marco
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venerdì 12 settembre 2008
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basinger/theron... che attrici!!!
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Il film narra le storie interconnesse tra diversi personaggi separati dal tempo e dallo spazio. Mariana sta cercando di rimettere in sesto le vite dei suoi genitori. Sylvia deve affrontare un'odissea emotiva per cancellare un peccato del suo passato. Gina e Nick formano una coppia alle prese con una relazione clandestina, e Maria cerca di aiutare i suoi genitori a trovare redenzione.
Arriaga alla sua prima regia ci regala un film drammatico, forte e commovente. Quattro storie apparentemente diverse, ognuna di esse dominata da un colore. 4 colori come i 4 elementi, acqua, aria, terra e fuoco. Il fuoco è l'elemento predominate attraverso il quale prende il via l'intera vicenda. Una vicenda fatta di sofferenze, di dolore e tristezza.
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Il film narra le storie interconnesse tra diversi personaggi separati dal tempo e dallo spazio. Mariana sta cercando di rimettere in sesto le vite dei suoi genitori. Sylvia deve affrontare un'odissea emotiva per cancellare un peccato del suo passato. Gina e Nick formano una coppia alle prese con una relazione clandestina, e Maria cerca di aiutare i suoi genitori a trovare redenzione.
Arriaga alla sua prima regia ci regala un film drammatico, forte e commovente. Quattro storie apparentemente diverse, ognuna di esse dominata da un colore. 4 colori come i 4 elementi, acqua, aria, terra e fuoco. Il fuoco è l'elemento predominate attraverso il quale prende il via l'intera vicenda. Una vicenda fatta di sofferenze, di dolore e tristezza. Kim Basinger e Charlize Theron pur interpretando i ruoli di madre e figlia non appariranno mai insieme. Kim Basinger moglie adultera dà prova di essere una grande attrice. Insieme forte e tormentata, sofferente e innamorata. Il suo è un ruolo ben delineato e decisamente ben recitato. Drammatico e malinconico uno dei personaggi meglio riusciti del film. Pur non essendo più una ragazza riesce con la sua eleganza e la sua semplicità ad essere raffinata e allo stesso tempo sexy. Sicuramente una delle sue migliori interpretazioni.
Charlize Theron interpreta Sylvia, una 30enne autolesionista e disillusa dalla vita con un segreto che le rende impossibile vivere a pieno la sua vita. Dopo Monster altro ruolo scomodo per la bellissima Charlize Theron (qui in veste anche di produttrice) che ancora una volta mette da parte gli abiti sexy e da superdiva per calarsi in un ruolo cupo, disperato e sgraziato. E' un piacere vederla recitare. La giovanissima Jennifer Lawrence da prova di essere una grande promessa del cinema di domani. Anche per lei un ruolo estremamente disperato, difficle. Il suo forse è il personaggio più sofferto, quello dai risvolti più amari. La Lawrence riesce ad ammaliare con il suo sguardo ora freddo e distaccato ora languido e spaesato. Intrigante.
Arriaga, come regista, mette a segno una super coppia di attrici (Basinger/Theron) che fanno volare alto il film. Una coppia d'assi che rende questa opera prima davvero superlativa.
Lo storia è drammatica, pessimista ma mai patetica. Il regista non vuole colpire con la facile lacrima o con il colpo di scena, il suo intento è quello di narrarci il viaggio nel proprio io che i personaggi del film percorrono attraverso i 4 elementi.
Lo stile utilizzato è quello caro al regista; la storia ad incastro. 4 storie che si avvicendano tra lo spazio ed il tempo rendendo il pathos sempre alto e regalando allo spettatore momencati di alto cinema. Sicuramente non un film facile, a volte un pò indigesto ma che vale la pena di esser visto soprattutto per la prova di Kim Basinger e Charlize Theron due grandi attrici del cinema americano.
