Il nastro bianco

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Un film di Michael Haneke. Con Christian Friedel, Leonie Benesch, Ulrich Tukur, Ursina Lardi, Burghart Klaußner.
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Titolo originale Das Weiße Band. Drammatico, b/n durata 144 min. - Austria, Francia, Germania 2009. - Lucky Red uscita venerdì 30 ottobre 2009. MYMONETRO Il nastro bianco * * * - - valutazione media: 3,40 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

LA LUCE ILLUMINA, MA PUÒ ABBAGLIARE. Valutazione 5 stelle su cinque

di THEOPHILUS


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martedì 26 novembre 2013

DAS WEISSE BAND
 
Alla fine della visione di Das Weisse Band, siamo stati colti da una particolare forma di sorpresa. Il film si tronca bruscamente alle parole della voce narrante che dichiara di non avere mai più visto nessuno degli abitanti del  paese di cui ha narrato le vicende accadute nel 1913.
Apparentemente Haneke sembra aver tradito la sua poetica che, come egli stesso ha affermato in altre circostanze, si attua in storie da lui raccontate senza l’ambizione di trasmettere messaggi.
Una dichiarazione che non nasce da falsa modestia, ma, riteniamo, dalla consapevolezza del cineasta del rischio sempre presente di cadere nella retorica dei moralismi.
Prendiamo a paragone uno dei film più riusciti di Haneke, Caché. Là, il male si nascondeva nelle pieghe di un sadismo forse autoreferenziale che il regista trasferiva sul pubblico allibito. Qui – Il nastro bianco, nelle sale italiane - è meno cosmico e più connesso alla cultura dell’uomo; dalla morbosità religiosa sfocia nella Storia con un percorso interpretativo che può lasciare perplessi, se si tiene conto della concezione poco sopra accennata.
C’è un'invisibile corda tesa fra due alberi che và a terminare dentro la Grande Guerra. Fra questi due estremi sentiamo il racconto di vicende fatto da un esegeta che, se non fosse il parto di un grande regista, potrebbe apparentarsi ad un grillo parlante che predichi col senno di poi.
Sennonché, questo male viene da lontano. Tale distanza, anziché renderlo evidente, ne ha consolidato il potere, ha addormentato le anime, accecato gli spiriti, corrotto le menti e guidato il destino dei più indifesi.
La perfida maestria di Haneke si realizza con un paradosso che, anche in questo caso, spiazza lo spettatore. Le parti del film e la sceneggiatura sono concatenate fra loro in un modo così chiaro da non  far nascere punti interrogativi in chi guarda e ascolta. Tutto è legato con una consequenzialità disarmante, le parole sono scandite con una tale precisione da non lasciare al pubblico alcuna possibile via di fuga, alibi o scappatoia per evitare di trarre conclusioni. Ogni frase è una conferma di quanto si è già colto dalle immagini e, a sua volta, s’innesterà con naturalezza in altre scene. Infine, registriamo la limpidità del bianco e nero della pellicola, esaltata dalla luce della neve e dalla pulizia, dalla precisione con cui Haneke filma persone e oggetti negli interni. Di conseguenza, il pesante sentimento di mistero che non abbandona mai il film diventa una formidabile arma, un contrappasso stridente e quasi inspiegabile che intimorisce. Finiamo allora coll’immetterci nel flusso del racconto senza accorgercene e colleghiamo il disagio di quel sentire alla minaccia della Storia che, così come si è  già srotolata imperturbabile nella cecità generale, allo stesso modo è sempre in agguato per l’uomo. Ecco dove sta, a nostro avviso, l’importanza e la moralità del film. Non tanto in una critica storica degli anni che portarono all’avvento del nazismo, quanto nella atterrita e forse rassegnata constatazione dell’ottusità umana di fronte a dati in apparenza lampanti.
La genuina originalità di Haneke è dunque preservata anche in questa circostanza. Se proprio vogliamo andare alla ricerca di possibili fonti, oltre a ritrovare Bergman, soprattutto nella rigida figura del pastore protestante, risaliamo anche alle gelide visioni pittoriche di un Münch o alla caustica penna del miglior Thomas Bernhard.
 
Enzo Vignoli
4 novembre 2009.
 

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