xoting
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martedì 14 aprile 2009
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l'uomo non è fatto solo per soffrire
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Il cinema si può fare in tanti modi: all’americana, con effetti speciali, con grandi mezzi oppure con grandi idee. E’ proprio questo caso. Tutto ha il suo rilievo. Assumono aspetti accattivanti le inquadrature dei lunghi corridoi con mille termosifoni azzurri, le facciate grigie intrise di umido del carcere, i cortili in cemento visti di dietro le sbarre, il giubbotto jeans di un detenuto, il cielo cupo di Torino. Tutto è primo piano e sfondo insieme: le storie che ciascun individuo porta scolpite sul volto, gli oggetti di sopravvivenza che ogni cella contiene e la profonda umanità che si palpa ascoltando le voci degli attori/detenuti/protagonisti. La vicenda è abbastanza intuibile e sicuramente sfruttata in altre occasioni ma il risultato qui è unico e originale.
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Il cinema si può fare in tanti modi: all’americana, con effetti speciali, con grandi mezzi oppure con grandi idee. E’ proprio questo caso. Tutto ha il suo rilievo. Assumono aspetti accattivanti le inquadrature dei lunghi corridoi con mille termosifoni azzurri, le facciate grigie intrise di umido del carcere, i cortili in cemento visti di dietro le sbarre, il giubbotto jeans di un detenuto, il cielo cupo di Torino. Tutto è primo piano e sfondo insieme: le storie che ciascun individuo porta scolpite sul volto, gli oggetti di sopravvivenza che ogni cella contiene e la profonda umanità che si palpa ascoltando le voci degli attori/detenuti/protagonisti. La vicenda è abbastanza intuibile e sicuramente sfruttata in altre occasioni ma il risultato qui è unico e originale. Una giovane regista porta all’interno dei un carcere il tentativo di mettere su uno spettacolo interpretato dai detenuti. E’ l’innesto di nuova, fresca vita, carica di emozioni, in una vecchia struttura dove la pena deve regnare per costruzione. Lo scetticismo dei potenziali attori si contrappone alla non dichiarata, e mal celata, voglia matta di lasciarsi coinvolgere. La musica che la regista propone agisce come olio sulla ruggine e sblocca gli animi, i movimenti, le espressioni. Non è difficile aspettarsi che tutte le figure, andando avanti nella vicenda, si coinvolgano l’un l’altra. La regista lascia il compagno inadatto e assente e la sua casa confortevole, per trasferirsi nella stessa prigione dove sono i suoi compagni di avventura. La sua stanza è scarna, forse anche più delle celle, ma può comunque diventare la base della sua nuova e creativa vita. Si muove elegantemente tra i difficili equilibri carcerari catturando l’attenzione dei reclusi ma anche l’ostitlità di prete e suora che vedono in lei un vento incontrollabile che può mettere in crisi i loro stessi ruoli. Viene costretta a mettere in scena la passione. Tema a lei troppo distante. Lei, illuminista, atea, disillusa attrice cui è stato distrutto il teatro di Belgrado dai bombardamenti “intelligenti” della nato, accetta la sfida. Compra un vangelo a lo legge con spirito critico. Troppi interrogativi si fanno avanti e devono trovare una spiegazione: il concetto di pena, di riabilitazione, di reclusione che accomunano i detenuti con lo stesso Gesù Cristo. La croce è simbolo di sacrificio così come le alte mura carcerarie anch’esse grigie. Lo spettacolo prende forma, ma è la forma dell’uomo e della sua sofferenza e non quella canonica voluta dal prete. E’ un progetto di vita felice dove l’uomo non è fatto solo per soffrire. Scompiglio! E’ l’indulto a risolvere di fatto la vicenda. I protagonisti improvvisamente diventano uomini liberi e non metteranno in scena lo spettacolo ma porranno loro stessi in una nuova vita, in una nuova occasione.
Questo film girato in un luogo dove nessuno vorrebbe trovarsi è un geniale racconto ben strutturato che non assume mai toni pesanti o ridicoli. E’ una ben studiata miscela: drammi, miserie, battute, speranze, movimenti, ritmi. Tutto girato con freschezza e maestria. La musica che ha ruolo connettivo centrale fa la differenza tra gli stucchevoli e improbabili musical e quaesta rappresentazione, quasi apparentemente documentaristica, di uno spaccato di vita da reclusi. E’ l’occasione buona per rimettere in discussione le proprie vedute su giustizia, religione, società.
E’ un film che appassiona e coinvolge fino all’ultima scena, all’ultima nota. Da non perdere assolutamente.
