laulilla
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martedì 29 giugno 2010
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raquel, la tata
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Che grande piacere veder trattati in un piccolo film problemi così importanti, in modo lieve e quasi con un sorriso! Raquel ha, da vent'anni, identificato la sua vita nel ruolo della "tata", cioè di colei che, assunta per dare una mano in casa, finisce per diventare la vera padrona di casa, che è al corrente delle abitudini di tutta la famiglia, che ha fatto crescere con amore e severità i bambini, che sa che cosa occorre ai genitori e a ognuno dei figli in ogni momento della giornata. Per quanto affettuosa e comprensiva, la famiglia che la ospita finisce per delegarle tutto, anche troppo della vita di tutti i giorni, col risultato che la tata, ormai quarantunenne è oberata di incombenze faticose e difficili, anche perché i bambini cambiano e, diventando adulti, mordono il freno e non vorrebbero più essere così strettamente controllati.
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Che grande piacere veder trattati in un piccolo film problemi così importanti, in modo lieve e quasi con un sorriso! Raquel ha, da vent'anni, identificato la sua vita nel ruolo della "tata", cioè di colei che, assunta per dare una mano in casa, finisce per diventare la vera padrona di casa, che è al corrente delle abitudini di tutta la famiglia, che ha fatto crescere con amore e severità i bambini, che sa che cosa occorre ai genitori e a ognuno dei figli in ogni momento della giornata. Per quanto affettuosa e comprensiva, la famiglia che la ospita finisce per delegarle tutto, anche troppo della vita di tutti i giorni, col risultato che la tata, ormai quarantunenne è oberata di incombenze faticose e difficili, anche perché i bambini cambiano e, diventando adulti, mordono il freno e non vorrebbero più essere così strettamente controllati. Le crescenti tensioni sfociano in terribili emicranie e frequenti malesseri, così da indurre la famiglia a procurarle un certo numero di aiutanti per sollevarla un po'. Questo, però, peggiora la sua situazione, perché il faticoso compito di Raquel è diventato per lei la ragione stessa del suo esistere, e la donna non tollera intruse o rivali nel suo lavoro. Con un comportamento scontroso, Raquel manifesta la sua ostilità alle nuove assunte, ma è soprattutto il gesto, eloquentemente simbolico, di chiudere le colleghe fuori dalla porta di casa che deciderà le poverette a licenziarsi. Solo Lucy, ultima delle aiutanti, non si lascerà intimidire dalle sue prepotenze, ma, al contrario saprà comprendere le ragioni profonde che inducono Raquel a rendersi così scontrosa e riuscirà a sciogliere quella corazza che le ha rivestito il suo cuore, inducendola a riapproppriarsi, in primo luogo della dimensione fisica della propria esistenza, perché la sublimazione dei sensi non può diventare ignoranza delle loro esigenze o rimozione della loro voce. Il film ci racconta tutto questo con un'analisi molto fine delle sensazioni della protagonista, delle sue ritrosie, delle sue gelosie, dei suoi imbarazzati silenzi, dei suoi rossori. Raquel è una bravissima Catalina Saavedra, attrice di grandissima espressività, che interpreta con sensibilità davvero notevole le sfumature di un carattere difficile, chiuso e inibito, per timidezza, per educazione, per inconsistenza dei legami familiari.
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paola di giuseppe
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domenica 4 luglio 2010
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ritratto di famiglia (con domestica) in un interno
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E’ questo La Nana, cioè la tata, la donna ormai sui quaranta che da vent’anni vive con la facoltosa famiglia Valdés a Santiago, bella casa con giardino e piscina, due bambini e due ragazzi che lei ha svezzato e cresciuto, dedicandosi alle faccende domestiche con fervore così totale da essere ormai sull’orlo della crisi psico-fisica.
Raquel si sente parte talmente integrante della famiglia da guardare con sospetto geloso chiunque si avvicini, fosse anche un aiuto che la buona signora Valdés le vuol affiancare.
Catalina Saavedra, molto conosciuta in Cile, è l’interprete superba di questo personaggio che Sebastian Silva, al suo secondo film, guida con regia sicura e sceneggiatura raffinata, affiancandole un cast di interpreti deliziosi, mai fuori registro, disegnando di ognuno il ruolo con naturalezza, sobrietà, efficacia espressiva.
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E’ questo La Nana, cioè la tata, la donna ormai sui quaranta che da vent’anni vive con la facoltosa famiglia Valdés a Santiago, bella casa con giardino e piscina, due bambini e due ragazzi che lei ha svezzato e cresciuto, dedicandosi alle faccende domestiche con fervore così totale da essere ormai sull’orlo della crisi psico-fisica.
Raquel si sente parte talmente integrante della famiglia da guardare con sospetto geloso chiunque si avvicini, fosse anche un aiuto che la buona signora Valdés le vuol affiancare.
