medz
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venerdì 10 ottobre 2008
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un grande affresco drammatico e universale
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"Miracolo a Sant'Anna" è senz'altro un film tra i meglio girati e anche meglio recitati degli ultimi anni; è un film che riporta Spike Lee dietro la macchina da presa ma con la sfida di una storia "tosta" e non totalmente interna alla sua nazione; una sfida che, a mio avviso, il regista statunitense non stravince, ma comunque vince. Lee dimostra dopo 'Inside man' e 'La 25 ora' di essere un regista con un gran talento visivo, un ottimo ritmo di montaggio e un ottimo uso delle musiche che soprattutto in questo film conferiscono enfasi e pathos a molte scene senza eccedere mai nel patetico sentimentale stile Gladiatore o cose del genere; è ora, senza dubbio, di annoverare questo regista tra i grandi cineasti di questo secolo.
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"Miracolo a Sant'Anna" è senz'altro un film tra i meglio girati e anche meglio recitati degli ultimi anni; è un film che riporta Spike Lee dietro la macchina da presa ma con la sfida di una storia "tosta" e non totalmente interna alla sua nazione; una sfida che, a mio avviso, il regista statunitense non stravince, ma comunque vince. Lee dimostra dopo 'Inside man' e 'La 25 ora' di essere un regista con un gran talento visivo, un ottimo ritmo di montaggio e un ottimo uso delle musiche che soprattutto in questo film conferiscono enfasi e pathos a molte scene senza eccedere mai nel patetico sentimentale stile Gladiatore o cose del genere; è ora, senza dubbio, di annoverare questo regista tra i grandi cineasti di questo secolo. Come detto, in questo film non c'è alcuna pecca nella realizzazione tecnica del film e gli attori sono a dir poco perfetti, facce scelte in modo giusto, con una Valentina Cervi bellissima e soprattutto un Omero Antonutti che più invecchia più diventa bravo (veramente da brivido la sua intepretazione in alcuni punti!); certo, a livello di sceneggiatura qualche intoppo c'è, soprattutto nella parte centrale, nell'incontro tra il gigante di cioccolato e il bambino (ma bisogna dire che anche il doppiaggio è impietoso in alcuni punti: era così difficile lasciare la lingua originale ai soldati americani?), ma poi verso la fine tutto si ricompone senza eccessive forzature di sceneggiatura. Ovviamente, a livello di contenuti, da discutere ci sarebbe poi a lungo, come dimostrano le polemiche pre e post film. Tuttavia non posso che dire le forzature storiche sono evidenti, soprattutto nell'episodio centrale del tradimento del partigiano: c'è una piccola scritta all'inizio che avvisa che è tutta una rielaborazione artistica (ma forse conveniva metterla a fine film) e c'è sempre il dispiacere di sapere che chi proprio non conosce l'evento storico crederà per il resto dei suoi giorni che i fatti sono andati proprio così come succede nel film. Tuttavia chi ha voglia di comprendere la scritta iniziale e chi è dotato di una sana coscienza critica capirà principalmente due cose: 1. il centro del film non è la discussione repressione partigiana, repressione nazista o tradimento partigiano; il film parla d'altro, parla delle entità individuali in una guerra, ed è per questo che colpisce fortemente al cuore anche in scene che forse potrebbero sembrare ovvie, ma che non lo sono; perchè il di più di questo film è la umanità di tutti i personaggi e la particolare condizione di vittime dei protagonisti, che lo sono sia in patria sia in guerra, sottomessi da tutti; è un film sul momento in cui le leggi irrazionali della guerra ricadono su gente che vuole solo ballare, fare l'amore e abbracciare il proprio padre; ed è un film drammatico per questo perchè quelle persone potremmo essere noi, in qualsiasi momento della storia futura. Il film, come tipico di Lee, mette al centro la cultura nera, e la cala nel contesto storico americano, e scende a fondo, soprattutto con l'immagine finale della testa di statua, che suggerisce tante cose, richiamando una storia che l'America non ha e che dall'Europa è stata distrutta dal secolo delle catastrofi. 2. Ma le proteste delle associazioni partigiane non sono eccessive? Qui non si denigra l'intero movimento partigiano, ma una semplice persona che appare crudele e spietata all'interno del film e che non rappresenta in alcuna misura tutto il movimento.
Alla fine dei conti, un film sicuramente da vedere.