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ciccio capozzi
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mercoledì 19 novembre 2008
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la vita com’è, senza darle un ordine
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“THE BURNING PLAIN. IL CONFINE DELLA SOLITUDINE” di GUILLERMO ARRIAGA; USA, 08. Benché sfalsata su più piani temporali, è la vicenda di Sylvia, gestrice di un Restaurant alla moda nella fredda Portland. Di quali atti, sofferenze e precedenti esperienze incrociatesi attorno a lei, si è nutrito il suo disprezzo di sé. Esordio alla regia di un grande sceneggiatore, in zona Oscar per “Babél”, di cui conserva la stessa struttura narrativa. La sequenza iniziale è importantissima, dal punto di vista narrativo: è di fatto il vero raccordo che tiene insieme l’articolato del film; ma “avviene” nel tempo ben prima dell’inizio reale della storia, che sembra essere dei nostri giorni. In realtà sono ben quattro gli episodi del film.
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“THE BURNING PLAIN. IL CONFINE DELLA SOLITUDINE” di GUILLERMO ARRIAGA; USA, 08. Benché sfalsata su più piani temporali, è la vicenda di Sylvia, gestrice di un Restaurant alla moda nella fredda Portland. Di quali atti, sofferenze e precedenti esperienze incrociatesi attorno a lei, si è nutrito il suo disprezzo di sé. Esordio alla regia di un grande sceneggiatore, in zona Oscar per “Babél”, di cui conserva la stessa struttura narrativa. La sequenza iniziale è importantissima, dal punto di vista narrativo: è di fatto il vero raccordo che tiene insieme l’articolato del film; ma “avviene” nel tempo ben prima dell’inizio reale della storia, che sembra essere dei nostri giorni. In realtà sono ben quattro gli episodi del film. Abbiamo quella della relazione adulterina, ma così ricca di tenerezza, sentimento, umanità e passione, della madre, interpretata da una splendida, commovente e splendente Kim Bansinger, e delle reazioni che questa suscita nella figlia adolescente; quella dell’incontro tra quest’ultima e il figlio dell’amante all’indomani della disgrazia che ha fatto scoprire la tresca; la vicenda di Maria, una bimba in cerca di madre; e poi quella di Sylvia, su cui si saldano e si concludono tutte. Il regista ha dichiarato che immagina così la sue sceneggiature perché egli “Racconta la vita com’è, senza darle un ordine, che nella realtà non esiste mai”; però questa modalità, oltre ad essere un marchio di stile, è uno strumento che gli permette di variare i piani psicologici d’attenzione. In quanto i suoi personaggi, anche se biograficamente sono gli stessi, vivendo una fase di sviluppo diversa, gli si permette d’impegnarli in dialettiche differenti da una fase all’altra. Dando spazio a quelle che sembrano a noi altre motivazioni, con intelligente astuzia, espande e varia il motivo psicologico centrale. Perché poi l’insieme, disegna un’organicità complessiva, nel mentre mette in ombra alcune fragilità motivazionali, che pure affiorano quà e là: come ad esempio, la fase finale del rapporto con la bambina. Beninteso: qui siamo in presenza di un bel film; e queste mende non ne attenuano la qualità complessiva. Perché è costruita una rigorosa, intensa, coerente atmosfera psicologica interparentale: la radice del malessere viene attribuita senza forzature alla necessità di fare i conti col passato. Esso diventa memoria esistenziale attiva, su cui tutto sembra ruotare. La necessità di porvi ordine, nel mentre vi si dà vita, può aprire alla speranza, all’accettazione di sé, al cambiamento. Questo sforzo è fatto da Sylvia (Charlize Théron): anzi tutti i raccordi partono da lei, da impercettibili sfumature, da “increspature” della realtà presente, l’uggiosa, grigia Portland.
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albydrummer
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mercoledì 15 giugno 2011
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:::bellissima storia!!
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Storia coinvolgente,che ti tiene incollato allo schermo,perchè è la bravura degli attori,specialmente la Theron,sempre più brava,.ti avvolgono in una storia piena di situazioni e di una famiglia con tante sorprese..e anche tante emozioni.Il film può sembrare lento,un pò morboso..ma il fascino della storia ti porta fino alla conclusione senza stancarti. Bella la fotografia!!..Da vedere!!!
