Il bambino con il pigiama a righe |
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Un film di Mark Herman.
Con Asa Butterfield, Zac Mattoon O'Brien, Domonkos Németh, Henry Kingsmill, Vera Farmiga, Cara Horgan, Zsuzsa Holl, Amber Beattie.
continua»
Titolo originale The Boy in the Striped Pyjamas.
Drammatico,
Ratings: Kids+13,
durata 93 min.
- USA 2008.
- Buena Vista International Italia
uscita venerdì 19 dicembre 2008.
MYMONETRO
Il bambino con il pigiama a righe
valutazione media:
3,32
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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La morale di una favola neradi Tom CineFeedback: 4278 | altri commenti e recensioni di Tom Cine |
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martedì 1 settembre 2020 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
NELLA MENTE DEL PICCOLO BRUNO
Parto da questa premessa: “Il bambino con il pigiama a righe” non é ( non vuole essere ) un film realistico sulla Shoah. Alcune inesattezze (non vi dirò in cosa consistono per non anticiparvi troppo) sono volute perché l’intenzione ( molto chiara ) è quella di dar vita ad una favola nera ( accessibile a tutti, ragazzini compresi ) e non ad una rievocazione realistica di un episodio che riguarda la Shoah. E’ una storia inventata e si prende delle necessarie (ai fini della narrazione) libertà. L’impronta favolistica è accentuata anche dall’età e dalla caratterizzazione del personaggio protagonista. Questo film, tratto da un romanzo di John Boyne che il regista ha adattato per il cinema, ha infatti, come protagonista, un bambino di otto anni ingenuo e sognatore: Bruno (Asa Butterfield, reso famoso da questo film e dal successivo “Hugo Cabret”). Il secondo conflitto mondiale è in corso e Bruno è il figlio di un ufficiale nazista. Un giorno, il padre di Bruno riceve il compito di dirigere un campo di sterminio. L’uomo e la sua famiglia traslocano: la nuova dimora è proprio nelle vicinanze del campo e l’orizzonte è contrassegnato dal macabro fumo prodotto dalle ciminiere dei forni crematori. Bruno è, però, all’oscuro di tutto questo perché è immerso nelle sue fantasie infantili e, soprattutto, perché la famiglia gli nasconde la verità. Ma la verità non si può nascondere per sempre ed un giorno, contravvenendo alle regole che gli sono state imposte, Bruno esce da una porta secondaria, percorre un bosco ( tipico elemento favolistico ) e arriva al recinto in filo spinato che cinge il campo ( lui crede che si tratti di una fattoria ). Dall’altra parte della recinzione c’é Shmuel, un bambino ebreo internato: è quello del titolo. Fra Bruno e Shmuel, nonostante il filo spinato che li divide, nasce una profonda amicizia che porterà la storia ad un finale imprevedibile.“Il bambino con il pigiama a righe” è un film che chiede, allo spettatore, di lasciare da parte la propria incredulità e di accettare, per tutta la sua durata, le volute inesattezze della favola che gli viene narrata: una storia sul potere dell’amicizia e sulla scoperta del Male ( sì, quello con la “M” maiuscola ). Se lo spettatore acconsente, si trova davanti ad un film bellissimo.Il pregio più grande di questo film è la capacità della sceneggiatura nel saper entrare dentro la psicologia del bambino protagonista e nel saper rendere credibili, all’interno del suo inquietante microcosmo familiare ( ha pure una sorella che è una simpatizzante del nazismo) i suoi stupori, i suoi dubbi e anche la maniera in cui la sua fantasia rifiuta una realtà che viene percepita ma che è troppo dura da accettare. Herman riesce anche ad evitare le facili trappole del dramma strappalacrime ( che in questo contesto sarebbero state inopportune ), raffreddando i toni, soprattutto attraverso l’uso di una fotografia che predilige tonalità algide, senza tuttavia rinunciare ai sentimenti e alle emozioni, che serpeggiano sotto l’apparente austerità. Il film è estremamente curato nel disegno psicologico non solo di Bruno, ma anche degli altri personaggi: dall’ebreo Pavel al tenente Kotler, dalla sorella fino alla madre Elsa, per finire con la figura del padre, un uomo dalle molte sfaccettature e che ricorda, allo spettatore, che persecutori e assassini si nascondono anche sotto un’apparenza bonaria e innocua. Quello del padre è un personaggio-chiave e che acquista una drammatica rilevanza nello splendido finale ( da non raccontare e da non farsi raccontare ), quando quel mostro (il lager), incombente per quasi tutta la durata di questa favola nera, si rivela in tutto il suo orrore svelando la profonda morale del racconto e orientandolo verso una conclusione che emoziona profondamente, commuove, si installa nella memoria e non se ne va più via.
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