Catalina Saavedra, molto conosciuta in Cile, è l’interprete superba di questo personaggio che Sebastian Silva, al suo secondo film, guida con regia sicura e sceneggiatura raffinata, affiancandole un cast di interpreti deliziosi, mai fuori registro, disegnando di ognuno il ruolo con naturalezza, sobrietà, efficacia espressiva.
Un gesto, uno sguardo, poche parole ed emergono tratti psicologici, percorsi esistenziali, rapporti e distanze di classe che si collocano in una quotidianità fatta di pranzi e colazioni, festicciole di compleanno e pulizie domestiche, uno scorrere del tempo comune di gente comune fra cui serpeggia un sottile disagio, che prende corpo pian piano negli occhi di Raquel, in quello sguardo sbarrato da animale ferito che teme di perdere quel potere casalingo che è l’unico antidoto ad una solitudine profonda e rimossa.
Sembra a volte di essere sull’orlo del thriller, ma abilmente il regista gioca con lo spettatore, riportandolo nei toni leggeri ma mai banali della commedia. Ne risulta una capacità non comune di guidare nella lettura dei piani narrativi, scavando nei personaggi senza mai scadere nello psicologismo e, soprattutto, lasciando al racconto tutto il dinamismo, la leggerezza e a volte il peso della vita vissuta momento per momento, con le sue sorprese, il suo caos spesso giocoso e a volte drammatico, i momenti della perdita di sè e quelli del sorriso.
Un ritorno al sano buon senso che tante cose risolve, e si riesce ancora una volta a credere che un po’ d’ironia e una parola gentile possano riscoprire la bellezza di quei legami che fanno virare di bordo ed evitare le secche e i naufragi.
Raquel e la scoperta dell’amicizia e della solidarietà fra donne, e allora una tuta da jogging ed un iPod faranno più miracoli di tante pillole contro l’emicrania ed estenuanti sedute di psicoterapia.
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davidestanzione
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venerdì 18 febbraio 2011
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una "nana" dispettosamente irresistibile e umana
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Film pregevole, curioso, uggioso, che nel finale non nega una saggia dose di ottimismo e vitalità, tra sorrisi e appesantite corsette a respirare finalmente la spazialità odorosa degli esterni notturni: cosa che, in un film consumato e girato quasi esclusivamente in interni (diurni), viene ad assumere anche un preciso valore simbolico. Un'opera in gran parte tutt'altro che conciliante, "La nana": il film di Silva é la radiografia asciutta e acida di un dissesto familiare che non ha bisogno di drammoni fuori portata per attecchire ma deriva, molto semplicemente, dal fluire quotidiano. La messa in scena é asciutta e priva di fronzoli, eppure di tanto in tanto non manca di riversare sullo spettatore qualche "moto accidentato", complice un uso sapiente, mai compiaciuto e mai egocratico (mai alla Von Trier, per intenderci), della camera a spalla.
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Film pregevole, curioso, uggioso, che nel finale non nega una saggia dose di ottimismo e vitalità, tra sorrisi e appesantite corsette a respirare finalmente la spazialità odorosa degli esterni notturni: cosa che, in un film consumato e girato quasi esclusivamente in interni (diurni), viene ad assumere anche un preciso valore simbolico. Un'opera in gran parte tutt'altro che conciliante, "La nana": il film di Silva é la radiografia asciutta e acida di un dissesto familiare che non ha bisogno di drammoni fuori portata per attecchire ma deriva, molto semplicemente, dal fluire quotidiano. La messa in scena é asciutta e priva di fronzoli, eppure di tanto in tanto non manca di riversare sullo spettatore qualche "moto accidentato", complice un uso sapiente, mai compiaciuto e mai egocratico (mai alla Von Trier, per intenderci), della camera a spalla. Certo la sceneggiatura "dispettosa" é forse il punto debole del film, che ben presto finisce per ruotare stancamente intorno a un assunto di base un po' protratto a forza salvo poi, nel finale, innalzarsi e rinnovarsi nuovamente. Il centro nevralgico dell'azione scenica é però innegabilmente lei, Raquel, la nana del titolo: il film é già "provocatorio" nell'idea di partenza, ossia quella di attribuire connotati da protagonista a una "categoria umana" (quella della tata, del maggiordomo, del servo) che é di solito ampiamente trascurata nell'economia di molti racconti, a meno che non si tratti del killer smascherato a sorpresa nel finale di un giallo di Agata Christie. Ma qui la protagonista si aliena ben presto dagli stereotipi di sorta, dagli schematismi avviluppanti che vorrebbero imbrigliarla nella definizione di "simbolo di una precisa fetta sociale". Lotta strenuamente, con le buone e con le cattive, per emanciparsi dalla glaciale freddezza e dal distacco emotivo che il suo ruolo socialmente e convenzionalmente le imporrebbe, elaborando ogni sorta di escamotage per rimanere amata sopra ogni cosa (e sopra ogni altra) nel cuore della famiglia medio-borghese presso cui lavora. Raquel
non fa che ripetere che i bambini la adorano e per lei, che avverte con sofferenza il distacco emotivo e geografico dalla sua famiglia d'origine, ciò é abbastanza, il bene più grande, la soddisfazione più impagabile. Quello di Raquel é un personaggio che si dischiude lentamente e progressivamente allo spettatore, che ne coglie i sorrisi, i rapporti di amicizia e i crescenti affetti solo dopo essersi intrattenuto/annoiato con le sue dispettose bravate all'acido muriatico. In tal senso la regia e l'approccio visivo di Silva, tra il grigiastro e il bianco sporco, appaiono perfetti: il giovane regista cileno, pupillo mancato di Spielberg (perlomeno a leggere il suo "strambo" curriculum vitae), lavora "corporalmente" con la sua attrice (la splendida Catalina Saavedra, premiata al Festival di Torino), ne coglie l'impietrito sguardo vitreo per poi scioglierlo, dolcemente e inesorabilmente; ne ritrae la sofferenza dimessa, il lavoro sempre uguale, i nudi in penombra con la discrezione di un narratore sapiente che quando gira a vuoto non suona mai prolisso, e quando vuole sa scaldare il cuore.