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antrace
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giovedì 3 dicembre 2009
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gli specchi del dolore
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Una storia della sofferenza umana, e del crudo intreccio di traversie familiari ,tra persone che sono tutte avvitate intorno alle loro contagiose vicende . Una spirale di lutti , e di relazioni umane aspre e sorde , dove l'amore sembra un desiderio negato , sottomesso a un giudizio ineludibile del fato . Tradimenti, spasimi, pedinamenti , vendette , sembra un cocktail da giallo americano ,ed invece è il racconto cinico , essenziale di una bimba che scopre la doppia vita della madre, segue i suoi incontri amorosi clandestini , e decide di fare giustizia da sola . La bimba accende una miccia esplosiva sotto il camper del tradimento , in un area desertica , dove la donna si abbandona all'unico vero amante ,per dimenticare le ferite di un tumore al seno e delle inibizioni del marito .
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Una storia della sofferenza umana, e del crudo intreccio di traversie familiari ,tra persone che sono tutte avvitate intorno alle loro contagiose vicende . Una spirale di lutti , e di relazioni umane aspre e sorde , dove l'amore sembra un desiderio negato , sottomesso a un giudizio ineludibile del fato . Tradimenti, spasimi, pedinamenti , vendette , sembra un cocktail da giallo americano ,ed invece è il racconto cinico , essenziale di una bimba che scopre la doppia vita della madre, segue i suoi incontri amorosi clandestini , e decide di fare giustizia da sola . La bimba accende una miccia esplosiva sotto il camper del tradimento , in un area desertica , dove la donna si abbandona all'unico vero amante ,per dimenticare le ferite di un tumore al seno e delle inibizioni del marito . Poi la fanciulla riprende la vita normale, portandosi dentro il segno indelebile della violenza , avvicinandosi al secondogenito dell'adultero ucciso , e conducendo fino in fondo una relazione che provoca quasi una faida tra i due gruppi familiari . Quando a sua volta diventa madre , la donna non regge i rimorsi , e si allontana svelando il segreto . Il suo compagno cade durante un volo in elicottero per lavoro ed entra in uno stato di agonia .
Un suo amico si incarica di accompagnare da lei la figlia ,per convincerla a tornare a casa , sottraendola ad una
progressiva ,minacciosa dissoluzione . Tra feed back e ricordi, figure diverse , apparentemente slegate , si ritrovano infine nel mosaico dei turbamenti , la trama inizialmente frammentaria acquista una precisa , lenta fisionomia , il senso del dolore subdolo e lacerante si incunea nella scena, e avvolge i protagonisti del film , senza mai uscire dalla fedele ricostruzione della vita di ogni giorno , senza sussulti particolari nè dirompenti . La capacità narrativa del regista riesce ad eludere il pericolo di un romanzo d'appendice gonfio di
lacrime, e disegna invece una vicenda asciutta , credibile, pungente , che solo alla fine si apre alla speranza .
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brucemyhero
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giovedì 11 agosto 2011
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the burning plane
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Due vite, quelle delle due stupendi protagoniste (Kim Basinger e Charlize Teron), apparentemente separate. Eppure sappiamo fin dall'inizio che deve esserci un legame, qualcosa che 'farà' incrociare i loro destini. E si resta attoniti, sorpresi a dir poco quando si capisce che le lore vicende non stanno avvenendo in contemporanea, ma sono frutto l'una dell'altra. Splendide interpretazioni di queste due grandi attrici, la Teron è superba, Kim si conferma ad ottimi livelli. Da vedere, assolutamente.
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gfloriano
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giovedì 20 novembre 2008
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un percorso di redenzione attraverso il dolore
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Regia: Guillermo Arriaga
Con: Charlize Teron, Kim Basinger, Josè Maria Yazpik, Joaquim de Almeida
Trama: Dopo aver consumato uno dei suoi tanti rapporti occasionali Silvia, fumando l’immancabile sigaretta, guarda fuori dalla finestra: il mare ed il cielo si fondono in un unicum spazio-temporale ......da qui si dipana un piano narrativo che porta lo spettatore in luoghi e tempi diversi a seguire le storie di vari personaggi che vivono situazioni complesse.
