Hunger

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Un film di Steve McQueen (II). Con Michael Fassbender, Liam Cunningham, Stuart Graham, Brian Milligan, Liam McMahon.
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Drammatico, durata 96 min. - Gran Bretagna, Irlanda 2008. - Bim Distribuzione uscita venerdì 27 aprile 2012. MYMONETRO Hunger * * * * - valutazione media: 4,25 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Lo stile Mc Queen trasforma la cronaca in arte Valutazione 4 stelle su cinque

di donni romani


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martedì 1 maggio 2012

Prima collaborazione Mc Queen - Fassbender tre anni prima di Shame (Hunger è infatti del 2008), Camera d'Oro a Cannes e manifesto dichiarato dello stile Mc Queen, visivo, fisico, inquietante e spiazzante. Il film segue la storia di Bobby Sands, esponente della lotta per l'indipendenza irlandese, in carcere negli Anni Ottanta quando Margareth Thatcher abolì lo status di prigioniero politico equiparando di fatto tutti i detenuti appartenenti all'Ira a terroristi comuni. A questo seguì lo sciopero "dello sporco" represso dalle guardie carcerarie con una ferocia impressionante e un ben più definitivo sciopero della fame in cui morirono ben nove detenuti in sette mesi, fra cui Bobby Sands appunto. Ma più che un film cronaca o un film biografia Mc Queen ci regala un'opera potente fatta di immagini forti, di pochissimi dialoghi - eccettuata la lunghissima scena centrale (23 minuti e 30 secondi) del colloquio in carcere fra Bobby e un sacerdote, tutta in piano sequenza, inquadratura a distanza sui due prima e primo piano stretto su Fassbender  poi -  e di un finale lento, prolungato, straziante e indimenticabile grazie anche al fisico devastato di Fassbender. Hunger è il racconto di una fede si potrebbe dire, non importa quale, del credere talmente in qualcosa da essere pronti a sacrificare la propria vita in nome di quel qualcosa. La libertà dell'Irlanda per Bobby Sands, la salvazione dell'umanità per Gesù Cristo. E non a caso  certe scene, lasciate in assoluto silenzio, senza neanche un commento sonoro a stiepidirle, evocano il martirio di Gesù, le piaghe da decubito ricordano le stimmate, il lenzuolo macchiato di sangue evoca la Sindone, il volto emaciato e sperduto ripropone l'iconografia di tante immagini di Cristo sulla croce. Il lungo dialogo fra Bobby e il prete che tenta di convincerlo e non intraprendere lo sciopero che lo porterà alla morte e di optare per la via più diplomatica delle mediazioni è intenso, teologico e filosofico, ma è soprattutto la dimostrazione di quanto una fede sia più forte di una qualunque analisi sociale politica e culturale, di una qualunque ragione, di un qualunque compromesso. E infatti non c'è mai rabbia nelle parole di Sands, e non c'è rassegnazione, c'è solo la personale, intima e privata convinzione di star facendo la scelta giusta, coerente con la sua natura. Film potente dicevamo, tanto più nella sua capacità di raccontare un evento storico con toni antiepici e antieroici, mostrando solo i corpi, i gesti di detenuti e poliziotti (le violenze avvengono quasi sempre fuori campo e solo le nocche insanguinate che un poliziotto immerge nell'acqua del lavandino sono lì in primo piano a raccontare  l'orrore di quei giorni), lasciando che siano i fluidi corporali a parlare, le cicatrici a raccontare, le celle sporche ad evocare. Mc Queen è capace come pochi di fare un cinema estremamente fisico, che scava nel corpo, e attraverso quel corpo, sempre più scarno, sempre più provato, sempre più mezzo di espressione e di rivendicazione, evocare l'universo che muove quel corpo, rendere materiale, quasi tangibile ciò che invece tangibile non è, quel groviglio di passioni e ideali che portò un ragazzo di ventotto anni a morire dopo 66 giorni di sciopero della fame. Film denuncia si usa dire di pellicole che evocano tragedie come questa, ma in questo caso la denuncia si fa opera d'arte e il vissuto diventa, cinematograficamente parlando, un magnifico esercizio di stile Mc Queen. 

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