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paride86
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lunedì 23 marzo 2009
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decisamente inutile
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Questo film "pretende" di raccontare (seppur con molta fantasia, come suggerito all'inizio della storia) la strage di Sant'Anna; in realtà Spike Lee coglie l'(ennesima) occasione per parlare di ciò che gli sta più a cuore, ovvero il tema del meltin' pot e della discriminazione razziale. Il problema è che questo film è davvero brutto.
Innanzi tutto è poco realistico (per non dire assurdo) il modo in cui sono concatenati gli eventi: Rodolfo doveva andare proprio in quell'ufficio postale?
La coppia di americani a Roma doveva far cadere il giornale proprio sul tavolino di Angelo? Possibile che a Spike Lee non sia venuta un'altra idea?
E poi il film continua con una serie interminabile di boiate, prima fra tutte la pistola tedesca che l'ex soldato aveva a sua immediata disposizione sul posto di lavoro.
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Questo film "pretende" di raccontare (seppur con molta fantasia, come suggerito all'inizio della storia) la strage di Sant'Anna; in realtà Spike Lee coglie l'(ennesima) occasione per parlare di ciò che gli sta più a cuore, ovvero il tema del meltin' pot e della discriminazione razziale. Il problema è che questo film è davvero brutto.
Innanzi tutto è poco realistico (per non dire assurdo) il modo in cui sono concatenati gli eventi: Rodolfo doveva andare proprio in quell'ufficio postale?
La coppia di americani a Roma doveva far cadere il giornale proprio sul tavolino di Angelo? Possibile che a Spike Lee non sia venuta un'altra idea?
E poi il film continua con una serie interminabile di boiate, prima fra tutte la pistola tedesca che l'ex soldato aveva a sua immediata disposizione sul posto di lavoro. Ma dai!! E il metal detector dell'ufficio postale?
E poi la testa di marmo, che viene immediatamente riconosciuta dal professore come appartenente al trittico distrutto nel '44 a Firenze. Ma diamine: con tutte le teste di marmo che ci sono come faceva a ricordarla senza consultare un catalogo? E poi sembra plausibile che un soldato, oltre allo zaino e all'armamento, si leghi alla vita un pezzo di marmo che peserà come minimo 50 kg e continui a camminare leggiadro per le campagne toscane evitando bombe a facendo scontri a fuoco?
Forse Spike Lee non ha la minima idea del peso del marmo, visto che più tardi, nel film, il piccolo Angelo si diverte a lanciare in aria la testa come se fosse di polistirolo!
In ogni modo tutto ciò è solo un assaggio dell'implausibilità di questo film.
Già, perché negli anni '40 gli abitanti della nostra penisola parlavano davvero a malapena la lingua italiana, e più che altro si esprimevano nel proprio dialetto locale. Invece, in "Miracolo a Sant'Anna", i montanari toscani addirittura conversano amabilmente con i soldati americani nella stessa lingua fin dal primo incontro, senza la minima difficoltà di comprensione.
Se dal punto di vista tecnico c'è poco da eccepire - seppure la regia non sia così brillante - il film dura troppo ed è noiosissimo.
E poi il finale alle Bahamas è davvero ridicolo.
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felix
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venerdì 3 ottobre 2008
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grazie spike, davvero un miracolo
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Miracolo a S. Anna è un bel film, lo dico subito, che certa critica di giornali padronali o di partito però ha dimostrato di non capire. O forse, non ha voluto capire.
Probabilmente perché, in effetti, non è un film per tutti, sicuramente non per persone molto colte o intelligenti, e nemmeno per persone molto vecchie.
Il film di Spike Lee è per persone che conservano l'innocenza dei bambini, per i matti, e anche per gli artisti.
Il suo filo conduttore è infatti una sorta di trinità mistica, costituita da un gigante di cioccolata, da un'opera d'arte miracolosamente sopravvissuta nei millenni, e da un bambino, che il regista sapientemente e simbolicamente ci rappresenta come il filo conduttore e la chiave quasi mistica di volta di tutta la vicenda, quasi come un Deus Absconditus.
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Miracolo a S. Anna è un bel film, lo dico subito, che certa critica di giornali padronali o di partito però ha dimostrato di non capire. O forse, non ha voluto capire.
