Gomorra

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Un film di Matteo Garrone. Con Toni Servillo, Gianfelice Imparato, Maria Nazionale, Salvatore Cantalupo, Gigio Morra.
continua»
Drammatico, durata 135 min. - Italia 2008. - 01 Distribution uscita venerdì 16 maggio 2008. MYMONETRO Gomorra * * * * - valutazione media: 4,02 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Maxischermo Gomorra

di Gianluca di Feo Il Venerdì di Repubblica

Abbiamo visto in anteprima con il pm che indagò sulle stragi di camorra, il film tratto dal romanzo di Saviano del regista Garrone. Una apocalisse tutta in dialetto. Un inferno di violenza e degrado. Girato nei fortini dei clan.
La statua di padre Pio che cala dai piani alti delle Vele di Secondigliano, il mostro urbanistica diventato teatro della faida di camorra più sanguinosa. Un santo che viene fatto traslocare, cacciato via perché è venuta l'ora dei killer e bisogna decidere tra amici e nemici: anche padre No è finito con gli scissionisti e segue in guerra i suoi devoti. Un'immagine surreale, quasi oniríca che invece appartiene alla più profonda realtà. Questa è la forza dei film che Matteo Garrone ha tratto da "Gomorra", il romanzo-inchiesta di Roberto Saviano: un racconto visivo che esce dal libro e sì immerge, come dice il regista, nell'apocalisse quotidiana della criminalità campana. Cinque storie parallele si intrecciano per inabissarsi in una terra dove non c'è più civiltà: tutto ha un prezzo, tutto si brucia, tutto è morte. Pochi attori veri, con Toni Servillo nella parte del manager di rifiuti . Tossici. II resto è la vita che entra nel film: gli abitanti delle Vele, fortezza impenetrabìle alle polizie, che interpretano se stessi. Nella produzione Fandango, che sarà in gara 'a Cannes, non c'è l'italiano: solo dialetto con sottotitoli. Le canzoni dolciastre dei neomelodici si alternano agli spari dei sicari, che ammazzano sempre a tradimento. Niente sole, né futuro: il mare non bagna Gomorra.
«Nel corridoio passerella dei piano alto vendono droga, mentre in quello in feriore celebrano un matrimonio. Tutto sotto il controllo delle vedette dei clan. T una scena potente, che sintetizza una microsocietà organizzata intorno allo spaccio, Un mondo chiuso- non c'è altro, non c'è un centro urbano, mai un contatto con l'esterno. L un anti-Stato». Raffaele Cantone è uno spettatore particolare. Come pubblico ministero ha indagato su alcune delle vicende che sono diventate racconto di Saviano e adesso film di Garrone. Come quella di Marco e Ciro, ragazzini testardamente senza paura che sfidano l'ordine pubblico dei padrini casalesi: «Ricordo quando i toro corpi furono scoperti. Non posso dimenticare come h avevano ridotti, abbondandoli all'oltraggio degli animali. E sento ancora l'amarezza per non avere individuato con certezza gli esecutori dei delitto. Uno degli attori che h interpreta è una maschera perfetta dei giovani di quella provincia disastrata»
Ci sono tanti bambini, usati come manovalanza. Per tutti la prova d'iniziazione è indossare un giubbotto corazzato e farsi sparare dritto sul petto. Cadono come burattini e poi si rialzano, burattini al servizio dei boss. «Il rispetto per i bambini è un tabù che a Secondigliano è stato superato: il meccanismo dello spaccio coinvolge tutti senza guardare all'età, non più esseri umani ma ingranaggi. I casalesi sembrano essere più rispettosi, non a caso sono i più mafiosi dei clan campani anche se nel film vengono presentati con un eccesso di premura verso quei minorenni che creano disordine».
Tra le due camorre c'è una differenza di stile. Le reclute delle periferie napoletane vengono mostrate più fashion, con abiti griffati e auto trendy che spiccano nel degrado dei falansteri popolari. L casalesi appaiono anziani, rozzi e grassi, spesso in ciabatte. « Rimasi stupito davanti al cadavere di uno scissionista ventenne. Indossava solo capi firmati, dalle scarpe in su», ricorda il magistrato: «Certo, i casalesi sono altro. Anche gli accenti sottolineano la diversità: in quella zona del Casertano il dialetto non ha la purezza napoletana ma influenze pugliesi. Solo uno degli attori riesce a parlarlo. Ma quello dei casalesi attempati è uno stereotipo forzato: hanno leve giovani e feroci». Cantone è nato e cresciuto in quei luoghi: «Avevo una casa proprio a Castel Volturno fino a pochi anni fa, l'ho lasciata quando assassinarono l'uomo che curava il giardino. Certo, poter comprendere i dialoghi originali permette di respirare il film in modo diverso. I sottotitoli devono necessariamente sacrificare sfumatore e lessico di quel mondo». Forse è proprio per la sua capacità di decifrare la realtà casalese che i boss lo considerano un pericolo: anche adesso che ha lasciato la Procura antimafia campana per la Cassazione continuano a minacciarlo, allineando il suo nomea quello di Saviano e della cronista Rosaria Capacchione. Cinque finanzieri lo scortano ovunque, persino nel buio della sala proiezione. E anche quei giovani che stanno dall'altra parte non nascondono lo stupore per il realismo: «Quelli sono loro. Non sembra un film». Un'apocalisse che si perpetua, come una bestia biblica che continua a divorare se stessa? «L'importante è mostrarlo. Fa vedere che non c'è futuro, che arrivare a compiere trent'anni è un traguardo ambito: non ci sono eroi criminali. Nell'unica scena girata nella villa costruita dal padrino Sandokan copiando la dimora di Scodate, i due adolescenti ripetono a memoria il dialogo di Al Patino ma sono destinati a finire crivellati. Carne da macello: si uccide e si muore senza nemmeno capire cosa sta succedendo. E se non mitizzi la vita del camorrista, se indichi con chiarezza che porta solo alla morte, allora dai comunque una spinta a cambiare».
Si vedono tanti quattrini, mazzi di banconote. E ragazzi che hanno una sola certezza: A soldi sono la prima cosa». Tutto è al l'asta, anime e corpi. «Ma quelle sono le briciole. Quanto denaro consegna il postino che paga il mensile alle famiglie dei detenuti? Cinquecento euro per una moglie in carcere? Il film descrive solo i proletari della camorra, si ferma al piano basso. Più in alto c'è chi accumula capitali e ancora più su chi li investe: una sfera che compare nel libro di Saviano mentre Garrone si concentra sul microsistema dello spaccio».
La violenza è controllata: non si spreca un colpo, ogni azione appare meditata. «II sistema regola la violenza, ma solo all'interno. Se si allargasse il campo al rapporto con la città, si vedrebbe come sfogano l'aggressività verso l'esterno: picchiano, spaccano vetrine. I quartieri borghesi di Napoli diventano la zona per scaricare la tensione». O fanno come i guaglioni che hanno rubato l'arsenale dei padrini: sparano e sparano. «Anche le armi che appaiono come feticci, ostentate e adorate, lo sono solo per i ragazzini: con l'età diventano strumenti di lavoro».
Impressionanti le dinamiche dei rifiuti tossici, con i contadini che ne chiedono di più per aumentare i guadagni: «Sempre più terra? Ci penso io a riempirla», assicura il manager senza scrupoli interpretato da Servillo. E così avvelenano tutto: «Vendendo la terra si rinuncia alle radici. Il fenomeno c'è stato: dì sicuro non poteva funzionare senza connivenza. Ancora oggi non abbiamo idea di quanto sia profondo l'inquinamento. Ricordo quando sul litorale scavavano decine di laghetti. Allevamenti di pesce, dicevano. Invece la sabbia serviva per il cemento e il buco per nascondere scorie».
La pellicola è spietata, senza speranza. «No, una speranza c'è. La testimonia l'assistente dei manager, quel Roberto che sembra identificarsi con Saviano: rinuncia al posto per non accettare il sistema criminale. Ma il film parla di Secondígliano e del Casertano. Napoli è un'altra storia. I boss sentono la pressione dello Stato, sanno che li attende il carcere duro: li non ostentano, non camminano liberamente, evitano lo sfarzo. Certo, per sconfiggere la camorra ci vorrà tanto tempo e non bastiamo noi magistrati. Serve una bonifica sociale. Se alle Vele togli la droga, di che vive quella gente?>,. La pellicola si chiude. I ragazzini che non volevano capi sono finiti in trap pola, quattro colpi e i loro corpi finiscono nella foce del fiume. E il Volturno. Li è nata l'Italia. Garibaldini e sabaudi, insieme, spazzarono via l'armata borbonica sancendo l'unità. Il Volturno di Matteo Garrone è tornato a essere la linea dei fronte. Quella tra Stato e anti-Stato. E non è detto che a vincere sia il prima. Da L’Espresso, 25 Maggio 2008

di Gianluca di Feo, 25 Maggio 2008

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