fabrizio cirnigliaro
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mercoledì 20 maggio 2009
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tutti quanti hanno un amore sulla cattiva strada
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E’ ambientato in un paese immaginario del nord-est italiano, l’ultimo film di Gabriele Salvatores tratto dal libro di Nicolò Ammaniti (Premio Strega 2007) , “Come Dio Comanda“.
Un paese che in certi momenti ricorda Twin Peaks, con il suo clima freddo, i boschi e il cadavere di un adolescente avvolto in un sacco di plastica.
Rino Zena (Filippo Tini) è un ex operaio disoccupato che vive in una baracca col figlio Cristiano (l’esordiente Alvaro Caleca), è violento, alcolizzato, ha una croce celtica tatuata e una svastica disegnata sul muro della stanza da letto.
Odia tutti i negri e gli stranieri che tolgono il lavoro agli italiani e incita il figlio a difendersi con le testate e dando bastonate.
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E’ ambientato in un paese immaginario del nord-est italiano, l’ultimo film di Gabriele Salvatores tratto dal libro di Nicolò Ammaniti (Premio Strega 2007) , “Come Dio Comanda“.
Un paese che in certi momenti ricorda Twin Peaks, con il suo clima freddo, i boschi e il cadavere di un adolescente avvolto in un sacco di plastica.
Rino Zena (Filippo Tini) è un ex operaio disoccupato che vive in una baracca col figlio Cristiano (l’esordiente Alvaro Caleca), è violento, alcolizzato, ha una croce celtica tatuata e una svastica disegnata sul muro della stanza da letto.
Odia tutti i negri e gli stranieri che tolgono il lavoro agli italiani e incita il figlio a difendersi con le testate e dando bastonate.
Il figlio invece scrive temi inneggianti a Hitler e allo sterminio degli ebrei, anche se poi non li consegna al professore, per il timore di essere separato dal padre, dato che sono tenuti “sotto controllo” dall’ assistente sociale (Fabio De Luigi).
L’unico loro amico è Quattro Formaggi (Elio Germano), un ragazzo rimasto scemo dopo un incidente sul lavoro, che vive in una casa con un presepe composto da statuine religiose, soldatini e membri della famiglia Simpson.
Il film è stato “etichettato” come l’American History X italiano, ma Salvatores riesce nell’ impresa di farci amare chi odiamo, o almeno ci prova. Grazie soprattutto ai due attori protagonisti, Filippo Tini (forse una delle sue migliori interpretazioni) e Elio Germano, attore a 360° che probabilmente otterrà il suo secondo David di Donatello.
Un film che, come Texas di Fausto Paravidino, guarda con sospetto il piccolo paese di provincia, uguale a tanti paesi del norditalia, i ragazzi a scuola con lo skate o a bere Coca Cola nei centri commerciali, che riescono ad evadere solamente quando ascoltano “She’s the One” di Robbie Williams con l’i-Pod. Per loro il funerale di una sedicenne diventa l’evento da non perdere.
Negli ultimi anni abbiamo assistito dai divani di casa nostra alla spettacolarizzazione dei funerali, i fratelli di Gravina Ciccio e Tore, Chiara Poggi , Luciano Pavarotti, per arrivare fino a Papa Giovanni Paolo II. La scena del funerale che vediamo durante il film forse si riferisce proprio a quel funerale, quando gli scatti delle macchine fotografiche digitali diventano invasivi e fanno da requiem.
Una bella regia e un’ ottima fotografia (anche se ricorda un pò troppo Into the wild nella parte iniziale) per questo film italiano che esce nelle sale nel periodo dei cinepanettoni, proprio per questo motivo è stato scelto di distribuire il film sopratutto nelle monosale.
Effettivamente per me che ho visto il film in un multisala ha fatto uno strano effetto, dopo 2 ore intense e di emozioni forti, uscire dalla sala e ritrovarsi in una “giungla” di teenager e famiglie in coda per vedere “Torno a vivere da solo“ o “Natale a Rio“… avevo voglia di mettere le cuffie di un lettore MP3 e ascoltare “She’s the one“.
