Amore 14

 AMORE 14, titolo che meglio evoca il code name di un camionaro radioamatore piuttosto che un infigamento squinzio en passant,  in realtà, è il titolo di questa elefantiasi che si risolve solo al termine dei 95 agghiaccianti minuti.  Già alla visione del terzo fotogramma,  i rigurgiti esofagei raggiungono di botto il cavo orale, per poi riversarsi sulla poltrona del cine, trasformati  in maleolente vomito caffeano. Un impasse questo, non certo causato dal sacco di m&m’s formato famiglia e bicchierone da 3 chili di popcorn, che molti spettratori si travasano nel gargarozzo per sopraggiunta prevedibile fame neurochimica. La pellicola  narra…vabbè, non se ne capisce una mazzancolla manco a farsi spremere le meningi sotto una pressa da pannelli tamburati. Tuttavia, spezzando una lancia in favore della testa dell’autore, egli, nell’ambito di una conferenza alla Confagricoltori di Scandicci, candidamente ammise che in quell’infausto periodo in cui scrisse la criptica sceneggiatura, non era in grado di intendere e volere. E noi certo vogliamo credergli, fugando in tal modo ogni irragionevole dubbio. La magistrale direzione alla fotografia, assegnata al tipolinotipista compaesano del sindaco-regista, è equiparabile alle vedute in cartolina plastificate di Gatteo Mare, note a chicchessia  per lo sprigionio di coloroni assai saturi che violentano le cornee, poste a serio rischio  ad  un ricorrere accompagnatorio delegato alle filantropiche zampe di un canide crocerossino. In merito invece il deprecabile soundtrack, il nostro schizoide bambinone, ha radunato i musicanti della peggiogioventù che potessero balenargli nell’acefalo; risultato, uno stupro a mano armata alle membrane timpaniche. Tuttavia, una nota di merito va consegnata ai caccofonici leit motiv instrumental, sparpagliati alla pisello di cane nel susseguirsi degli inenarrabili  frames filmogastrografici; ai cinemari, rimarranno stampigliati nella memoria parimenti il motivetto horror di Suspiria, anche dopo aver esalato l’ultimo suspirio. E per Dio ora diciamocelo, che in questo esito "cinematografico" da 0 e lode con schiaffo accademico, questo guru osannato dall’imberbe esercito polluttorio, ha fatto un megabuco nell’acqua, anzi, nella nostra amata madre terra, per poi accovacciarvisi sopra e defecarvi al suo interno questa pizza delirante, di produzione, si vocifera nell’ambiente attoriale notoriamente frufru, somalo-ecuadoregna.  Infine, gli eruditi cinofili titolari di blog del settore, ci informano all’unisono in chiusa, che ‘sta strana roba visionaria e parlante, ha incazzato al botteghino  3 milioni di euri e ben tre bilioni fra rutti, flatulenze ed eresie, surclassando grandemente  i mirabolanti incazzi dell’altro indimenticabile cul_t, “Scusa se ti chiamo ad ore”, proiettando tout court in tal guisa, Chicco Moccia nell’O’limbo dei Giganti.