Probabilmente perché, in effetti, non è un film per tutti, sicuramente non per persone molto colte o intelligenti, e nemmeno per persone molto vecchie.
Il film di Spike Lee è per persone che conservano l'innocenza dei bambini, per i matti, e anche per gli artisti.
Il suo filo conduttore è infatti una sorta di trinità mistica, costituita da un gigante di cioccolata, da un'opera d'arte miracolosamente sopravvissuta nei millenni, e da un bambino, che il regista sapientemente e simbolicamente ci rappresenta come il filo conduttore e la chiave quasi mistica di volta di tutta la vicenda, quasi come un Deus Absconditus.
Che risorge e alla fine, quando il miracolo ha trovato la sua nemesi, redime.
Il film è anche un inno e una lode per il nostro paese, in cui i Buffalo Soldiers si scoprono essere accolti e riconosciuti per la prima volta come tutti gli altri esseri umani, senza discriminazioni, in un'Italia che pur era ancora permeata di fascismo, è una critica serrata ad un' America che non sa apprezzare i suoi eroi né sul campo di battaglia né nei tribunali e discrimina più in nome del profitto che della razza, perché i bianchi di tutte le razze comunque pagano meglio e di più anche i gelati.
Ma il film è anche un poema tragico sulla guerra partigiana e sui suoi limpidi eroismi, così come sui rancori inevitabili di una spietata guerra civile.
C'è il partigiano che combatte ed è incorrotto ed incorruttibile, nonostante si interroghi umanissimamente sulla sua missione e nutra, come accade sempre ai vivi, rimorsi, ed incertezze, c'è chi muore gridando viva la libertà ed offrendo la sua vita per un'Italia migliore, e c'è chi è prigioniero del rancore e della voglia di vendetta, e tradisce anche i suoi affetti più cari. Il film, in fondo, tratta il partigiano traditore molto meglio di come i veri partigiani trattavano quelli che rubavano o tradivano veramente.
Credo che in definitiva, la vicenda del film possa anche essere anche un monito profetico per un'Italia che, pure a distanza di numerosi di decenni, non è ancora riuscita a trovare una vera pace ed una vera conciliazione, in nome di un vero bene comune.
Ci sono i tedeschi spietati e quelli che riflettono e si sacrificano per salvare l'innocenza oltre che la vita dei bambini, c'è l'umanità dei paesani, a volte impauriti, a volte rancorosi altre volte accoglienti, e una figura femminile un po' surreale così come quella di suo padre, emblema di un Italia al tramonto: fiera, povera e anche dannata, che nella voluttà di vivere e restare se stessa, perisce tragicamente.
Alcuni hanno rimarcato la incoerenza e la frammentarietà delle varie situazioni e dei vari episodi, senza notare che l'intera vicenda ha un filo conduttore quasi mistico, religioso, e che coerentemente non vi è un happy end, perché il bambino di allora, diventato affarista di oggi, facendo uscire il reduce di galera, in realtà, non salva solo lui, ma salva anche se stesso.
E dimostra che il vero miracolo possibile è sempre l'apertura all'imprevisto, dall'attraversamento impossibile di un fiume di bugie prima ancora che bersagliato di bombe e di incredulità, fino al superamento del tempo e dell'ingiustizia sopravvissuta nei decenni. Perché la gente ha paura e crede solo nel bisogno di sicurezza, lo stesso che spinge a fare le guerre, oltre che a blindare le case, ma è sempre condannata all'incerto, dato che l'unica cosa certa è la presenza del miracolo e gli unici suoi angeli possono essere soltanto i matti, i bambini e gli artisti, gli unici che restano invisibili alla paura.
Dovremmo dare a Spike Lee la cittadinanza onoraria italiana, non solo quella di S. Anna di Stazzena, anche se non ci ha raccontato la sua vera storia, ma solo la sua poetica trasposizione tragica.
E bene ha fatto il Presidente della Repubblica a congratularsi con lui, davvero questo è uno dei suoi film migliori, perché c'è qualcosa di spirituale in più che negli altri mancava, quella spiritualità che è vivere e trascendere al tempo stesso la vita dal suo interno, con l'immaginazione e la follia, invisibili a più.
Per questo resta un film per pochi, anche se nutre l'intima e forse disperata speranza che diventino molti.