PS Nella recensione si nasconde una citazione di un grande scrittore. Un piccolo omaggio.
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daymimmo
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lunedì 15 dicembre 2008
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la forza dell'amore e dei suoi limiti
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Una storia plurima o meglio un proliferare di storie: un padre, un figlio, un "danneggiato", un non luogo, una comunità, una generazione. Questo film parla di sentimenti forti, di disagio sociale ed urbano, di politica in senso lato, eppure non si sente pronunciare parole quali ti amo, ti odio, destra, sinistra; nessuno lamenta una lampante assenza di "polis" e di "civitas". Eppure tutto il film è incentrato sulla forza dell'amore, l'amore di un padre e di un figlio; sulla forza di concetti (volutamente vaghi) quali la patria, la razza, la forza di volontà, il nazismo (e credo non a caso senza citare l'italico regima fascista) idee, queste ultime, che per quanto aberranti o discutibili sembrano rappresentare l'unico bagaglio di valori con i quali fare i conti con la vita di tutti i giorni.
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Una storia plurima o meglio un proliferare di storie: un padre, un figlio, un "danneggiato", un non luogo, una comunità, una generazione. Questo film parla di sentimenti forti, di disagio sociale ed urbano, di politica in senso lato, eppure non si sente pronunciare parole quali ti amo, ti odio, destra, sinistra; nessuno lamenta una lampante assenza di "polis" e di "civitas". Eppure tutto il film è incentrato sulla forza dell'amore, l'amore di un padre e di un figlio; sulla forza di concetti (volutamente vaghi) quali la patria, la razza, la forza di volontà, il nazismo (e credo non a caso senza citare l'italico regima fascista) idee, queste ultime, che per quanto aberranti o discutibili sembrano rappresentare l'unico bagaglio di valori con i quali fare i conti con la vita di tutti i giorni. Tutto questo ci conduce al punto focale del film e cioè alla tematica dell’abbandono, tutto e tutti sembrano abbandonati a loro stessi, compreso un assistente sociale tristemente impotente ed anche un pò incapace di tutelare sorvegliare e tutelare Cristiano.
Lasciato a stesso è, altresì, QuattroFormaggi, un ragazzo vittima di un incidente sul lavoro..."fulminato" ed abbandonato ai suoi deliri, così come Rino, il padre, precario nel lavoro e nei sentimenti. Egli sembra bastare a se stesso con le sue leggi e la sua morale, l'unico aiuto che non chiede a se stesso è una pistola, quale strumento di giustizia e di "libertà", una giustizia ed una libertà che non ha mai avuto il coraggio di usare. A tutto questo si intreccia la storia di un figlio che nonostante le macerie della sua esistenza ama suo padre incondizionatamente, unico punto di riferimento, metro di misura di ogni cosa. In questa cornice emerge con forza l'assenza della comunità, l'anomia sociale ed urbana. Oasi di un modo altro, rispetto alle pietre, al fango ed ai freddi torrenti è un anonimo centro commerciale dove dei gelidi ed un po’ cinici adolescenti "consumano" le loro prime esperienze di vita.
Se manca una comunità, mancano le istituzioni e cioè manca lo Stato, assente nei valori, nella costruzione di un "progetto" urbano e sociale.
La morte di una giovane adolescente per la quale le forze dell'ordine presenziano per un paio di fotogrammi, QuattroFormaggi che toglie e si toglie la vita, Cristiano che pur dovendo fronteggiare il dramma di un padre che lui crede essere l'autore di un terribile omicidio, poi successivamente con educata freddezza si libera del cadavere della compagna di scuola ed ancora è lui che trova il cadavere del suo caro amico QuattroFormaggi impiccatosi; ebbene, nonostante la pressione di tutti questi accadimenti Cristiano mai sente il bisogno di rivolgersi alle istituzioni. Se Rino, Cristiano e QuattroFormaggi sentono di dover "sbrigare" tutto da soli, autori e giudici di loro stessi e della realtà circostante, è perché in essi c'è un vuoto o la sfiducia (in particolare in Rino) di uno Stato assente che abbandona a loro stessi numerose vite umane, e da questo "abbandono" nascono poi i mostri e i drammi di ogni giorno e di ogni notte.
