Disastro a Hollywood

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Un film di Barry Levinson. Con Robert De Niro, Sean Penn, Catherine Keener, John Turturro, Robin Wright.
continua»
Titolo originale What Just Happened?. Commedia, durata 107 min. - USA 2008. - Medusa uscita venerdì 17 aprile 2009. MYMONETRO Disastro a Hollywood * * 1/2 - - valutazione media: 2,57 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Noi ci ridiamo su, ma Hollywood è un posto davvero triste

di Arianna Finos Il Venerdì di Repubblica

Nevrosi, capricci da star, lotte per soldi: un amico produttore li racconta in un libro e l'attore li porta sullo schermo. In compagnia di altri esperti, da Bruce Willis a Sean Penn
Il grado di confidenza che Art Linson ha con Robert De Niro si capisce dal fatto che continua a interromperlo per dire la sua senza che Bob faccia una piega. Linson è lo stereotipo del produttore: aria nevrotica, parla a raffica e ha le mani sudate. Tra le sue creature ci sono successi come Gli intoccabili, Heat – La sfida, Fight Club, Into the Wild. Ma anche disastri come Falso tracciato e Paradiso perduto. Ho scoperto che sarebbe riuscito a superare gli alti e bassi della sua vita professionale raccontandoli con feroce ironia in libri autobiografici. Nel 2002 What Just Happened? Storie amare dal fronte di Hollywood è diventata un bestseller e ora un film di Barry Levinson, Disastro a Hollywood.
Una delle caratteristiche che hanno portato al successo i racconti di Linson è che lui fa nomi e cognomi. Ecco Alec Baldwin che rischia di far saltare un film perché rifiuta di radersi, mentre Gwyneth Paltrow è quasi bocciata perché secondo il produttore «non ha mento». La coppia Robert Redfort-Edward Norton, spiega il produttore, economicamente vale quanto Kenau Reeves da solo. Poi c'è Bob, Robert De Niro, appunto. Avere il suo cellulare significa che la sua carriera ha un senso. Nel libro di Linson, e lo si vede in diretta, Bon è un «amico», ma anche un «pignolo impenetrabile». Uno che impone un copione ma alla fine molla tutto perché nella storia c'è un orso. Uno che stronca un film perché i protagonisti non si tolgono mai il cappello. «E alla fine dice quasi sempre no» racconta Linson. Ma per Disastro a Hollywood a sorpresa, De Niro ha detto sì. Non ha però voluto interpretare un divo, come hanno fatto Sean Penn e Bruce Willis. Ha chiesto di essere «il suo amico» Art Linson nel pieno delle sue nevrosi: le due settimane in cui deve gestire due film, domare una star capricciosa, sollevare un agente depresso, cercare di riprendersi l'ex moglie mentre scopre i segreti di una figlia lolita, rabbonire la ' tirannica executive di una major e convincere un regista cocainomane a cambiare il finale di un film, giudicato disastroso alle proiezioni test.
De Niro, è vero che l'idea di trasformare il libro di Linson in un film è stata sua?
De Niro: «Sì. Leggendolo mi sono fatto un sacco di risate. E ho scoperto una prospettiva sui meccanismi dell'industria di Hollywood che da attore non conoscevo. Ho detto ad Art: prova a farne una sceneggiatura, se ci riesci recito nel tuo film».
Il vostro ritratto di Hollywood è decisamente sopra le righe.
Linson: «Molti amici dell'ambiente mi hanno accusato di aver fatto una commedia troppo bonaria, loro vivono una quotidianità molto più feroce e con meno senso. La mia intenzione era di far capire alla gente ï come ci si sente a stare in mezzo a questo mondo che da lontano sembra tanto sfavillante».
De Niro: «Abbiamo dovuto togliere alcuni episodi, ci sembravano esagerati anche se erano totalmente veri. A differenza di Art, io non appartengo alla vita di Los Angeles, mi ritengo sostanzialmente un newyorkese. Fin dai tempi di Mean Streets, girato in entrambe le città, ho capito che a New York si sarebbe svolta la mia vita vera, mentre Los Angeles sarebbe rimasta una metropoli-azienda. Non ho mai tentato di esplorarla, al di fuori dei circuiti lavorativi».
