Chéri

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Un film di Stephen Frears. Con Michelle Pfeiffer, Kathy Bates, Rupert Friend, Felicity Jones, Iben Hjejle.
continua»
Drammatico, durata 100 min. - Gran Bretagna, Germania 2009. - 01 Distribution uscita venerdì 28 agosto 2009. MYMONETRO Chéri * * 1/2 - - valutazione media: 2,87 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Adesso amo quel bel ragazzo (che potrebbe essere mio figlio)

di Arianna Finos Il Venerdì di Repubblica

Una cinquantenne con un ventenne: in Chéri, il nuovo film di Stephen Frears tratto dal celebre romanzo di Colane, l'attrice interpreta, senza veli, una storia che fece scandalo. Negli anni Venti.
Non è impresa facile raccontare al cinema la carnale passione di una cortigiana cinquantenne per un debosciato ragazzotto, più giovane di tre decadi. Sono cambiati, è vero. I tempi in cui l'argomento era tabù nell'opinione pubblica. Per quanto sia sempre stato pacifico costume all'interno di ogni società, occidentale e non. Un conto, però, è certificarlo con crudele poesia, come ha fatto in più di un romanzo la scrittrice francese Colette negli anni denti, altro è portare gli slanci, gli amplessi e le mature nudità di una raffinata signora di mezzo secolo sul grande schermo. Stephen Frears ha giocato la sua carta vincente chiamando Michelle Pfeiffer, che aveva già diretto in Le relazioni pericolose. L'attrice è diventata icona di bellezza assoluta negli anni Ottanta e Novanta, affiancando, cocainomane, Al Pacino in Scarface, cantando sdraiata sul pianoforte di Jeff Bridges in I favolosi Baker, sfidando Batman, fasciata nel latex di Catwoman, e le convenzioni ipocrite della società vittoriana, in L'età dell'innocenza.
Incontrandola, oggi, la ritroviamo affusolata cinquantunenne capace di rendere credibile, se non inevitabile, la liaison raccontata in Chéri tra la cortigiana in pensione e il viziato rampollo di una amica e sodale, grandiosamente interpretata da Kathy Bates.
Signora Pfeiffer, qual è stata la sua prima reazione al libro di Colette?
«Ho letto prima la sceneggiatura del film. Avevo una grande dïffidenza nei confronti del romanzo. Pensavo mi ci sarei persa dentro e invece sono rimasta conquistata dallo stile accessibile e diretto, cosa che raramente trovo in un autore francese. L'ho letto e riletto cercando di coglierne ogni sfumatura, scoprendo nuovi significati, nuove sottili piccole storie nella storia. Poi ho affrontato il set con un misto di preoccupazione ed euforia».
Che cosa la spaventava?
«Il dover entrare nella mentalità di un'altra epoca, parlare un linguaggio differente. I dialoghi erano come balletti sincronizzati, tutta quella gentilezza verbale, quella formalità, sono lontane dal mio modo di esprimermi naturale. All'inizio non riuscivo nemmeno a memorizzare le battute, tanto ero impaurita».
Cosa, invece, l'affascinava?
«Il fatto che Colette sia riuscita a disegnare un ritratto di cortigiana estraneo a ogni stereotipo. Non una prostituta, ma una donna indipendente, raffinata, piena di dignità, onestà, gentilezza. Una figura moderna non solo per il suo tempo. Padrona di sé nella gestione di quell'affare tutto femminile, in un momento storico in cui le altre donne non avevano nessun controllo finanziario sulla propria vita». Rispetto al finale del libro, quello del film è dolceamaro, meno crudele con Léa. Imbarazzi?
«Penso se lo sia meritato. Si è concessa di credere in un sentimento, provato per la prima volta. Ha affrontato ridicolo e pregiudizi, sapendo che per lei sarebbe stata l'ultima chance d'amare. Per questo, anche con il cuore spezzato, può sentirsi in pace con se stessa».
In molte scene del film lei è a letto con il collega Rupert Friend, 28 anni.
«Non è stato proprio facile. Anche perché, prima, ci eravamo incontrati solo una volta. Abbiamo bevuto qualcosa in un bar, c'era anche la sua fidanzata, Keira Knightly, un'attrice che stimo molto e con la quale farei volentieri un film».
E suo marito, che è produttore televisivo, come ha reagito?
«Considerato che non è facile per un marito vedere la propria moglie impegnata a fare sesso con un giovanotto, anche se sul set, direi che ha superato bene questa bizzarra situazione. E il film gli è piaciuto».