L'amore di un padre e di un figlio, l’amicizia fraterna possono fare molto ma la dove non arrivano a colmarlo c'è il dolore, la tristezza, la solitudine ed a volte anche la morte. Verrebbe da dire che in questo film prende corpo la "verità" dei sentimenti; un groviglio patetico di relazioni asfissianti che implodo ed esplodono dentro e fuori le persone ed i luoghi in cui le azioni si addensano. L’unica presenza delle istituzioni risulta essere un efficientissimo ospedale dove tutto sembra avere fine ed inizio.
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houssy
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venerdì 2 gennaio 2009
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come dio comanda: grande film
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Ecco come dovrebbe essere un film tratto da un bellissimo romanzo. Sgombriamo subito il campo da dubbi, Come Dio comanda è davvero un grande film. Storicamente tutti quelli che si sono cimentati nell'adattamento di un romanzo per il grande schermo si sono trovti davanti due strade da percorrere: cercare di essere più fedeli possibile al testo tentando di trasporre su pellicola l'emozione che trasuda dalle pagine, oppure tradire in tutto e per tutto il testo di riferimento e pur mantenendone il tema centrale, creare qualcosa di diverso, un'esperienza nuova, un altro mondo. Personalmente prediligo i film che tradiscono i libri, infatti per quanto accurati si possa essere non si arriverà mai ad eguagliare la pagina scritta che ovviamente può contare su di un maggior respiro.
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Ecco come dovrebbe essere un film tratto da un bellissimo romanzo. Sgombriamo subito il campo da dubbi, Come Dio comanda è davvero un grande film. Storicamente tutti quelli che si sono cimentati nell'adattamento di un romanzo per il grande schermo si sono trovti davanti due strade da percorrere: cercare di essere più fedeli possibile al testo tentando di trasporre su pellicola l'emozione che trasuda dalle pagine, oppure tradire in tutto e per tutto il testo di riferimento e pur mantenendone il tema centrale, creare qualcosa di diverso, un'esperienza nuova, un altro mondo. Personalmente prediligo i film che tradiscono i libri, infatti per quanto accurati si possa essere non si arriverà mai ad eguagliare la pagina scritta che ovviamente può contare su di un maggior respiro. Ben altra cosa sono i film che tradiscono in parte o completamente il testo di riferimento, penso a Shining di Stanley Kubrick o alla trilogia del Signore degli anelli di Peter Jackson, insomma grandi film che però hanno avuto il coraggio di scostarsi dalla pagina scritta, cercando di essere film e non film tratti dagli omonimi tomi. E' proprio questo che si apprezza in Come Dio comanda, Salvatores (a tutti gli effetti forse il regista più interessante del nostro cinema per la sua infinita voglia di esplorare e sperimentare) prende il bellissimo testo di Niccolò Ammaniti e con la complicità dell'autore stesso lo ripulisce di tutto ciò che francamente risultava infilmabile, restituendoci così un'opera che va dritta al cuore senza perdersi, anzi aggiungendo elementi di riflessione in più proprio là dove la pagina scritta si interrompeva, lasciando tutto in sospeso. Operazione molto coraggiosa quella di Salvatores che dopo Io non ho paura (in quel caso il film era invece fedellismo al libro) torna ad adattare una storia di Ammaniti, personaggi assenti di cui però non si sente la mancanza, azioni ed intenzioni travisate e incomplete, tutto serve allo scopo di raccontare la storia di un padre e di suo figlio, punto e basta. Il resto è accessorio, gli stessi eventi che fanno da cornice a questa relazione lo sono, Salvatores sembra dirci che al di là di tutta la miseria e le brutture, la violenza e la follia, un padre è sempre un padre, un figlio è sempre un figlio e il loro amore è al di là ogni cosa, del bene e del male. Come la pioggia battente non cancella i peccati, come la follia resta follia, come la violenza è dentro ognuno di noi, come la miseria si nutre di se stessa, come l'amore è ovunque, come un padre per un figlio, come un figlio per un padre e come Dio comanda.