Com'è cambiata l'industria del cinema dagli anni Sessanta, quando avete cominciato?
Linson: «Fare un film è difficile allo stesso modo, ma in più oggi c'è il problema dei costi. Talmente alti da inibirti dal prender qualsiasi decisione rischiosa. E, nel momento stesso in cui inizi a pensare che tutto sta diventando troppo tosto per te, sei già fuori dal business».
De Niro: «Però oggi ci sono molti più produttori indipendenti, quando ho iniziato non esistevano. Questo significa la possibilità di una maggiore qualità dei film e più scelta per il pubblico».
Linson: «Già, ma da quando le major sono entrate nel business del cinema indipendente, i costi sono lievitati anche lì».
Avete avuto mai paura, come il protagonista del film, di perdere la vostra posizione a Hollywood?
Linson: «Certo. A parte una manciata di intoccabili, come Bob, il novanta per cento di noi punta alla sopravvivenza quotidiana. C'è una scena in cui il personaggio interpretato da Turturro, un agente che soffre di disordini intestinali, ha una crisi di nervi perché non riesce a governare i capricci della star. Bob nel film gli dice: "La verità è che hai paura del tuo cliente". E lui, in una squallida stanza di un residence, urla in mutande: "La verità è che io ho paura di tutti loro". È una sensazione che conosco perfettamente».
De Niro: «Sono stato fortunato: aver fatto carriera mi ha consentito di restare ai margini di questo tipo di meccanismi. Però anche io, come il protagonista del film, ho vissuto quelle giornate in cui ti si chiede di essere mille cose insieme. E da regista conosco la difficoltà di trovare soldi per i progetti. Non ti finanziano un film solo perché ti chiami De Niro. Magari, se ti chiami De Niro, prendono tempo, restano ambigui, non ti dicono che non gli interessa e così fanno ancora più danni. È stato difficile girare ne Good Shepherd L'ombra del potere, lo sarà ancora di più realizzare il secondo film di quella che ho immaginato come una trilogia sulla storia della Cia. La vita dell'attore è molto più facile di quella del regista, ci sono meno pressioni».
Linson nel libro la descrive un attore maniacale e impenetrabile. Ci si ritrova?
De Niro: «Sì, è un ritratto perfetto. E molto divertente per ché Art è ironico, ma non ha la rabbia del critico».
Linson: «Considero una grande conquista il fatto che siamo rimasti amici anche dopo l'avventura di un film prodotto insieme. Altrettanto incredibile è stato lavorare in armonia con un gruppo di star come Sean Penn, Robin Wright Penn, John Tùrturro, Bruce Willis».
Che pensate delle proiezionitest, in base alle quali le major si sentono in diritto di intervenire pesantemente sui film?
Linson: «Ricordo di aver partecipato alla cena subito dopo la preproiezione di Quei bravi ragazzi. Martin Scorsese raccontò che un terzo degli spettatori aveva lasciato la sala durante la proiezione e che i giudizi di quelli rimasti erano stati disastrosi. Sappiamo poi com'è andata. Anche la prima proiezione di Rght Club per i boss della Fox fu scioccante. Dissi a uno di loro che trovavo il film divertente e lui mi consigliò di andare in terapia».
De Niro: «lo credo che i test screening abbiano una loro validità, servono a capire la prima reazione del pubblico. Non sono applicabili a tutti i film, ma funzionano per le commedie».
Perché, De Niro, negli ultimi anni ha interpretato tante commedie?
De Niro: «Mi piacciono da sempre. Un certo umorismo è sempre stato presente nei miei personaggi, anche nei primi film come Tax iDriver. Ora sto per partecipare al remake di Stanno tutti bene di Giuseppe Tornatore nel ruolo che è stato del grande Marcello Mastroianni. La mia versione sarà molto diversa, ma spero di mantenere quella perfetta alchimia tra commozione e divertimento tipica del vostro cinema italiano».
Da Il Venerdì di Repubblica, 17 aprile 2009

di Arianna Finos, 17 aprile 2009

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