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(di luana)
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zulu51
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martedì 27 luglio 2010
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affetti @ difetti
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Ho trovato questo film, molto intenso e pieno di sentimenti, una domestica Rachel, quarantunenne, da venti anni al servizio in una famiglia che le vuole bene, con due figli piccoli e due adolescenti, ma che è sempre più prigioniera del quotidiano, priva di ogni rapporto esterno e sopratutto di una vita propria.
Si dedica completamente alla famiglia ed ai loro figli che ha visto nascere e che ha cresciuto, sempre più depressa ed afflitta da emicranie e improvvisi malori.
Quando la padrona di casa, decide di affiancarle una ragazza che le possa dare una mano, si sente minacciata e fà il possibile per fare scappare tutte le pretendenti al ruolo, prima una ragazza peruviana, poi un'energica signora anziana, con la quale ha anche una collutazione.
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Ho trovato questo film, molto intenso e pieno di sentimenti, una domestica Rachel, quarantunenne, da venti anni al servizio in una famiglia che le vuole bene, con due figli piccoli e due adolescenti, ma che è sempre più prigioniera del quotidiano, priva di ogni rapporto esterno e sopratutto di una vita propria.
Si dedica completamente alla famiglia ed ai loro figli che ha visto nascere e che ha cresciuto, sempre più depressa ed afflitta da emicranie e improvvisi malori.
Quando la padrona di casa, decide di affiancarle una ragazza che le possa dare una mano, si sente minacciata e fà il possibile per fare scappare tutte le pretendenti al ruolo, prima una ragazza peruviana, poi un'energica signora anziana, con la quale ha anche una collutazione.
Finalmente arriva Lucy, una ragazza molto aperta ed estroversa, che riesce, non senza problemi, ad entrare nel suo mondo a capirla e diventarne amica.
Molto significativa la scena in cui Rachel entra in bagno per ripulire la vasca, dopo che Lucy ha fatto la doccia, questa torno indietro, le chiede perchè faccia questo, si spingono Rachel cade nella vasca, allora Lucy l'abbraccia e si mette a piangere, dicendole: "mio Dio cosa ti hanno fatto", riesce così a stabilire un primo contatto e a capire come questa donna, dopo una vita di sacrifici e sofferenze sia arrivata al culmine, ed abbia bisogno di un affetto vero.
Lentamente diventeranno amiche, Lucy riuscirà anche a portare Rachel a trascorrere il Natale a casa sua, facendola uscire, per una volta, dal solito mondo.
Questo servirà a far cambiare lentamente Rachel, ed anche se alla fine del film, Lucy comunicherà alla famiglia la sua decisione di tornare a casa, dopo l'iniziale ed evidente delusione, si vede Rachel alzarsi al mattino presto ed indossata la tuta da ginnastica, uscire per andare a correre, come faceva sempre la sua amica Lucy.
Questo film, vuole certamente dimostrare, come molto spesso, ci fermiamo alle apparenze e non cerchiamo di capire a fondo il disagio, di chi si comporta in modo poco ortodosso e di capirne i motivi. Dietro ad ogni persona, c'è una vita vissuta, che spesso lascia ferite profonde, difficili da rimarginare.
Grande interpretazione di Catalina Saavedra, nella parte di Rachel.
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luana
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giovedì 15 luglio 2010
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buono
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Anche se chi ha masticato un po' di buon cinema sudamericano e anche spagnolo, non è una sorpresa.
In sostanza è il ritratto psicologico di una donna che si è identificata col ruolo della serva, esasperandolo quindi oltre ogni minimo esame di realtà e addirittura di "pretese" da parte della famiglia in cui lei si vive come una sorta di succuba e di castrata,in compenso "ben" identificata. Questo fino a quando il suo inconscio le si oppone con la nevrosi e, attraverso un salutare confronto con una collega che la serva la fa ma non lo è, impara un altro punto di vista. Lezione sempre valida.In fondo questo modo di vivere la vita non è così raro, anzi, e dunque per chi lo capisce è un film salutare.
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