Altissima vetta di maturità artistica.
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mimmi44
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lunedì 12 gennaio 2009
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dove sono?
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Dove sono gli altri personaggi importanti del romanzo di Ammaniti?
E' stato un grave errore da parte di Salvatores dimenticarli!
Personaggi assolutamente non secondari, che nel romanzo danno all'inizio una trama diversa a tutta la storia, salvo trovarsi poi ad una svolta completamente nuova per la quale il lettore si trova all'epilogo del del racconto impreparato e drammaticamente più coinvolto. Poi le riprese strette, i particolari, i pensieri che attraversano la mente dei personaggi del bellissimo libro. Certo forse era molto diffice esprimerli, ma allora Salvatores poteva lasciar fare ad altri la trasposizione del romanzo.
Altri con più badget e sentimento!!!!...E poi.....non basta una bocca artificiosamente aperta per tutto il film per rendere credibile il personaggio di Quattroformaggi (Elio Germano).
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Dove sono gli altri personaggi importanti del romanzo di Ammaniti?
E' stato un grave errore da parte di Salvatores dimenticarli!
Personaggi assolutamente non secondari, che nel romanzo danno all'inizio una trama diversa a tutta la storia, salvo trovarsi poi ad una svolta completamente nuova per la quale il lettore si trova all'epilogo del del racconto impreparato e drammaticamente più coinvolto. Poi le riprese strette, i particolari, i pensieri che attraversano la mente dei personaggi del bellissimo libro. Certo forse era molto diffice esprimerli, ma allora Salvatores poteva lasciar fare ad altri la trasposizione del romanzo.
Altri con più badget e sentimento!!!!...E poi.....non basta una bocca artificiosamente aperta per tutto il film per rendere credibile il personaggio di Quattroformaggi (Elio Germano).
No, sono rimasta delusa, una delusione annunciata devo dire perchè ancora una volta da un ottimo romanzo non è venuto fuori neanche un discreto film !
Al romanzo di Ammaniti 110 e Lode. Al film di Salvatores ......!!!!Volevo provare le stesse emozioni del romanzo.....non è accaduto!
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giahlloh
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martedì 30 dicembre 2008
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salvatores e l'incomunicabilità dell'amore paterno
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ottimo quest'ultimo lavoro di salvatores, in cui piu che alla trama si mira a mio avviso alla caratterizzazione di tetri personaggi che sono assieme portatori del loro essere e figure simbolo del mondo da cui provengono. un padre duro, incapace di parlare d'amore, ma vivo solo per amore, trasformato dagli eventi in una macchietta sul neonazismo e sulla crisi economica incombente. un figlio ricco di vita interiore, ma anch'esso privo di comunicazione. e la figura del pazzo, col nome misterioso e mai spiegato di quattro formaggi che è forse l'unico a riuscire nel bene e nel male a comunicare al mondo con un atto drammatico la sua incomunicabilità cronica.
bel film sulle relazioni, vero noir in cui il contesto sociale è solo suggerito ma mai esplicitato.
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ottimo quest'ultimo lavoro di salvatores, in cui piu che alla trama si mira a mio avviso alla caratterizzazione di tetri personaggi che sono assieme portatori del loro essere e figure simbolo del mondo da cui provengono. un padre duro, incapace di parlare d'amore, ma vivo solo per amore, trasformato dagli eventi in una macchietta sul neonazismo e sulla crisi economica incombente. un figlio ricco di vita interiore, ma anch'esso privo di comunicazione. e la figura del pazzo, col nome misterioso e mai spiegato di quattro formaggi che è forse l'unico a riuscire nel bene e nel male a comunicare al mondo con un atto drammatico la sua incomunicabilità cronica.
bel film sulle relazioni, vero noir in cui il contesto sociale è solo suggerito ma mai esplicitato. una riprova che anche in italia si riescono ancora a produrre opere filmiche capaci di proporre e non imporre temi, capci di comunicare cio' che non si puo' spiegare.
