anche se mai degna di eccessiva attenzione, la rappresentazione fredda dei paesaggi è degna di nota. Imperniato sulle due interpretazioni di grande intensità di Mortensen e del giovane Smit-McPhee, è un film di silenzi, di sguardi e di serate passate attorno al fuoco a riflettere sul senso di una catastrofe senza nome e spiegazione. C’è l’indagine del dolore, in particolare legato alla perdita della madre, ma anche della violenza, della pietà e del perdono. Film commovente ma allo stesso tempo di crudo realismo, degno del miglior cinema indipendente americano. Ottima fotografia, tutta sulle tonalità del grigio e del marrone, di Javier Aguirresarobe. Musiche: Nick Cave e Warren Ellis.
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recensioni di critica, pubblico e dizionari.