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la memoria
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venerdì 3 ottobre 2008
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la verità è un'altra
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per tutti quelli che non lo sanno: l'eccidio di Sant'Anna di Stazzema (come molti altri, per esempio Marzabotto,e tante altre..) fu un crimine contro l'umanità commesso dai tedeschi del 16° battaglione "Reichsführer SS" di Walter Reder,il 12 agosto 1944 in complicità con i fascisti locali.
I primi di agosto 1944, Sant’Anna di Stazzema era stata qualificata dal comando tedesco “zona bianca”,cioè UNA LOCALITà ADATTA AD ACCOGLIERE SFOLLATI: per questo la popolazione in quell’estate aveva superato le mille unità.Inoltre,sempre IN QUEI GIORNI I PARTIGIANI AVEVANO ABBANDONATO LA ZONA.Nonostante ciò, all’alba del 12 agosto ’44, 3 reparti di SS salirono a Sant’Anna e il 4 chiuse la via di fuga rimanendo a valle.
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per tutti quelli che non lo sanno: l'eccidio di Sant'Anna di Stazzema (come molti altri, per esempio Marzabotto,e tante altre..) fu un crimine contro l'umanità commesso dai tedeschi del 16° battaglione "Reichsführer SS" di Walter Reder,il 12 agosto 1944 in complicità con i fascisti locali.
I primi di agosto 1944, Sant’Anna di Stazzema era stata qualificata dal comando tedesco “zona bianca”,cioè UNA LOCALITà ADATTA AD ACCOGLIERE SFOLLATI: per questo la popolazione in quell’estate aveva superato le mille unità.Inoltre,sempre IN QUEI GIORNI I PARTIGIANI AVEVANO ABBANDONATO LA ZONA.Nonostante ciò, all’alba del 12 agosto ’44, 3 reparti di SS salirono a Sant’Anna e il 4 chiuse la via di fuga rimanendo a valle.Alle 7 il paese era circondato.Quando le SS giunsero a Sant’Anna,accompagnate da FASCISTI COLLABORAZIONISTI che fecero da guide,gli uomini del paese si rifugiarono nei boschi per non essere deportati,mentre donne vecchi e bambini,sicuri che nulla sarebbe capitato loro,in quanto civili inermi,restarono nelle loro case.
In circa 3 ore vennero massacrati 560 innocenti, in gran parte bambini, donne e anziani.I nazisti li rastrellarono,li chiusero nelle stalle o nelle cucine delle case,li uccisero con colpi di mitra e bombe a mano,compiendo atti di efferata barbarie.Infine il fuoco, a distruggere e cancellare tutto.NON SI TRATTò DI RAPPRESAGLIA.Come è emerso dalle indagini della Procura Militare di la Spezia,SI TRATTò DI UN ATTO TERRORISTICO,di una azione premeditata e curata in ogni minimo dettaglio.L'obiettivo era quello di distruggere il paese e sterminare la popolazione per rompere ogni collegamento fra le popolazioni civili e le formazioni partigiane presenti nella zona.La ricostruzione di avvenimenti,responsabilità e motivazioni che hanno originato l’Eccidio sono state possibili grazie al processo svoltosi al Tribunale Militare di La Spezia e conclusosi nel 2005 con la condanna all’ergastolo per 10 ex SS colpevoli del massacro;sentenza confermata in Appello nel 2006,ratificata in Cassazione nel 2007. Altro che partigiano traditore che scatena la rappresaglia nazista!!!!!!
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paolo t.
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domenica 19 ottobre 2008
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ma è davvero un film di spike lee?
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Un brutto film. Noioso, senza personaggi a cui affezionarsi o di cui condividere le pene, senza momenti drammatici. Una continua alternanza di spiegoni, gravati per giunta da una ridondanza che denuncia una scarsa convinzione del regista stesso nel progetto. Nessuna tensione. Momenti potenzialmente alti, come il rapporto affettivo tra il soldato religioso e la bella del paese, o quello tra il soldato tonto e il bambino, o quello tra il padre fascista e la figlia simpatizzante dei partigiani, vengono risolti con la stessa intensità di un teatro di pupi.
Chi sono questi uomini sperduti sulle montagne dell'Italia Centrale durante una guerra non loro? Sappiamo solo che sono dei neri. Maltrattati a casa, disprezzati al fronte.