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ergodesign
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lunedì 20 aprile 2009
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la possibilità del dubbio
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avere la possibilità del dubbio, la libertà di poter dubitare, ciò che ci rendere inquieti nelle nostre certezze, scosse dal destino che ci presenta una scelta: quella dell'errore, di sbagliare, di riconoscere il nostro sbaglio. un argomento che mi toccato nell'animo. A cominciare dall'utima scena ho cominciato a piangere, perchè sono stato svegliato, come cristiano, nella prima scena, nel sonno. (espresso così pare che ho dormito tutto il film, ed apensarci bene è la persona accanto a me che ha dormito, perdendosi un momento di eternità. qui chiudo l'inciso)
ho due figli che vivono lontani ed ho pianto perchè per il loro bene desidero che possano avere il dono della possibilità di poter dubitare.
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avere la possibilità del dubbio, la libertà di poter dubitare, ciò che ci rendere inquieti nelle nostre certezze, scosse dal destino che ci presenta una scelta: quella dell'errore, di sbagliare, di riconoscere il nostro sbaglio. un argomento che mi toccato nell'animo. A cominciare dall'utima scena ho cominciato a piangere, perchè sono stato svegliato, come cristiano, nella prima scena, nel sonno. (espresso così pare che ho dormito tutto il film, ed apensarci bene è la persona accanto a me che ha dormito, perdendosi un momento di eternità. qui chiudo l'inciso)
ho due figli che vivono lontani ed ho pianto perchè per il loro bene desidero che possano avere il dono della possibilità di poter dubitare..
grazie
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great steven
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giovedì 7 luglio 2016
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viaggio ricco d'amarezza ma non privo di speranza.
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COME DIO COMANDA (IT, 2008) diretto da GABRIELE SALVATORES. Interpretato da FILIPPO TIMI, ALVARO CALECA, ELIO GERMANO, ANGELICA LEO, FABIO DE LUIGI
Salvatores e Niccolò Ammaniti, autore del libro omonimo da cui il film è tratto, sono alla loro seconda collaborazione, dopo Io non ho paura (2003), e questa volta l’esperimento, rispetto a quel primo e fortunato episodio, non è stato altrettanto brillante. Il romanzo di Ammaniti si compone di 495 pagine, diviso in 6 giorni separati da una sostanziosa parte centrale – "La notte" – lunga ben 178 pagine. L’adattamento del regista premio Oscar asciuga fino ad una sintesi pericolosamente autocompiacente la pagina scritta, mantenendone però intatto quantomeno lo spirito e le aspettative, narrando la storia dell’amore intenso e disperato di un padre e un figlio: il primo, Rino Zena, è un uomo ancora giovane, violento, xenofobo, razzista, ubriacone, emarginato volontario di una società che rifiuta di accettarlo per i suoi comportamenti arroganti e di aperto disprezzo, che cerca comunque di istruire il secondo, Cristiano, ragazzino timido e inibito, su valori della vita che lui reputa importanti, guadagnandone ciononostante il rispetto incondizionato e un amore assecondante.
