Bright Star

“Una poesia ha bisogno di comprensione attraverso i sensi. E’ un’esperienza oltre i pensieri. “ La regista Jane Campion fa tesoro di questa lezione Keatsiana, e dopo i premi internazionali per Lezioni di piano, ci allieta con questo suo ultimo viaggio nelle sensazioni. Un estasi visuale, una splendida e brillante poesia delle immagini per raccontare un tratto della breve vita di questo giovane artista romantico. Un precursore dei simbolisti come aveva ben intuito Oscar Wilde, sfortunato nel condividere insieme a tanti altri scrittori, la sorte di essere apprezzato dalla critica soltanto molti anni dopo la sua morte avvenuta precocemente. La bellezza di questo film sta nella dolce lentezza dei dialoghi, corti ed essenziali, quasi zen, nella fotografia rigorosa nella quale ogni singolo personaggio nell’inquadratura è posizionato con quella minuziosità di luce che ci ricorda subito i dipinti di Veermer. Un’ incantevolezza che commuove fino alle lacrime, sia quando si guarda il viso perfetto della protagonista femminile avvolta da delicate e preziosissime vesti color della malva, sia quando si perde lo sguardo nei magnificenti prati ricoperti da narcisi bianchi e campanule blu immersi nella rilassante primavera inglese. Ben Wishaw già avvezzo a ruoli che lo catapultano nel passato decadente (Il Profumo, Io non sono qui, Ritorno a Brideshead) è si adattissimo alla parte del dandy ma questa volta forse pecca un po’ di inespressività, proprio perché pretende di conoscere il suo ruolo fin troppo bene, mentre Paul Schneider è spassosissimo nei panni del benefattore rozzo e antipatico. Ma la vera stella luminosa, come recita appunto il titolo del lungometraggio preso da un verso del poeta, è Fanny, la giovane sarta di cui si innamorerà un po’ alla volta dopo una iniziale diffidenza e contro il parere di tutti come da tradizione romanzesca. Un film a tratti rigido ma godibilissimo, lontano dai frastuoni holliwoodiani e dalle conversazioni inutili.