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Un brutto film. Noioso, senza personaggi a cui affezionarsi o di cui condividere le pene, senza momenti drammatici. Una continua alternanza di spiegoni, gravati per giunta da una ridondanza che denuncia una scarsa convinzione del regista stesso nel progetto. Nessuna tensione. Momenti potenzialmente alti, come il rapporto affettivo tra il soldato religioso e la bella del paese, o quello tra il soldato tonto e il bambino, o quello tra il padre fascista e la figlia simpatizzante dei partigiani, vengono risolti con la stessa intensità di un teatro di pupi.
Chi sono questi uomini sperduti sulle montagne dell'Italia Centrale durante una guerra non loro? Sappiamo solo che sono dei neri. Maltrattati a casa, disprezzati al fronte. Ma chi sono realmente? Lee ha sempre giocato con lo stereotipo, che in film come Jungle Fever diventa un potente espediente narrativo: lo scontro fra stereotipi scolpisce grezzamente lo sfondo del conflitto etnico, su cui si dipana la storia cesellata dei protagonisti. In questo caso l'unico strumento è lo scalpello, ed è difficile distinguere i protagonisti per un loro comportamento specifico. Un soldato mastica uno stuzzicadenti, un altro è uno sciupafemmine, un altro ancora è "il negro più grosso che si sia mai visto", la ragazza è una che mostra le tette al primo che passa, il vecchio padre è un vecchio brontolone e il bambino è un bambino. Tutto qui. Considerata l'assenza di effetti speciali, ci si chiede su cosa dovrebbe appoggiarsi una storia di tre ore.
Mi è dispiaciuto non vedere risolte due occasioni di riscossa degli umiliati - i neri e i partigiani. L'unica rivalsa che i neri prendono contro i bianchi razzisti è un atto di prepotenza armato, senza effettiva umiliazione del bianco (l'unica "guerra" psicologia è il disprezzo dichiarato per il luridume del locale del bianco - capirai che affronto, fatto da quelle che vengono considerate "sporche scimmie"). Eppure ci sarebbero state tante occasioni, magari con un gioco di sponda tra gli avventori presenti nel locale razzista: come in "Witness", la complicità di un bambino sarebbe stata lì a portata di mano, e sarebbe stata la più formidabile vittoria dei neri sul bianco.
I partigiani, che vengono solo abbozzati come rivali-alleati dei neri americani, passano senza storia. All'ideologia del film non interessa, del resto, mostrarli dotati di alcun pregio: sono traditori, vigliacchi, militarmente inetti. Che contrasto con i tedeschi, sempre corretti e sempre pieni di rimorsi (eccetto quelli che non vediamo, e che danno ordini terribili al telefono)! Lo zampino della consulenza di Rai Cinema (nei panni di Cardini?) è decisamente evidente.
Il film non riesce nemmeno ad essere perfido. È semplicemente ingenuo. Americani e italiani si capiscono subito, parlano la stessa lingua, e capiscono addirittura il reciproco dialetto o slang. Il partigiano buono si allontana dalle sue armi, lasciando il cattivo armato fino ai denti. Un solo soldato americano tiene a bada mezzo esercito tedesco (ad Anzio le cose andarono un po' diversamente...). Il bambino con una gamba maciullata da una trave ha solo un po' di febbre, e poi scappa via zompettando.
Un disastro, di cui non faccio l'intera colpa a Lee. Che certo avrebbe potuto dedicare un po' più di cura ad una storia che li era nel cuore, e a quella che è nel cuore di altri.
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[+] non credo
(di la sese)
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aclex1
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venerdì 17 ottobre 2008
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miracolo in sala
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1944, seconda Guerra Mondiale, a Sant'Anna di Stazzema, un paesino della Toscana, vengono sterminati decine di innocenti civili da parte di una squadra militare Tedesca.
Unico sopravvissuto a questo crudele massacro un ragazzino di otto anni che, dopo essere fuggito, si imbatterà in alcuni militari afroamericani, reduci della 92ema Divisione "Buffalo Soldiers" dell'esercito Statunitense, andata dispersa dopo un attacco Tedesco.
A partire da questo fortuito(?) incontro si snoda l'intera vicenda del film in cui ognuno dei quattro militari verrà a conoscenza del vero significato della vita.
Spike Lee torna alla regia con un film dalle forti tinte melodrammatiche velate da un'aura di misticismo.