L'anno scorso, quando recitava con Ashton Kutcher, giovane fidanzato di Demi Moore, lei dichiarò che non potrebbe mettersi con un ragazzo perché le sembrerebbe di rubargli la giovinezza. Conferma?
«Difficile rispondere. Sono felicemente sposata, non potrei immaginarmi coinvolta con altri. Ma penso che non sia affatto insolito per una donna matura innamorarsi di un uomo incredibilmente più giovane, e viceversa. Succede, eccome».
Che farebbe se suo figlio John, quattordicenne, s'innamorasse di una delle sue amiche?
«Sarei preoccupata, perché i vecchi pregiudizi ancora esistono. D'altra parte, bisogna lasciare i propri figli liberi di scegliere. Non so, penso onestamente che dipenderebbe dalla persona in questione».
A proposito di scelte, quando ha capito di voler fare l'attrice?
«Ho sempre avuto tanti interessi. La pittura, la scienza. Ancora oggi, quando non sono sul set, dipingo, soprattutto ritratti. E passo anche interi pomeriggi leggendo la sezione scientifica del New York Times: mi sono sempre immaginata, in un'altra vita, come uno di quegli studiosi da laboratorio. Il chiodo fisso, però, era recitare. Aspirazione temeraria, per una ragazza di Midway City, cittadina californiana del tutto estranea al mondo dello spettacolo. Per un periodo ho lavorato come cassiera di un supermercato. Poi, visto che avevo vent'anni, ho deciso che dovevo almeno tentare».
Candidandosi come reginetta di bellezza al concorso di Orange County.
«Sapevo che uno dei giudici era un agente, volevo farmi notare da lui. Infatti mi prese in agenzia e mi procurò i primi lavori, spot, piccoli ruoli televisivi. Mi sono trasferita a Los Angeles, dove è arrivato il primo ruolo da protagonista, in Grease 2. Non un film eccezionale, ma mi ha dato la possibilità di cantare. L'ho fatto anche in I favolosi Baker, recentemente in Hairspray. E non escludo musical in futuro».
Visto «Grease 2», Brian De Palma non voleva farle il provino per «Scarface».
«Che invece poi andò bene grazie al disastro che combinai con Al Pacino. Dovevamo provare la scena del ristorante: io dovevo rovesciare il tavolo, rompere piatti e bicchieri. Ero emozionata, mi scatenai troppo. A un certo punto iniziò a scorrere il sangue. Tutti vennero da me per controllare se ero ferita, io mi girai e vidi che era Al a sanguinare. Avrei voluto sparire. E invece credo di aver iniziato a piacergli proprio allora».
È stato Pacino a volerla anche in «Paura d'amare».
«Sì. Sul set di Scarface, vedendomi terrorizzata nell'interpretare un tipo di donna che semplicemente non capivo, mi diceva: tu limitati a guardarmi, penso io a recitare. E invece, chiamandomi per Paura d'amare, mi disse: ora sei; pronta, ma devi mettercela tutta. Sono stata fortunata: ho lavorato con i migliori, Pacino, De Niro, Redford, Nicholson, senza avere mai problemi sul set;, perfino con quelli che avevano una pessima reputazione. L'unica rapporto terribile è stato con il costume di Catwoman. Ci volevano ore per infilarlo. La prima volta ho pensato che, se non mi faceva respirare, figurarsi recitare. In più, la gomma si surriscaldava. Perciò dovevano raffreddare il set prima di ogni scena. Giravamo a Burbank, fuori era piena estate e, sul set, tutti in giacca e maglione».
Il suo collega e amico Val KiImer ha deciso di emulare Schwarzenegger entrando in politica. Lei ci ha mai pensato?
«No, è una scelta individuale che rispetto ma non condivido. Piuttosto, mi piacerebbe interpretarla al cinema una donna politica forte e di successo. Hillary Clinton, per esempio, che ammiro molto»:
Le sarebbe piaciuto vederla presidente degli Usa?
«Non è giusto essere elette solo perché donne. Credo che si debba, sempre, scegliere la persona più adatta a ricoprire un incarico. Quando, sedici anni fa, ho adottato mia figlia Claudia Rose, che è afroamericana, ho sentito intorno a me un inopportuno senso di sorpresa. E oggi, quando mi chiedono se anche per questo sono contenta dell'elezione di Obama, rispondo che il nostro presidente deve essere motivo di orgoglio per tutti noi americani, semplicemente perché abbiamo scelto la persona giusta».
Da Il Venerdì di Repubblica, 21 agosto 2009

di Arianna Finos, 21 agosto 2009

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