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giovedì 23 aprile 2009
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gli eroi di oggi
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Il film consiste in un reportage sul lavoro di una squadra di poliziotti - gli eroi di oggi, appunto - che ogni notte con estrema abnegazione compiono l'importante missione di combattere lo spaccio di droga in una grande città come Milano. Matteo Gatti è un famoso giornalista che, in seguito alla morte del figlio Marco per overdose (come si suppone), decide di unirsi a questa squadra di agenti, alla ricerca di risposte, alla ricerca di un possibile colpevole. Lo accompagna l'incredibile senso di colpa di non essere stato un buon padre, e forse nemmeno un buon marito per la compagna Sveva, in attesa di un altro bambino.
"Sbirri" non dice nulla di nuovo: diversi sono i reportage e le denunce verso il fenomeno dilagante e preoccupante della droga, che colpisce ormai anche il mondo dei giovani e giovanissimi, questi ragazzi "senza valori" in cerca di nuovi stimoli e divertimenti per movimentare la loro oziosa adolescenza.
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Il film consiste in un reportage sul lavoro di una squadra di poliziotti - gli eroi di oggi, appunto - che ogni notte con estrema abnegazione compiono l'importante missione di combattere lo spaccio di droga in una grande città come Milano. Matteo Gatti è un famoso giornalista che, in seguito alla morte del figlio Marco per overdose (come si suppone), decide di unirsi a questa squadra di agenti, alla ricerca di risposte, alla ricerca di un possibile colpevole. Lo accompagna l'incredibile senso di colpa di non essere stato un buon padre, e forse nemmeno un buon marito per la compagna Sveva, in attesa di un altro bambino.
"Sbirri" non dice nulla di nuovo: diversi sono i reportage e le denunce verso il fenomeno dilagante e preoccupante della droga, che colpisce ormai anche il mondo dei giovani e giovanissimi, questi ragazzi "senza valori" in cerca di nuovi stimoli e divertimenti per movimentare la loro oziosa adolescenza. Gli intenti sono tuttavia buoni e il problema sociale viene efficacemente presentato sotto forma di docu-fiction (mixture di documentario e finzione) dall'interno, dal punto di vista di un padre e di una madre addolorati per la sorte del loro figlio e da quello di un squadra di poliziotti ("Quindici pasticche sequestrate potrebbero essere quindici vite salvate", diceva uno di loro). Evidente il plauso, giustissimo, al nobile lavoro di questi ultimi.
Il film, che si chiude sotto il segno della speranza con un commovente finale sulle note di "I miss you" di Lidia Schillaci, lascia l'amaro in bocca e il solito insistente interrogativo: come è possibile, a 16 anni, perdere la vita per una pastiglia di droga presa così, quasi per scherzo?
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fides italica
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mercoledì 15 aprile 2009
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solo una piccola parte della realtà della droga
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A parte il giramento di testa che creano le riprese (volutamente) mosse, il film fa vedere una piccola parte della realtà della droga, in questo caso a Milano. Dico piccola perché in fondo vengono fatti vedere solamente gli appostamenti dell'U.O.C.D. e l'arresto dei ragazzi spacciatori.Sulle conseguenze psicologiche e fisiche che subiscono coloro che fanno uso di droga nemmeno l'ombra, eccezion fatta per una scena in cui una farmacologa mostra un'immagine delle terminazioni nervose di un consumatore di "Bamba" (come viene chiamata la coca a Milano) completamente bruciate dopo una sola settimana. Forse il film mostra meglio cosa succede a una famiglia che ha subito la morte di un figlio per aver assunto una pasticca che le conseguenze devastanti che ha la droga stessa su chi la utilizza.
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ultimoboyscout
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mercoledì 10 ottobre 2012
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vero, ma finto.