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1944, seconda Guerra Mondiale, a Sant'Anna di Stazzema, un paesino della Toscana, vengono sterminati decine di innocenti civili da parte di una squadra militare Tedesca.
Unico sopravvissuto a questo crudele massacro un ragazzino di otto anni che, dopo essere fuggito, si imbatterà in alcuni militari afroamericani, reduci della 92ema Divisione "Buffalo Soldiers" dell'esercito Statunitense, andata dispersa dopo un attacco Tedesco.
A partire da questo fortuito(?) incontro si snoda l'intera vicenda del film in cui ognuno dei quattro militari verrà a conoscenza del vero significato della vita.
Spike Lee torna alla regia con un film dalle forti tinte melodrammatiche velate da un'aura di misticismo.
Sulla base dell'evento di Sant'Anna crea una storia verosimile in cui il tema principale, quello religioso, tiene ampiamente a galla la pellicola nonostante i molti difetti presenti: una grande varietà di personaggi e,quindi, poco approfonditi dal punto di vista psicologico e parecchie sequenze che lasciano indubbiamente insoddisfatto lo spettatore.
Dal punto di vista tecnico il film è molto ben fatto, alcune inquadrature o movimenti di macchina sono ineccepibili, frutto di un lavoro meticoloso da parte del regista che,inoltre, non si tira indietro dall'omaggiare il tanto ammirato Neorealismo italiano o come non accorgersi di alcuni spunti che rimandano al noto regista russo Ejzenstejn.
Un paragone tra la famosa sequenza delle scale di Odessa e lo sterminio della popolazione di Sant'Anna non è certo improbabile; si nota la stessa intensità emotiva, le stesse rapide inquadrature al momento del massacro e dei primi piani davvero molto impressionanti.
Per quanto riguarda l'aspetto narrativo due sono i fili conduttori della vicenda; il primo, il già citato tema religioso, crea una sorta di parabola moderna in cui non manca di far notare, in una magnifica sequenza, l'uguaglianza degli uomini al cospetto di Dio.
Un film molto simbolico con la croce elemento onnipresente che funge da cardine di tutto il film.
Il secondo filo conduttore è il tema culturale che la testa della statua rappresenta.
Reperto che rimanda alla storia dell'Italia, a una cultura millenaria che non si può ignorare, cultura come elemento essenziale da tramandare, solo mantenendo vivo il passato possiamo costruire un futuro, ed ecco il vero significato della vita.
A questo punto i due temi conduttori vengono ad unirsi in quella che è l'essenza del film: la religione in fondo è cultura, il cinema stesso a cui noi assistiamo è cultura, ognuno di noi viene a trovarsi di fronte ad una epifania del vero significato della vita, proprio come i soldati della 92esima Divisione "Buffalo Soldiers".
Questo è il vero miracolo.
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rick
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martedì 28 ottobre 2008
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il miracolo che non c'è
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Miracolo a sant’Anna è utile per effettuare un’operazione che di rado si fa: uscire dalle nostre piccole realtà, dal nostro “orticello”, per vedere com’è il mondo là fuori e come il mondo vede noi. Le incongruenze di film di guerra americano ambientato in Italia non sfuggono al nostro occhio, ci può ingannare se ci narra storie francesi, tedesche o russe ma non con storie italiane. No, non sto parlando delle palesi e dichiarate inesattezze storiche circa il massacro di Stazzema, anzi, semmai il regista un po’ ci sperava nella polemica (sapete com’é… bene o male l’importante è che se ne parli), sto parlando di come viene rappresentata la nostra realtà da un regista d’oltreoceano. I toscani parlano tutti fiorentino, i neri di Harlem e gli italiani di Colognora parlano la stessa lingua, dialetti compresi (è così anche nella versione non doppiata), le ragazze del 1944 erano disinibite, emancipate, pronte ad accogliere a tette sventolanti i “negri”.