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lindab
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lunedì 20 aprile 2009
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un buon film
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L'impressione che si ha durante la proiezione è di vivere il teatro in un film, la ricerca, la realizzazione di uno spettacolo. Personalmente mi ha sorpresa Kasia Smutniak positivamente più per aspetti che non avevo mai visto affrontare da parte sua prima d'ora, la danza, l'imbattersi nel suonare uno strumento musicale, pur aspettandomi di più sulla sua qualità della recitazione, non sempre le battute in alcuni passaggi mi sono parse convincenti, nel complesso penso che il suo fosse un ruolo molto impegnativo e non sono pienamente convinta fosse azzeccato a 360 gradi.La scelta del musical credo sia stata dosata nella giusta maniera, l'arma vincente è senza dubbio la volontà di entrare nel carcere girando il film con attori non professionisti e per il fatto di essersi mescolati nella loro mentalità e modo di vivere difficile e complesso in un ambiente che offre ben poche speranze.
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L'impressione che si ha durante la proiezione è di vivere il teatro in un film, la ricerca, la realizzazione di uno spettacolo. Personalmente mi ha sorpresa Kasia Smutniak positivamente più per aspetti che non avevo mai visto affrontare da parte sua prima d'ora, la danza, l'imbattersi nel suonare uno strumento musicale, pur aspettandomi di più sulla sua qualità della recitazione, non sempre le battute in alcuni passaggi mi sono parse convincenti, nel complesso penso che il suo fosse un ruolo molto impegnativo e non sono pienamente convinta fosse azzeccato a 360 gradi.La scelta del musical credo sia stata dosata nella giusta maniera, l'arma vincente è senza dubbio la volontà di entrare nel carcere girando il film con attori non professionisti e per il fatto di essersi mescolati nella loro mentalità e modo di vivere difficile e complesso in un ambiente che offre ben poche speranze.Apprezzabile il riferimento storico-sociale sul tema dell'indulto.
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ciccio capozzi
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giovedì 16 aprile 2009
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dopo pasolini, un cristo non risorto,ma libero
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“TUTTA COLPA DI GIUDA” di DAVIDE FERRARIO; ITA,09. In un reparto soft del carcere delle Vallette di Torino, una regista teatrale è ingaggiata per mettere su un musical sulla Passione con i detenuti: ma nessuno vuole fare Giuda. Il regista è un autore completo: si è scritto la sceneggiatura e ha pure prodotto il film. Il suo è uno sperimentalismo irriducibile che personalmente apprezzo molto, anche sul piano tecnico, come con l’uso, qui, dell’innovativa e flessibilissima Mdp digitale Genesis Panvision. Egli affronta la realtà, e “usa” il cinema per investigarvi otre che con serietà, con spregiudicata sincerità. Ma la sua attenzione è sempre rivolte al lato umano. Con questa parola non intendo quella fittizia corrività tivvì; ma solide, polpose, incistazioni d’umanità difficili da decifrare.
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“TUTTA COLPA DI GIUDA” di DAVIDE FERRARIO; ITA,09. In un reparto soft del carcere delle Vallette di Torino, una regista teatrale è ingaggiata per mettere su un musical sulla Passione con i detenuti: ma nessuno vuole fare Giuda. Il regista è un autore completo: si è scritto la sceneggiatura e ha pure prodotto il film. Il suo è uno sperimentalismo irriducibile che personalmente apprezzo molto, anche sul piano tecnico, come con l’uso, qui, dell’innovativa e flessibilissima Mdp digitale Genesis Panvision. Egli affronta la realtà, e “usa” il cinema per investigarvi otre che con serietà, con spregiudicata sincerità. Ma la sua attenzione è sempre rivolte al lato umano. Con questa parola non intendo quella fittizia corrività tivvì; ma solide, polpose, incistazioni d’umanità difficili da decifrare. Com’è il carcere. In più ci costruisce una “commedia con musica”. Più ambizioso di così…Eppure, l’operazione può dirsi riuscita. Non credo che attrarrà folle, ma lo spettacolo è gradevole e convincente. Il suo intento è profondamente pasoliniano: non nel senso del realismo adottato (benché lui stesso si prende con autoironia), ma perchè è assolutamente alieno da ogni moralismo, pur riuscendo ad essere pienamente morale. Annullando il ruolo di Giuda, che è invece fondamentale ai fini della scrittura narrativa (diegetica) della Passione, di fatto rovescia la stessa significanza di mistero, immaginando così un Cristo che “scende” dalla Croce, senza Risorgere, perché “si rifiuta” di morire. Questo ribaltamento, dal pur progressista cappellano del carcere è rifiutato, perché blasfemo. Però, con allegra noncuranza icnoclasta, lo spettacolo è sostenuto dalla regista, e dal direttore: lei vede la soluzione per rendere alla portata dei galeotti una visione che faccia perno su loro stessi, sulla loro “semplice” voglia d i essere liberi: un’utopia antistituzionale? Certamente; tant’è che il film ha un finale sostanzialmente beffardo. Ma non importa. Essi hanno edificato in loro stessi una tenda di libertà, che resterà e resisterà ai continui sbalzi del clima. Del resto, come si vede, il film affronta tematiche anche complesse, prese dal regista con piglio deciso; ma le connette alla simpatia collettiva degli ospiti del carcere, alla loro dignità, ed anche a quelle dei guardiani. Soprattutto si serve della musica trascinante, che ha una funzione fondamentale, e di attori assolutamente all’altezza. In primis la Smutniak, la regista. La sua presenza, a dispetto della su fragilità fisica, è traboccante di energia, di generosità; è perfettamente integrata a quegli uomini: li accetta ed è da essi accettata, rispettata e anche protetta. La Litizzetto nella sua smunta bigotteria è terribile.
