La ciecita' di cui tratta il film e' una ciecita' metaforica. La stessa societa' che viene colpita da questa misteriosa malattia che rende il mondo progressivamente cieco e' una societa' senza nome, che non vive un'epoca precisa ma che rappresenta metaforcamente la nostra. Il film e' dunque una parabola, certamente di quelle amare, ma che dipinge perfettamente le persone che vivono nella societa' di oggi, del 21o secolo.
Siamo ciechi perche' siamo accecati dai sentimenti dell'egoismo, della rabbia, dell'invidia. Gli stessi sentimenti che dominano la socita' del film, motivo per cui verra' messa ad una dura prova: verra' calata nel mondo dei ciechi ma non del buio, i cieci vedranno una luce fortissima nella quale probabilmente saranno costretti a vivere il resto della loro vita, e forse in questo modo riscopriranno se stessi e i valori della vita, un modo per espiarsi.
Perche' la ciecita' mette a dura prova anche la morale e l'etica di queste persone. Tutti i protagonisti del film, perdono ogni senso etico e morale sprofondando nel lato piu' oscuro e facendosi sempre piu' dominare dagli istinti piu' bassi e primordiali che l'uomo aveva dimenticato. Torneranno quindi ad uno stato di vita primordiale, convivendo per forza all'interno di un vecchio manicomio, in condizioni di igiene inesistenti.
Tra queste persone che si sentono perse e smarrite nell'oceano di luce che li ha avvolti, c'e' una sola donna, l'unica a non aver perso la vista, ed e' l'unica che puo' guidarli, come una sorta di luce-guida, e illuminera' le vite di un piccolo gruppo di persone che si legeranno a lei. Ovviamente nessun personaggio ha un nome preciso, solo dei volti anonimi di una societa' anonima. Ma la donna (Moore) rappresenta comunque un Messia, che decide di sopportare sulle sue spalle il fardello di una convivenza forzata sempre piu' numerosa e che cerca di tenere unito il gruppo. Ma e' anche una persona amorevole e misericordiosa, pronta a perdonare il marito che la tradisce ed accogliere ''la peccatrice'' in casa sua.
Ma nel film non mancano le rappresentazioni del Male, che si incarna nel volto di Gael Garcia Bernal. Uomo senza scrupoli che s'impone su tutti gli altri, esprimendo tutta la sua cattiveria, il suo egoismo e imponendosi con la minaccia della violenza psico-somatica. Bernal, e' la metafora che in un mondo cieco solo la violenza e la crudelta' possono prendere il sopravvento, eliminando ogni traccia di umanita'.
Mentre l'accettazione, il perdono, la forza di volonta rappresentate dal personaggio della Moore, sono sempre piu' rare e per pochi (la piccola cerchia di persone che legano a lei) e vengono costantemente combattute dagli altri.
Alla fine, la pellicola lascia aperto uno spiraglio di speranza: il primo uomo a diventare cieco riacquista la vista. Tutti allora lo festeggiano e gioiscono, ma come dice il vecchio saggio, non e' una gioia rvolta a lui, ma una gioia egoista per la speranza che anche loro, uno dopo l'altro, la riacquisteranno. E mentre il mondo resta in attesa, con la speranza di riacquistare una parte fondamentale di loro stessi, sara' la protagonista a diventare cieca. Lei che per tutto il tempo ha rappresentato la luce e che ha guidato un piccolo gruppo di persone fuori dalla condizione -anche metaforica- di ciecita', ora e' pronta a sacrificarsi (come Gesu').
Perche' ciecita' e' vivere in un mondo dove non esiste piu' la dignita' umana, l'etica per le cose, i sentimenti buoni. Una societa' cieca forse non merita di essere salvata.
Un ottimo lavoro di Mereilles, un piccolo must del cinema con una sempre bravissima Moore.
Un film sicuramente non per tutti, ma solo per chi non si lascia acciecare dalla trama in superficie al film, senza guardare a fondo, nel messaggio e nella didascalia che vuole mandare al pubblico.
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