Vediamo dunque prima Mariana che deve affrontare le stranezze di sua madre e si improvvisa detective, poi Silvia affermata proprietaria di un ristorante alla moda di Portland che percorre un triste percorso autodistruttivo e infine Gina e Nick che vivono appassionatamente una complicata relazione clandestina.
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Regia: Guillermo Arriaga
Con: Charlize Teron, Kim Basinger, Josè Maria Yazpik, Joaquim de Almeida
Trama: Dopo aver consumato uno dei suoi tanti rapporti occasionali Silvia, fumando l’immancabile sigaretta, guarda fuori dalla finestra: il mare ed il cielo si fondono in un unicum spazio-temporale ......da qui si dipana un piano narrativo che porta lo spettatore in luoghi e tempi diversi a seguire le storie di vari personaggi che vivono situazioni complesse.
Vediamo dunque prima Mariana che deve affrontare le stranezze di sua madre e si improvvisa detective, poi Silvia affermata proprietaria di un ristorante alla moda di Portland che percorre un triste percorso autodistruttivo e infine Gina e Nick che vivono appassionatamente una complicata relazione clandestina....
Seguendo la struttura collaudata dell’affermato Babel il regista messicano costruisce una storia a tinte fosche, dura, interiormente claustrofobica, che dissemina, come le tessere di un complicato puzzle, indizi, dapprima confusi e scollati, poi mirati e illuminanti, nel sottile gioco di smascheramento dei personaggi e del loro filo conduttore....
Tutto quello che appare autonomo e scollato, pian piano si rinsalda e si costruisce attraverso una caccia ai particolari, anche quelli più insignificanti, che conducono inevitabilmente alla rivelazione finale.
Confesso che il la soluzione del rompicapo mi si è disvelata già a metà film, pertanto parlare di colpo di scena finale non mi pare d’uopo.
Il finale fornisce la chiave di lettura a comportamenti apparentemente inspiegabili e non giustificabili, ma resta comunque sospeso il giudizio sui medesimi: la protagonista è vittima o carnefice? La famigerata legge del contrappasso in questa situazione resta sospesa a mezz’aria, l’autopunizione e l’infelicità sono pene adeguate a una colpa generata da grande amore?
L’ambientazione modulata tra gli sconfinati ed assolati deserti messicani e le frastagliate coste dell’est, dove urla e biancheggia il mare, rispecchiano i patimenti interiori della, ancora una volta splendida, protagonista Charlize Teron.
Si rivede dopo tanto tempo la mai dimenticata e sempre affascinante Kim Basinger, di cui la Teron mi sembra l’indiscussa e naturale erede, sia nella bravura, sia nella camaleontica capacità d’essere sempre diversa e credibile nei personaggi volta per volta interpretati.
Un film che colpisce ma che lascia un po’ perplessi.
Trama: ***
Sceneggiatura: ****
Fotografia: ****
Colonna sonora: ***
Impressione generale: ***
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salvo
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domenica 7 dicembre 2014
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i quattro elementi
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Non conoscevo il film; non sapevo chi fosse il regista.
Fino ai titoli di coda.
Solo un sospetto durante la visione.
Mi pareva di vedere un film già visto. Di scorgere nei fotogrammi lo stile di un film già visto. "21 GRAMMI"?
Si! Forse! Ma non ero sicuro!
Solo al primo scorrere dei titoli di coda ho capito, ho saputo con certezza di chi fosse il talento adamantino.
Di Guillermo Arriaga.
Una narrazione lenta e dolente, fluviale, quasi in tempo reale (alla Michael Mann, per intenderci); un uso sapiente e millimetrico del flash-back; il dolore di vivere che stilla dalle scene e dai volti degli interpreti (tutti bravi: alcuni conosciuti altri meno); i personaggi che narrano le loro vite senza strepiti, quasi passivamente, eppure con rara efficacia.
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Non conoscevo il film; non sapevo chi fosse il regista.
Fino ai titoli di coda.
Solo un sospetto durante la visione.
Mi pareva di vedere un film già visto. Di scorgere nei fotogrammi lo stile di un film già visto. "21 GRAMMI"?
