Tony Manero |
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Un film di Pablo Larraín.
Con Alfredo Castro, Paola Lattus, Héctor Morales, Amparo Noguera, Elsa Poblete
Drammatico,
durata 98 min.
- Cile, Brasile 2008.
- Ripley's Film
uscita venerdì 16 gennaio 2009.
MYMONETRO
Tony Manero
valutazione media:
3,26
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Larraìn e il mimetico simbolismo "di piombo"di davidestanzioneFeedback: 22976 | altri commenti e recensioni di davidestanzione |
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martedì 7 settembre 2010 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Santiago, Cile, fine anni ’70 e un'aleggiante cappa di degrado. Raùl è un uomo di mezz’età che rincorre spasmodicamente, tra il grottesco e il mimetico, l'estetica del suo idolo Tony Manero, il personaggio “cult pop” interpretato da John Travolta ne “La febbre del sabato sera”, film che Raùl va a (ri)vedere in sala di continuo, cogliendone in maniera sempre più dettagliata le magnetiche movenze, mandandone a memoria i dialoghi, alla ricerca dell’anima e dell’essenza di un idolo di cartapesta. Un’icona fruibile per smettere i propri consunti, logori panni di uomo (stra)comune immerso in una realtà ancor più caustica e tragicamente inflazionata, anni luce regressa oltre che, nel trionfo delle doppie ‘s’, oppressa dalla spettralità incombente della dittatura Pinochet, che "inquina", penetra sottopelle, nelle case, nelle strade, nelle anime girovaghe di un paese marginalmente ondivago. E Tony Manero è una di loro, incarnazione dello sguardo propulsivo che il suo alterego Raùl (e non viceversa) e il Sudamerica rivolgono all’America e ad un futuro lontano, utopicamente auspicabile ma (di fatto) inarrivabile/inafferabile. Un futuro idilliaco, dorato e dalle tonalità “spensieratamente peso piuma”, ma che si dissolve, fulmineo e opaco, se immesso in un brusco, selvaggio confronto con la tangibile realtà cilena di quegli anni, fotografata da Larraìn con implacabile spietatezza e con cipiglio quasi appiccicosamente documentaristico (con la macchina da presa ravvicinatamente tout court, volta ad alitare funerea sui profili impalpabili del protagonista e dei simulacri altrettanto svuotati-altresì detti, personaggi-che gli gravitano intorno). Opalescente é poi la maschera incarnata dall’ottimo protagonista Alfredo Castro (anche co-sceneggiatore, premiato al Torino Film del 2008 insieme al film), che dall’ambiguo Raùl, dai suoi silenzi implosi e dai lineamenti solcati, finisce con l’essere irrimediabilmente “travolto”. Tanto da restituirne sullo schermo l’essenza disgustosamente macabra, tra vecchiette fatte fuori gratuitamente, seppur immerse nei loro ambienti sicuri e inviolabili, incontri sessuali sovraesposti & posticci e scorticanti esplosioni d’irosa intemperanza a partire dalle più futili situazioni, che il pretesto sia il parquet inadeguato di un night di quart'ordine o delle futili scatolette di tonno é in fin dei conti completamente indifferente. Il tutto in prospettiva dell'ultimo, più importante appuntamento: un concorso di sosia per Tony Manero. Quello di Larraìn è un film che fa retorica di piombo, assimilabile e comprendibile a pieno solo se accompagnato da un’apposita riflessione a posteriori. Larraìn usa infatti il simbolismo allegorizzante non come semplice “sottochiave”, ma in luogo del linguaggio cinematografico stesso, che si riduce, rifugiandosi remissivo in un cantuccio di mero esercizio stilistico, a semplice cornice "subalterna" all’affresco complessivo. Un ipertesto infarcito di rimandi, una rarefatta foresta di simboli e simbolo essa stessa di un paese brutalizzato dalla vacua, falsamente illusoria, farisaica immagine di una dittatura (sempre di Sudamerica parliamo, e dunque “una” delle tante). Un tipologie di “sovrastruttura” che insieme appesantisce e libera il film: da un lato infatti ne compromette la scioltezza narrativa che annega (spesso) nella compiaciutamente disgustata contemplazione, dall’altro ne sublima la vaporosa funzionalità di sulfureo manifesto artistico, oltre che di documento storico-sociologico.
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