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Miracolo a sant’Anna è utile per effettuare un’operazione che di rado si fa: uscire dalle nostre piccole realtà, dal nostro “orticello”, per vedere com’è il mondo là fuori e come il mondo vede noi. Le incongruenze di film di guerra americano ambientato in Italia non sfuggono al nostro occhio, ci può ingannare se ci narra storie francesi, tedesche o russe ma non con storie italiane. No, non sto parlando delle palesi e dichiarate inesattezze storiche circa il massacro di Stazzema, anzi, semmai il regista un po’ ci sperava nella polemica (sapete com’é… bene o male l’importante è che se ne parli), sto parlando di come viene rappresentata la nostra realtà da un regista d’oltreoceano. I toscani parlano tutti fiorentino, i neri di Harlem e gli italiani di Colognora parlano la stessa lingua, dialetti compresi (è così anche nella versione non doppiata), le ragazze del 1944 erano disinibite, emancipate, pronte ad accogliere a tette sventolanti i “negri”. Tutti questi stereotipi (e assurdità) velleitari non suscitano nemmeno rabbia, semmai irritazione, sbuffate stizzite, arricciamenti di naso; ci ricordano che a distanza di tanti anni per “loro” “noi” eravamo (e siamo) nient’altro che macchiette, ben che vada buffi personaggi di cui ridere, quando non fedifraghi, traditori e sostanzialmente inutili (come lo sono nel film i partigiani). Spike Lee si cimenta in un genere che non gli è congeniale e non basta un corso intensivo per fare un buon film di guerra portatore di un messaggio. Le scene di battaglia seguono lo stile iperrealistico inaugurato da “Salvate il Soldato Ryan”: camera mossa, urla, spari, sangue; ma le suddette battaglie sono evidentemente state fatte “al risparmio”, non ci sono mezzi di alcun tipo (a parte uno sparuto cannone), solo i soldatini con le loro armi e le iperbole della telecamera che cerca di far scordare la povertà di una produzione che vuole mettersi a rivaleggiare con i kolossal del genere (addirittura l’unica colonna di blindati e soldati è palesemente fatta al computer). In realtà il tema della guerra è solo un pretesto con cui Lee può imbandire la sua (ennesima) denuncia al razzismo, tra rivalse armate in un bar, lagne contro John Wayne ed esagerazioni sul ruolo dei neri in guerra. Troppo urlata è la morale mistica, in cui la religione è l’unico comune denominatore che può avvicinare i popoli (la scena delle preghiere trasversali). I personaggi principali sono troppo surreali per essere presi sul serio (uno su tutti: il “negro” grande e grosso, copia di Forrest Gump). Angelo (un nome, un programma) è la vetta della scialba metafora religiosa, come Gesù viene fuori da una capanna, “sente le voci”, fa miracoli (almeno nel riparare radio), si rialza come se nulla fosse dopo essersi beccato una pallottola, assolutamente troppo semplicista ed ovvia la valenza religiosa del personaggio (nonché la sua scopiazzatura da Giosuè di “La Vita è Bella”). Curiosamente, nonostante il titolo che porta, il film ha poco a che vedere con Sant’Anna e la sua storia, il massacro è un evento totalmente secondario, raccontato solo tramite una sequenza inutilmente truculenta e splatter, un puro esercizio onanistico a base di violenza nuda e cruda; persino in questa circostanza non si esce dalla morale religiosa, Lee scomoda addirittura Gesù facendo citare una sua celebre frase al prete. Bhe, nonostante questo film, concediamo a Spike il beneficio del dubbio e quindi il perdono, poiché forse non sa quello che fatto. Voto= 1 stella e 1/2.
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jos_d
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venerdì 15 gennaio 2010
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esperimento solo in parte riuscito
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Tratto dall’omonimo romanzo di James McBride -autore anche della sceneggiatura-, un film molto particolare che ha alla base un dramma bellico ma che è colorito da risvolti fantastico-religiosi e, naturalmente, da divagazione sulla questione razziale: esperimento fondamentalmente fallito, o comunque riuscito solo in parte. Al di là del fatto che la veridicità storica della vicenda è da prendere con le pinze -come del resto avverte anche la didascalia introduttiva-, il film risulta comunque al di sotto delle aspettative sia perché ci sono diverse imperfezioni (per esempio viene spontaneo chiedersi quale sia la lingua che permette a dei militari americani -tutti neri di Harlem!- di comunicare senza problemi con dei toscani di paese), ma soprattutto perché non riesce a creare quel coinvolgimento emotivo necessario allo spettatore per reggere bene di fronte ad un drammone di oltre due ore e mrzza.
