Il matrimonio di Lorna |
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Un film di Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne.
Con Jérémie Renier, Arta Dobroshi, Fabrizio Rongione, Alban Ukaj, Morgan Marinne.
continua»
Titolo originale Le silence de Lorna.
Drammatico,
durata 105 min.
- Belgio, Gran Bretagna, Francia, Italia, Germania 2008.
- Lucky Red
uscita venerdì 19 settembre 2008.
MYMONETRO
Il matrimonio di Lorna
valutazione media:
3,43
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Dardenne, la vita reale diventa grande cinema
di Roberto Nepoti La Repubblica
Poche volte abbiamo visto rappresentare con tanta forza sullo schermo la tragedia dell’immigrazione, il traffico di corpi e identità, la nuova schiavitù che coinvolge tante vittime e tanti carnefici in uno dei peggiori inferni del mondo globalizzato. La giovane albanese protagonista del Matrimonio di Lorna rappresenta una sintesi degli uni e degli altri. Per conquistare la cittadinanza belga, si è legata a un equivoco tassista di Liegi che le ha combinato un matrimonio bianco col tossicomane Claudy; ora si prepara a sposare un mafioso russo: dalle nozze questi otterrà una nuova nazionalità, Lorna i soldi per aprire un bar col suo ragazzo albanese. Da chiave di volta del piano, il fragile Claudy ne diventa l’impedimento da rimuovere. Basta simulare la morte per overdose dell’ingombrante junkie; ma sarà, Lorna, così dura da tacere ciò che ha già capito? In lei va affiorando un senso di pietà per il poveretto, tormentato dai crampi dell’astinenza: quanto basta per offrirgli il proprio corpo come palliativo, forse non abbastanza per proteggerlo dal delinquente con cui si è associata. Due volte vincitori della Palma d’Oro (per “Rosetta” e “L’enfant”), quest’anno Jean-Pierre e Luc Dardenne hanno incassato “solo” il premio per la sceneggiatura a Cannes. Va subito detto, però, che Il matrimonio di Lorna è un film molto vicino al capolavoro: forse meno compatto e conchiuso dei precedenti, ma perché segna una fase di passaggio nello stile dei due fratelli valloni. Se da una parte, infatti, i cineasti continuano a pedinare gli attori con una serie di semi-soggettive che ti fanno entrare nella loro pelle (la vicenda di Lorna è una Via Crucis che lo spettatore patisce assieme a lei), dall’altra la macchina da presa comincia a staccarsene, a prenderne le distanze tramite inquadrature meno mobili, abitate da più personaggi. Contemporaneamente i Dardenne ricorrono all’ellissi, al “taglio” anche brusco di alcuni avvenimenti, che è compito dello spettatore intuire. Ancora una volta, beninteso, ci raccontano una storia di caduta e redenzione; usano un linguaggio naturalistico degno del migliore neorealismo italiano per mettere in scena conflitti interiori e sensi di colpa, percorsi di crescita spirituale che evocano (in versione più laica) il cinema di Robert Bresson. Al grande regista francese li accomunano molte cose: a partire dalla rappresentazione del denaro, che circola continuamente in questo e negli altri loro film con il suo enorme potere materiale e simbolico. E si può senz’altro aggiungere la maniera ammirevole con cui, in modo analogo al vecchio maestro, sanno utilizzare l’intensità espressiva di interpreti semi- sconosciuti: nel caso l’albanese Arta Dobroshi (invece Claudy è lo struggente Jérémie Renier, l’attore-feticcio del duo): corti capelli neri a caschetto e una fisicità che scende dallo schermo in platea, mentre il suo volto esprime il passaggio da un sentimento a un altro, oppure annaspa tra sentimenti simultanei e contrastanti. Come accade nella vita reale, e nel grande cinema.
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