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Raoul Bova interpreta il giornalista d'assalto Matteo Gatti che riesce ad entrare nella squadra della Polizia di Stato che si occupa di criminalità diffusa, a seguito della morte del figlio dopo l'assunzione di una pastiglia di ecstasy. Animato da un fortissimo senso di colpa, cercherà di ripercorrere i passi del figlio e di capire cosa e come sia successo. Oltre un'ora e mezza di spot pubblicitario sociale e pedagogico, didattico, che ha ben poco di un film e più di un documento in bilico tra realtà e finzione. E proprio su questi due livelli si basa la storia, divisa tra esempi positivi in un contesto difficile. Per rendere il tutto particolarmente veritiero, il registo fa largamente uso di videocamere in alta definizione leggere e facilmente trasportabili e occultabili che permettono le riprese di veri poliziotti in azione, che sono gli stessi che danno il titolo all'opera di Burchielli, specialista in lavori di genere.
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Raoul Bova interpreta il giornalista d'assalto Matteo Gatti che riesce ad entrare nella squadra della Polizia di Stato che si occupa di criminalità diffusa, a seguito della morte del figlio dopo l'assunzione di una pastiglia di ecstasy. Animato da un fortissimo senso di colpa, cercherà di ripercorrere i passi del figlio e di capire cosa e come sia successo. Oltre un'ora e mezza di spot pubblicitario sociale e pedagogico, didattico, che ha ben poco di un film e più di un documento in bilico tra realtà e finzione. E proprio su questi due livelli si basa la storia, divisa tra esempi positivi in un contesto difficile. Per rendere il tutto particolarmente veritiero, il registo fa largamente uso di videocamere in alta definizione leggere e facilmente trasportabili e occultabili che permettono le riprese di veri poliziotti in azione, che sono gli stessi che danno il titolo all'opera di Burchielli, specialista in lavori di genere. Gli sbirri improvvisati attori funzionano decisamente bene, anzi sono una delle pochissime cose a funzionare e piacere, il resto sembra un videoclip dal montaggio tarantolato e dallo stile che va oltre il realistico con tanti flashback che servono a poco e non portano a nulla. Senza contare che il livello di melò raggiunge picchi assolutamente patetici, con Bova che non sempre appare al posto giusto ed una confezione da reality, da Pubblicità Progresso e da fiction televisiva piuttosto che da film. Il problema della droga viene quindi semplificato, come se bastasse dire "non si fa!" senza spiegare però perchè si fa. Vanno comunque apprezzati sincerità e coraggio dell'opera e di Bova ma anche dei poliziotti che si dimostrano persone normalissime e lavoratori onesti, ben diversi dai poliziotti supereroi dei film e delle troppe fiction fasulle di genere, gente disposta a rischiare grosso per amore del proprio lavoro e per il bene della comunità. Non centra il bersaglio, non c'è denuncia ma piuttosto critica da salotto buono.
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martedì 21 aprile 2009
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gli eroi di oggi
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Il film consiste in un reportage sul lavoro di una squadra di poliziotti - gli eroi di oggi, appunto - che ogni notte con estrema abnegazione compiono l'importante missione di combattere lo spaccio di droga in una grande città come Milano. Matteo Gatti è un famoso giornalista che, in seguito alla morte del figlio Marco per overdose (come si suppone), decide di unirsi a questa squadra di agenti, alla ricerca di risposte, alla ricerca di un possibile colpevole. Lo accompagna l'incredibile senso di colpa di non essere stato un buon padre, e forse nemmeno un buon marito per la compagna Sveva, in attesa di un altro bambino.
"Sbirri" non dice nulla di nuovo: diversi sono i reportage e le denunce verso il fenomeno dilagante e preoccupante della droga, che colpisce ormai anche il mondo dei giovani e giovanissimi, questi ragazzi "senza valori" in cerca di nuovi stimoli e divertimenti per movimentare la loro oziosa adolescenza.
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Il film consiste in un reportage sul lavoro di una squadra di poliziotti - gli eroi di oggi, appunto - che ogni notte con estrema abnegazione compiono l'importante missione di combattere lo spaccio di droga in una grande città come Milano. Matteo Gatti è un famoso giornalista che, in seguito alla morte del figlio Marco per overdose (come si suppone), decide di unirsi a questa squadra di agenti, alla ricerca di risposte, alla ricerca di un possibile colpevole. Lo accompagna l'incredibile senso di colpa di non essere stato un buon padre, e forse nemmeno un buon marito per la compagna Sveva, in attesa di un altro bambino.