Si! Forse! Ma non ero sicuro!
Solo al primo scorrere dei titoli di coda ho capito, ho saputo con certezza di chi fosse il talento adamantino.
Di Guillermo Arriaga.
Una narrazione lenta e dolente, fluviale, quasi in tempo reale (alla Michael Mann, per intenderci); un uso sapiente e millimetrico del flash-back; il dolore di vivere che stilla dalle scene e dai volti degli interpreti (tutti bravi: alcuni conosciuti altri meno); i personaggi che narrano le loro vite senza strepiti, quasi passivamente, eppure con rara efficacia.
Alla fine del film ti sembra di sapere tutto di loro.
E poi, la contrapposizione geografica tra nord e sud; tra la pioggia e l'umidità che ti entra nelle ossa di una Portland sempre piangente e il sole accecante, la polvere e la secchezza del New Mexico desertico e lontano da tutto, senza rimedio.
Gran bel film. Film così sono merce rara. Specie oggi, specie in televisione. DA VEDERE!
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domenico argondizzo
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venerdì 13 marzo 2009
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il deserto è bello
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Mariana/Silvia, il personaggio che inizialmente più mi ha colpito nel film di Arriaga, ha in sé qualcosa della tragedia greca: volendo quindi adottare una lettura “psicanalitica”, uccide (più o meno consapevolmente) la madre, e, temendo che sua figlia sia uguale a lei (quindi temendo per la sua stessa incolumità), se ne allontana (meglio, la allontana da sé).
Ma questa lettura risulta essere troppo distorcente i meccanismi più sinceri della psiche di una persona media, quindi anche di Mariana/Silvia. Probabilmente, quindi la ragazza/donna, vuole semplicemente sfuggire alle conseguenze delle proprie tragiche azioni; ma è una fuga senza pace, perché dentro di sé mantiene un “senso morale”; ed infatti si condanna ad una perenne espiazione attraverso l’uccisione dei propri sentimenti.
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Mariana/Silvia, il personaggio che inizialmente più mi ha colpito nel film di Arriaga, ha in sé qualcosa della tragedia greca: volendo quindi adottare una lettura “psicanalitica”, uccide (più o meno consapevolmente) la madre, e, temendo che sua figlia sia uguale a lei (quindi temendo per la sua stessa incolumità), se ne allontana (meglio, la allontana da sé).
Ma questa lettura risulta essere troppo distorcente i meccanismi più sinceri della psiche di una persona media, quindi anche di Mariana/Silvia. Probabilmente, quindi la ragazza/donna, vuole semplicemente sfuggire alle conseguenze delle proprie tragiche azioni; ma è una fuga senza pace, perché dentro di sé mantiene un “senso morale”; ed infatti si condanna ad una perenne espiazione attraverso l’uccisione dei propri sentimenti.
La descrizione di Santiago è necessariamente meno approfondita, ciò non volendo dire che esso sia psicologicamente meno complesso. Infatti il regista/sceneggiatore si limita ad accennare lievemente a quanto dolore/amore possa aver provato, trovandosi solo con la piccola Maria (questo abisso viene accennato dalle stesse parole della bambina/ragazza, a proposito della cicatrice sul braccio che il padre le diceva fosse per non dimenticare la madre; egualmente si desume dalla foto incorniciata di Mariana/Silvia). Ciò che deve emergere dal livello del mare è solo la non scontata stabilità sentimentale di Santiago; ciò è funzionale al percorso catartico di Mariana/Silvia, al suo ritorno ad Itaca. Se non fosse stato l’incidente aereo, sarebbe stato un altro evento, magari anche più gravido di conseguenze, ma Lei sarebbe dovuta tornare, perché in una parte del mondo c’era chi la ricordava. La devozione di Santiago mi ha fatto pensare alla Bess di Lars Von Trier.
Il deserto è bello perché può essere un accogliente momentaneo rifugio, rispetto ad una vita in cui sono morte le aspettative, le felicità - anche, perché no, fisiche -, le speranze nel futuro. Il deserto è il posto in cui chi ha sconfitto la morte, può ritrovarsi.
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