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Tratto dall’omonimo romanzo di James McBride -autore anche della sceneggiatura-, un film molto particolare che ha alla base un dramma bellico ma che è colorito da risvolti fantastico-religiosi e, naturalmente, da divagazione sulla questione razziale: esperimento fondamentalmente fallito, o comunque riuscito solo in parte. Al di là del fatto che la veridicità storica della vicenda è da prendere con le pinze -come del resto avverte anche la didascalia introduttiva-, il film risulta comunque al di sotto delle aspettative sia perché ci sono diverse imperfezioni (per esempio viene spontaneo chiedersi quale sia la lingua che permette a dei militari americani -tutti neri di Harlem!- di comunicare senza problemi con dei toscani di paese), ma soprattutto perché non riesce a creare quel coinvolgimento emotivo necessario allo spettatore per reggere bene di fronte ad un drammone di oltre due ore e mrzza.
Il film comincia con un antefatto per prolessi: nel 1983 il signor Negron, irreprensibile impiegato di sportello vicino alla pensione, spara a sangue freddo ad un utente di nazionalità italiana. Per sapere cosa sta dietro a questo apparentemente assurdo fatto di sangue bisogna fare un salto nel passato di circa quarant’anni, al tempo della seconda guerra mondiale, quando il caporale Negron sbarca in Italia con la 92° Divisione Buffalo per affiancare la resistenza partigiana contro le forze nazi-fasciste. In particolare i soldati americani arrivano in Toscana, a Sant’Anna di Stazzena, recentemente teatro di una delle più efferate carneficine compiute dai nazisti nel nostro Paese.
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mik
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domenica 1 marzo 2009
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...miracolo a metà, o forse meno...
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Un consiglio: prima di vedere questo film converrà lasciarsi alle spalle diverse aspettative che un titolo e una ambientazione del genere potrebbero stoltamente suggerire. Sarà meglio infatti lasciare da parte la pretesa di una ricostruzione storica minuziosa (relativa alle vicende belliche dell'Italia di allora, o riguardo annose controversie sulla lotta patigiana o sulle stragi nazi-fasciste) o quella di un realismo di guerra dettagliato (qui soldati americani neri e cittadini dell'appennino toscano si capiscono quasi al volo!!), meglio dimenticarsi magistrali sequenze di guerra come quelle viste in Spielberg (qua apparirà si e no qualche bordata di artiglieria e nulla più), e preparatevi anche a seguire il filo di una storia mai troppo chiara, frastagliata, intrisa di una stucchevole religiosità tutta americana.
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Un consiglio: prima di vedere questo film converrà lasciarsi alle spalle diverse aspettative che un titolo e una ambientazione del genere potrebbero stoltamente suggerire. Sarà meglio infatti lasciare da parte la pretesa di una ricostruzione storica minuziosa (relativa alle vicende belliche dell'Italia di allora, o riguardo annose controversie sulla lotta patigiana o sulle stragi nazi-fasciste) o quella di un realismo di guerra dettagliato (qui soldati americani neri e cittadini dell'appennino toscano si capiscono quasi al volo!!), meglio dimenticarsi magistrali sequenze di guerra come quelle viste in Spielberg (qua apparirà si e no qualche bordata di artiglieria e nulla più), e preparatevi anche a seguire il filo di una storia mai troppo chiara, frastagliata, intrisa di una stucchevole religiosità tutta americana...infine mettete anche in conto che vi troverete non raramente di fronte ad un pressapochismo cinematografico irritante, con numerose scene fuori posto e spesso poco plausibili.
A questo punto, lasciato alle spalle tutto ciò e represso violentemente il vostro ego di spettatore che ritiene questo indispensabile per realizzare un film quantomeno decente, sarete pronti per godervi ciò che di buono saprà offrirvi questa pellicola: ovvero momenti di buona drammaticità insieme a una discreta dose di azione, conditi dalla consueta verve di Spike Lee nell'approfondire ancora una volta la tematica razziale, questa volta riletta secondo il "filtro" di una seconda guerra mondiale che non vede più il bene assoluto/male assoluto contrapposti, ma fronti spesso diversi anche tra loro stessi. Insomma Spike riesce nuovamente meglio in quello che sa fare: rappresentare a dovere le tribolazioni interiori di quei "buffalo soldiers" (impossibile non pensare anche a B.Marley a riguardo) chiamati a combattere in nome di una patria che sentono come estranea...ed è probabilmente in questo modo che il film raggiunge i suoi momenti di maggiore intensità emotiva.
Basta per un "miracolo?" probabilmente no.
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