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COME DIO COMANDA (IT, 2008) diretto da GABRIELE SALVATORES. Interpretato da FILIPPO TIMI, ALVARO CALECA, ELIO GERMANO, ANGELICA LEO, FABIO DE LUIGI
Salvatores e Niccolò Ammaniti, autore del libro omonimo da cui il film è tratto, sono alla loro seconda collaborazione, dopo Io non ho paura (2003), e questa volta l’esperimento, rispetto a quel primo e fortunato episodio, non è stato altrettanto brillante. Il romanzo di Ammaniti si compone di 495 pagine, diviso in 6 giorni separati da una sostanziosa parte centrale – "La notte" – lunga ben 178 pagine. L’adattamento del regista premio Oscar asciuga fino ad una sintesi pericolosamente autocompiacente la pagina scritta, mantenendone però intatto quantomeno lo spirito e le aspettative, narrando la storia dell’amore intenso e disperato di un padre e un figlio: il primo, Rino Zena, è un uomo ancora giovane, violento, xenofobo, razzista, ubriacone, emarginato volontario di una società che rifiuta di accettarlo per i suoi comportamenti arroganti e di aperto disprezzo, che cerca comunque di istruire il secondo, Cristiano, ragazzino timido e inibito, su valori della vita che lui reputa importanti, guadagnandone ciononostante il rispetto incondizionato e un amore assecondante. Loro compagno di disavventure è Quattro Formaggi (il cui vero nome, citato nel libro e ignorato nel film, è Corrado Rumitz), individuo pazzoide, irresponsabile, rimasto offeso cerebralmente e fisicamente da un incidente mentre operava intorno a dei cavi elettrici, ossessionato da Dio e da una bionda pornodiva. La vita dei tre cambia radicalmente quando Quattro Formaggi, del tutto casualmente, fa la conoscenza di Fabiana Ponticelli, compagna di scuola di Cristiano e ragazza alquanto affascinante che, sempre in modo fortuito, assomiglia all’attrice che l’ex elettricista fuori di testa guarda sbavando sul teleschermo, e decide di inseguirla in motorino in una piovosa notte interminabile, naturalmente con in mente l’idea di un congresso carnale. Fabiana si ribella e Quattro Formaggi, senza volerlo, la uccide. Devastato dall’omicidio non intenzionale, l’uomo chiama Rino, e quello, non appena si accorge del suo delitto, vorrebbe fargliela pagare, ma un colpo apoplettico blocca i suoi piani e rischia di mandare in fumo la vita del figlio. Cristiano viene dunque affidato alle cure dell’assistente sociale Beppe Trecca (un F. De Luigi finalmente in un ruolo drammatico), mentre Rino è ricoverato in coma in terapia intensiva all’ospedale. La vicenda ha come sfondo un’immaginaria cittadina del Nord-est italiano. Uno dei principali demeriti dell’opera cinematografica è quello di aver completamente cancellato il personaggio di Danilo Aprea, figura decisiva e importantissima nel libro di Ammaniti, amico di Rino Zena che progetta insieme a lui di rapinare un Bancomat e perisce durante il famoso diluvio notturno nel tentativo di mettere a segno il colpo individualmente. Altri punti indispensabili da rimarcare sono limature non certo opportune nella storia di alcuni personaggi (Esmeralda Guerra e soprattutto l’assistente sociale, che sulla pagina scritta ha una storia personale ben delineata che prevede anche un adulterio agognato che poi diventa autentico) e un margine eccessivo di sdolcinato ottimismo nel trasporre sul grande schermo il messaggio che invece Ammaniti espone come particolarmente diretto e sincero proprio in funzione della sua drammaticità e negatività. Le note liete sono invece da ricercare nelle interpretazioni, specialmente con un F. Timi al meglio della sua forma, che recita splendidamente sopra le righe facendo ampio sfoggio di una foga ammirevole che denota un lavoro preparatorio davvero magnifico, che permette anche al giovane Caleca di interpretare il ruolo del figlio con un piglio adeguato in maniera tutt’altra che forzata e utilitaristica. E. Germano è un po’ troppo giovane, magro e carino per calarsi nella parte del cattivo e deviato Quattro Formaggi, eppure la sua recitazione appassionata e impegnata gli consente di calarsi nelle vesti di un antieroe, che nella letteratura non è sicuramente comune, adoperando una professionalità non del tutto scontata e prevedibile. Nel complesso, il film è meno arrogante e superficiale di quanto certi critici hanno scritto: la cupezza cui Ammaniti è da tempo affezionato nel redigere i suoi capolavori di nevrosi e paranoia moderna, viene conservata a sufficienza per consegnare al pubblico un ritratto schietto, pulito, asciutto e catalizzatore di una porzione di umanità attuale che, a modo proprio, lotta per farsi accettare da chi si è già adattato alle nevrosi e paranoie sopracitate, figlie del cinismo della società odierna. Questi piccoli personaggi deboli e sfortunati, ma che mantengono comunque una dignità non indifferente, nascondono un lato epico nel loro combattimento insieme forsennato e speranzoso. Fotografia: Italo Petriccione. Prodotto da Maurizio Totti col supporto di Rai Cinema. Distribuisce 01.