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mrsmaryjoan
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domenica 19 aprile 2009
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se giuda manca, la giustizia reale vince
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originale, da leggere nelle righe di un ritmo ben percosso. Non scontata la tematica su chi è davvero colpevole, o se ha senso essere riconosciuti colpevoli. Quanto stigmatizzata è la figura di Giuda? Gesù non sarebbe stato comunque condannato, con tutta l'"opinione pubblica" che allora contava, contro, anche senza Giuda? Sono più delinquenti e pericolosi i detenuti reali o quelli c he per vie traverse e danarose sono fuori dalla struttura? I colori e la musica accompagnano, ma non nascondono. Bravissimo il regista.
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gianleo67
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domenica 8 febbraio 2015
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libertà è...partecipazione
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Regista e coreografa di origini serbe, Irena Mirkovic è stata incaricata di mettere in scena un musical sperimentale all'interno di una sezione speciale del carcere delle Vallette di Torino. Tra curiosità e diffidenza, il supproto del prete del carcere, l'intesa sentimentale con il direttore ed il convolgimento di alcuni detenuti riuscirà nel difficile intento di concepire una rappresentazione della 'Passione di Cristo' che reintrerpreti il messaggio di redenzione del soggetto secondo le istanze e le necessità di una umanità condannata all'espiazione di pene molto più prosaiche e terrene di quelle, universali ed esegetiche, narrate dai Vangeli. Quando tutto sembra ormai pronto per la prima dello spettacolo però , la notiza di una imminente amnistia sembra sconvolgere completamente i suoi piani.
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Regista e coreografa di origini serbe, Irena Mirkovic è stata incaricata di mettere in scena un musical sperimentale all'interno di una sezione speciale del carcere delle Vallette di Torino. Tra curiosità e diffidenza, il supproto del prete del carcere, l'intesa sentimentale con il direttore ed il convolgimento di alcuni detenuti riuscirà nel difficile intento di concepire una rappresentazione della 'Passione di Cristo' che reintrerpreti il messaggio di redenzione del soggetto secondo le istanze e le necessità di una umanità condannata all'espiazione di pene molto più prosaiche e terrene di quelle, universali ed esegetiche, narrate dai Vangeli. Quando tutto sembra ormai pronto per la prima dello spettacolo però , la notiza di una imminente amnistia sembra sconvolgere completamente i suoi piani.