"Sbirri" non dice nulla di nuovo: diversi sono i reportage e le denunce verso il fenomeno dilagante e preoccupante della droga, che colpisce ormai anche il mondo dei giovani e giovanissimi, questi ragazzi "senza valori" in cerca di nuovi stimoli e divertimenti per movimentare la loro oziosa adolescenza. Gli intenti sono tuttavia buoni e il problema sociale viene efficacemente presentato sotto forma di docu-fiction (mixture di documentario e finzione) dall'interno, dal punto di vista di un padre e di una madre addolorati per la sorte del loro figlio e da quello di un squadra di poliziotti ("Quindici pasticche sequestrate potrebbero essere quindici vite salvate", diceva uno di loro). Evidente il plauso, giustissimo, al nobile lavoro di questi ultimi.
Il film, che si chiude sotto il segno della speranza con un commovente finale sulle note di "I miss you" di Lidia Schillaci, lascia l'amaro in bocca e il solito insistente interrogativo: come è possibile, a 16 anni, perdere la vita per una pastiglia di droga presa così, quasi per scherzo?
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mark race
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mercoledì 15 aprile 2009
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dov'è la denuncia?
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Prima di tutto devo esprimere il mio totale dissenso ai commenti lasciati nel foum. Credo infatti che questo film non sia un film di denuncia, in quanto non comunica nulla che non sia già stato detto dai vari documentari e tg televisivi che da anni informano gli italiani su queste tematiche. Per di più il problema della droga è visto dal classico punto di vista di chi la combatte e questo non può che comportare una totale incapacità di coinvolgimento da parte dei giovani.
Inoltre ritengo che la morte di Marco (figlio del protagonista) non sia in grado di dare al film quella forza che avrebbe invece dato un'attenta analisi degli effetti che le droghe sintetiche procurano sulla salute fisica e mentale di un ragazzo.
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Prima di tutto devo esprimere il mio totale dissenso ai commenti lasciati nel foum. Credo infatti che questo film non sia un film di denuncia, in quanto non comunica nulla che non sia già stato detto dai vari documentari e tg televisivi che da anni informano gli italiani su queste tematiche. Per di più il problema della droga è visto dal classico punto di vista di chi la combatte e questo non può che comportare una totale incapacità di coinvolgimento da parte dei giovani.
Inoltre ritengo che la morte di Marco (figlio del protagonista) non sia in grado di dare al film quella forza che avrebbe invece dato un'attenta analisi degli effetti che le droghe sintetiche procurano sulla salute fisica e mentale di un ragazzo. Oltre a ciò non sono analizzate le cause che possono portare un giovane a spacciare e a fare uso di sostante stupefacenti e non si spiega quali sono le strade che la droga percorre per insinuarsi nella vita di ragazzo.
Ritengo inoltre una pessima trovata quella di usare la camera a mano in ogni scena del film, sia essa fiction o documentario. Le riprese mosse e in continuo movimento nelle scene familiari non permettono la catarsi allo spettatore che per più di un'ora e mezza sente il forte peso della finzione e di chi sta dietro la macchina da presa. Per di più ho trovato di pessimo gusto l'effetto scia presente nelle scene più drammatiche che richiama inevitabilmente lo stile delle telenovelas di peggior qualità. Come se non bastasse nelle scene di maggiore pathos sono presenti dei continui e vorticosi movimenti di macchina che distraggono lo spettatore dalle moti interiori del personaggio.
Non ho riscontrato la forte suspense che ha colpito altri nel forum e se devo essere sincero la sola cosa che mi ha colpito è stata la noiosa e angosciosa petulanza del capo del protagonista, che attraverso le continue chiamate diventa quasi un incubo per lo spettatore.
Purtroppo devo dirmi totalmente deluso per questo film che non insegna niente di nuovo e che non ha i requisiti per essere ritenuto un film di denuncia e soprattutto per allontanare un ragazzo dal mondo della droga. A parer mio è un semplice poliziesco poco coinvolgente e niente di più.