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paride86
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mercoledì 24 dicembre 2008
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non mi ha convinto del tutto
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Per me che ho letto e amato il libro di Ammaniti, la visione del film non poteva che lasciarmi un po' deluso, soprattutto per quelle parti di racconto che sono state tagliate. La versione cinematografica non permette, inoltre, di affezionarsi alle storie di alcuni personaggi (come Fabiana, per esempio), e in generale le emozioni sono molto attutite rispetto al romanzo. La relazione padre-figlio mi è sembrata sopra le righe, cioè non esattamente spontanea, e questo mi ha deluso un po', visto che Salvatores di solito è maestro nel descrivere i rapporti tra uomini. Tuttavia ho preferito il finale del film a quello del libro, è stata una piacevole sorpresa; nonostante questo, però, credo che Salvatores avrebbe potuto fare di più.
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Per me che ho letto e amato il libro di Ammaniti, la visione del film non poteva che lasciarmi un po' deluso, soprattutto per quelle parti di racconto che sono state tagliate. La versione cinematografica non permette, inoltre, di affezionarsi alle storie di alcuni personaggi (come Fabiana, per esempio), e in generale le emozioni sono molto attutite rispetto al romanzo. La relazione padre-figlio mi è sembrata sopra le righe, cioè non esattamente spontanea, e questo mi ha deluso un po', visto che Salvatores di solito è maestro nel descrivere i rapporti tra uomini. Tuttavia ho preferito il finale del film a quello del libro, è stata una piacevole sorpresa; nonostante questo, però, credo che Salvatores avrebbe potuto fare di più.
Voto due stelle e mezzo, ma arrotondo a tre per la bravura degli attori. Mi ha stupito De Luigi, stavolta in un ruolo non comico.
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giuli@depp
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mercoledì 18 febbraio 2009
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una storia di amore e violenza
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In una landa desolata del nord Italia, vivono padre e figlio, Rino e Cristiano Zena, uniti da un amore viscerale che si nutre si violenza e episodi della malavita che conducono assieme a Quattro Formaggi, un poco di buono che è rimasto fulminato da un cavo elettrico scoperto. In una sola notte le vite dei personaggi vengono sconvolte : dal buio e dall'oscurità emerge una ragazzina bionda, Fabiana, della quale Cristiano è segretamente innamorato. Quattro Formaggi la scambia per una pornodiva e in quella stessa notte, tra fango e pioggia, la stupra, uccidendola in seguito con una pietra. Dopo aver ricevuto la chiamata disperata di Quattro Formaggi, Rino accorre in suo aiuto, pensando che dei delinquenti stessero dando fastidio allo storpio, come accadeva spesso.
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In una landa desolata del nord Italia, vivono padre e figlio, Rino e Cristiano Zena, uniti da un amore viscerale che si nutre si violenza e episodi della malavita che conducono assieme a Quattro Formaggi, un poco di buono che è rimasto fulminato da un cavo elettrico scoperto. In una sola notte le vite dei personaggi vengono sconvolte : dal buio e dall'oscurità emerge una ragazzina bionda, Fabiana, della quale Cristiano è segretamente innamorato. Quattro Formaggi la scambia per una pornodiva e in quella stessa notte, tra fango e pioggia, la stupra, uccidendola in seguito con una pietra. Dopo aver ricevuto la chiamata disperata di Quattro Formaggi, Rino accorre in suo aiuto, pensando che dei delinquenti stessero dando fastidio allo storpio, come accadeva spesso. Ma quando si accorge del corpo della ragazzina una rabbia improvvisa lo assale e sviene mentre il cuore sembra non battergli più. Per colpa di un malinteso, Cristiano perderà la fiducia di suo padre e si ritroverà a confrontarsi con una squallida realtà : nel bosco in cui tutto è successo, il ragazzo corre in aiuto del padre, mentre Quattro Formaggi è scappato. Vedendo Fabiana morta e suo padre a terra, crede che sia stato proprio lui a ucciderla. Ma un Ipod rosa e una canzone appassionante e travolgente suggerirà a Cristiano di aver sbagliato pista..