Col solito tocco leggero e scanzonato, la consueta, malinconica ironia ed il gusto divertito per un cinema dei sogni che riesce ad animare il grigio tran-tran di un orizzonte di reclusione mortificato dalla routine e dalla rassegnazione quotidiane, il buon Ferrario si cimenta in un esperimento meta-filmico che utilizza i codici e le regole del teatro per parlare della condizione carceraria attraverso i suoi stessi protagonisti, personaggi e interpreti insieme di un gioco di finzione che ammicca continuamente ad una realtà fatta di un passato difficile e di un presente senza prospettive, nel limbo senza scopo di un'istituzione obsoleta e anacronistica che non vuole rieducare nè formare e dove l'espiazione della pena si riduce all'inutile attesa di un futuro che sembra non arrivare mai. Messa in scena di una programmatica contaminazione tra generi ('una commedia in musica' recita il sottotitolo), 'Tutta colpa di Giuda' è un'opera di fantasia che cerca di invertire l'ordine naturale delle cose, traslando il desiderio di libertà dai consueti canoni dell'evasione fisica a quelli dell'evasione 'tout-court', dove l'inventiva e la partecipazione siano gli strumenti indispensabili per concepire una vita altra, per consentire alla libertà di irrompere all'interno dell'istituzione carceraria e sovvertirne regole e consuetudini, restituendo ai suoi reietti abitanti (reclusi e guardie, preti e direttori, registi e attori) il senso di una umanità che credevano di aver smarrito per sempre. Se è vero che l'insistita teatralità dell'impianto e l'ingenuità commovente di attori non professionisti sottrae l'opera alla banalità di un realismo didascalico da fiction televisiva, l'intelligenza dei dialoghi, la freschezza delle coreografie e la travolgente originalità della colonna sonora ( Marlene Kuntz e Fabio Barovero dei Mau Mau tra gli altri) ne fanno il divertente (e divertito) esperimento di una riuscita riflessione su temi altrimenti scivolosi come la fede, la giustizia e la condizione umana. Bravissima (per una volta) la Smutniak nel ruolo di una profuga dell'arte che ha esordito col battesimo di 'fuoco' delle bombe su Belgrado e la indolente saggezza da immigrato partenopeo del direttore di un carcere del Nord di nome Libero, interpretato con prestanza sorniona dell'aitante Fabio Troiano. Nomination ai 'Marlene Kuntz' per la migliore canzone ai David di Donatello 2010 con "Canzone in prigione", colonna sonora del film.
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paride86
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domenica 16 agosto 2009
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inutile e qualunquista
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Davide Ferrario, regista dichiaratamente ateo, affronta in "Tutta colpa di Giuda" la passione di Cristo ambientandola in un carcere e prendendo lì spunti e attori.
Il problema di questo film è la premessa di fondo - ripetuta anche nella martellante canzoncina -, ovvero il parallelismo tra Gesù e i carcerati (come Gesù sono stato condannato/ non avevamo un buon avvocato/ [...] tutto per colpa di Giuda). Io sono agnostico e credo di essere obiettivo se dico che mentre Gesù era veramente innocente quando è stato arrestato e giustiziato, non si può certo dire lo stesso per spacciatori, rapinatori e assassini. Chi sarebbe il loro "Giuda"? Lo stato che li tiene dentro?
Il film è tutto impregnato di una retorica buonista che presenta i carcerati come vittime: condizione accettabile solo se si facesse almeno un minimo riferimento al pentimento per i crimini commessi.
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Davide Ferrario, regista dichiaratamente ateo, affronta in "Tutta colpa di Giuda" la passione di Cristo ambientandola in un carcere e prendendo lì spunti e attori.
Il problema di questo film è la premessa di fondo - ripetuta anche nella martellante canzoncina -, ovvero il parallelismo tra Gesù e i carcerati (come Gesù sono stato condannato/ non avevamo un buon avvocato/ [...] tutto per colpa di Giuda). Io sono agnostico e credo di essere obiettivo se dico che mentre Gesù era veramente innocente quando è stato arrestato e giustiziato, non si può certo dire lo stesso per spacciatori, rapinatori e assassini. Chi sarebbe il loro "Giuda"? Lo stato che li tiene dentro?
Il film è tutto impregnato di una retorica buonista che presenta i carcerati come vittime: condizione accettabile solo se si facesse almeno un minimo riferimento al pentimento per i crimini commessi.
Sul fronte religioso, poi, presenta la solita diatriba progressisti conservatori: ci risiamo! Una fede religiosa non si può cambiare: se ti piace l'accetti, se non ti piace ne scegli un'altra in cui ti riconosci meglio (oppure scegli di essere ateo/agnostico). Ma non si può pretendere di modificare un credo: la religione non è democrazia, ma dogma.
Guardando questo film mi è ritornato in mente quando Jovanotti cantava "io credo che a questo mondo esista solo una grande chiesa/ che parte da Che Guevara e arriva fino a Madre Teresa/
passando da Malcolm X attraverso Gandhi e San Patrignano": ecco, "Tutta colpa di Giuda" ripropone lo stesso qualunquismo.
Nonostante tutto devo ammettere che le prestazioni del cast sono state superiori alle mie aspettative, compresi i carcerati veri; un ruolo piccolo e inutile è stato riservato, invece, per Luciana Littizzetto: che spreco.
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(di ungern)
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