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persellesco
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domenica 17 maggio 2009
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realtà da film
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REC:
La verosomiglianza tra un film è la realtà spetta al regista come qualità principale del suo lungo lavoro, specialmente se trattandosi di argomentazioni riprese piuttosto da veri espedienti di vita. Quale modo migliore allora se non quello di gettarsi in pieno (sfruttando spesso l'amatorialità delle inquadrature) proprio in quelle situazioni che non essendo frutto di un copione restano prettamente registrate nel corso di un evento reale? Gli attori sono dunque spesso liberi da dialoghi costrittivi, essendo loro stessi in prima persona partecipi di situazioni assolutamente non prescritte dai dialoghi delle loro sceneggiature. Questo fa dunque si che la verosomiglianza con la realtà dei fatti non scenda a compromessi con il tentativo di raggiungere quella sincerità che rende di un film il suo punto focale, permettendo agli attori, molte volte, di muoversi solo a seconda della situazione in cui si vengono a trovare.
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REC:
La verosomiglianza tra un film è la realtà spetta al regista come qualità principale del suo lungo lavoro, specialmente se trattandosi di argomentazioni riprese piuttosto da veri espedienti di vita. Quale modo migliore allora se non quello di gettarsi in pieno (sfruttando spesso l'amatorialità delle inquadrature) proprio in quelle situazioni che non essendo frutto di un copione restano prettamente registrate nel corso di un evento reale? Gli attori sono dunque spesso liberi da dialoghi costrittivi, essendo loro stessi in prima persona partecipi di situazioni assolutamente non prescritte dai dialoghi delle loro sceneggiature. Questo fa dunque si che la verosomiglianza con la realtà dei fatti non scenda a compromessi con il tentativo di raggiungere quella sincerità che rende di un film il suo punto focale, permettendo agli attori, molte volte, di muoversi solo a seconda della situazione in cui si vengono a trovare. E' questo il caso di un film stra-documentato anche per mezzo di svariati programmi televisivi, dedito a mostrare agli occhi del pubblico il come ed il quando di un azione anti-droga, sotto gli occhi di telecamere benchè attente, amatoriali. Sbirri è la storia di Matteo Gatti (Raoul Bova), un giornalista che perde suo figlio a causa di una pasticca di ecstasy. E' il momento in cui, preso dal dolore per la morte (stupida) del figlio, decide di svolgere un inchiesta sull'argomento e viene accolto nella Squadra Speciale di Polizia, diretto verso Milano. Spinto dal desiderio di trovare un colpevole o perlomeno le cause dell'uso di droghe fra i giovani, non tralasciando tutti i dubbi del suo essere padre si ritrova ben presto a confondersi fra la massa, scoprendo quanto neanche immaginava, mentre i tutti i motivi per il quale era in cerca di risposta cominciano pian piano ad aumentare incontrollabilmente. Migliaia di ragazzi sono sedotti da questo vizio "di moda", coprendo tutte le classi sociali. Raoul ha l'opportunità di partecipare così a vere azioni antidroga, scoprendo e dunque anche svelando con grande ammirazione la vita dei poliziotti che svolgono il mestiere, mettendo in scena arresti e interrogatori puramente reali, aumentando la sincerità del film stesso. Un film interessante senz'altro, a metà fra il documentario e la finzione, dedicato a tutti per un emergenza mondiale.
"La neve a Milano non è più un emergenza meteorologica, ma sociale. La neve qui, è la coca."
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mauro b
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mercoledì 15 aprile 2009
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7€ buttati
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Premetto che il problema droga è un problema veramente drammatico.Ma questo film a me non è piaciuto per niente,non solo a me.Diversi spettatori sono usciti dalla sala durante la proiezione,il film è stato girato come se fosse un documentario,l'ho trovato scontato e quasi banale.Il finale poi quando nasce il bambino,sembra che la coppia si sia dimenticata che il primo figlio è morto.Neanche fosse un cane che se muore si compra un altro e via
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