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jonnylogan
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mercoledì 10 maggio 2023
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i cattivi maestri
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Nel 2008 Gabriele Salvatores decise di proseguire la liaison con l’autore drammatico Niccolò Ammaniti. Una collaborazione iniziata nel 2003 con il successo di Io non ho paura, film che seppe portare l’autore di Mediterraneo, e della “trilogia della fuga”, al successo di pubblico e critica sino a mietere numerosi premi nazionali e non solo.
Il regista originario di Napoli in tal caso mette mano al romanzo probabilmente più celebre di Ammaniti, vincitore del premio Strega 2007, scrivendo a sei mani una sceneggiatura, assieme ai due anche Antonio Manzini, padre letterario di Rocco Schiavone, il cui risultato finale ci porta ben distante dalle distese di grano di Acque Traverse, in un territorio alpino altrettanto pieno di ombre.
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Nel 2008 Gabriele Salvatores decise di proseguire la liaison con l’autore drammatico Niccolò Ammaniti. Una collaborazione iniziata nel 2003 con il successo di Io non ho paura, film che seppe portare l’autore di Mediterraneo, e della “trilogia della fuga”, al successo di pubblico e critica sino a mietere numerosi premi nazionali e non solo.
Il regista originario di Napoli in tal caso mette mano al romanzo probabilmente più celebre di Ammaniti, vincitore del premio Strega 2007, scrivendo a sei mani una sceneggiatura, assieme ai due anche Antonio Manzini, padre letterario di Rocco Schiavone, il cui risultato finale ci porta ben distante dalle distese di grano di Acque Traverse, in un territorio alpino altrettanto pieno di ombre. Proponendo una narrazione lenta e nella quale diviene protagonista un amore totale verso un modo errato e violento di educare. Lo sguardo del quattordicenne Cristiano, impersonato dall’allora esordiente Alvaro Caleca, stranisce e rapisce, facendo perdere lo spettatore in un vortice di odio e amore, in cui violenza e coerenza la fanno da padroni e dove sono gli “ultimi” a poter dettare le regole di un gioco nel quale nessuno vince e dove tutti escono sconfitti.
Il buio e il gelo, esaltati da una fotografia dove sono i colori scuri e regnare sovrani, dettano la legge di una pellicola ove la lentezza con la quale i protagonisti si muovono pare non potersi spezzare mai; dove Filippo Timi, perfettamente calato nel ruolo di adepto dei regimi totalitari, dovrà ricredersi in merito all’educazione alla quale ha sottoposto il figlio. Dove il non luogo nel quale si muovono i personaggi è esaltato dalla mancanza di senso delle loro esistenze molto, anzi troppo, simili a quelle di migliaia di altri personaggi. In cui il mix fra il rapporto padre - figlio viene ad alternarsi con una storia tinta di giallo e dove sarà la figura di “Quattro Formaggi”, un Elio Germano come spesso accade sublime in un ruolo da disadattato, che funge da anticamera dei suoi successi seguenti, che alla fine lascerà non pochi dubbi sul vero senso della pellicola.
Non ultima prova di celluloide di Ammaniti, che di lì a qualche anno si ripresenterà sia sul grande schermo, grazie a Bernardo Bertolucci con Io e Te, sia sul piccolo con la serie Anna, da lui anche diretta. Ma di certo una prova che merita di essere recuperata perché rappresenta un perfetto mix di riflessioni e thrilling.
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