Emilia Carpineta
L'Espresso
Tra i mille dubbi che stanno accompagnando la preparazione alla notte degli Oscar, c'è solo una cosa su cui tutti sembrano pronti a giurare: per quanto siano bravi gli altri candidati, da Casey Affleck ('L'assassinio di Jesse James) a Philip Seymour Hoffman ('La guerra di Charlie Wilson'), da Hal Holbruk ('Into the Wild') a Tom Wilkinson ('Michael Clayton'), il 24 sera la statuetta per il migliore attore non protagonista andrà a Javier Bardem. E la nuova pellicola di Joel ed Ethan Coen, 'Non è un paese per vecchi', metterà in carniere almeno uno degli otto Oscar a cui è candidata (il record di quest'anno). Nel film, tratto dal romanzo di Cormac McCarthy, Bardem è Anton Chigurh, un lugubre trafficante di stupefacenti che non si ferma davanti a niente pur di recuperare ciò che gli appartiene. Uno dei 'cattivi' più inquietanti mai visti sul grande schermo.
L'avevamo appena visto eroe romantico in 'Cronaca di una morte annunciata': come ha fatto a diventare così cattivo per questo film?
"Avevo solo una cosa in mente: se non farò paura abbastanza, i fratelli Coen non mi pagheranno! No, in effetti credo di essere riuscito a collocarmi in una zona d'ombra dove potevo evitare ogni emozione. Normalmente quando lavoro a un nuovo personaggio cerco di immaginarne il passato, le circostanze che lo hanno portato a essere quello che è. Questa volta no. Ho visto Chigurh come una forza della natura, l'incarnazione pura della violenza. Un personaggio molto diverso da tutti i serial killer che si sono visti dal 'Silenzio degli innocenti' in poi. I fratelli Coen mi hanno chiesto di evitare di rappresentare uno psicopatico. Non volevano un altro personaggio che uccide tutti senza una ragione. È vero, negli ultimi dieci anni abbiamo visto decine di personaggi così: uccidono, uccidono e uccidono e nessuno alla fine del film ha capito bene perché. Quello che volevamo per questo film era invece un essere umano. Un personaggio senza umanità è un personaggio irreale".
Lei ha dichiarato di odiare la violenza al cinema. La voglia di lavorare con i fratelli Coen l'ha aiutata a riconciliarsi con questo tabù?
"È vero che non mi piace la violenza, ma solo se è gratuita. Se la violenza spiega qualcosa, allora ci sto. E siccome il più delle volte è gratuita e inutile, la maggior parte delle pellicole violente non mi piacciono. Quando ho ricevuto la sceneggiatura dai Coen stavo per rifiutarla, non mi convinceva del tutto, forse anche perché non conoscevo Cormac McCarthy. Poi ho letto il libro e ho visto la struttura narrativa e direi filosofica che sta alla base del racconto e dietro a ogni dialogo. A quel punto mi sono sentito più sicuro".
Ha parlato con i Coen dei suoi dubbi?
"Certo, e ci siamo ritrovati d'accordo su quello che il film avrebbe raccontato e su come lo avrebbe fatto. E il risultato è la differenza che c'è tra un film violento e un film che parla della violenza".
Il paesaggio che fa da sfondo alla storia, così vasto e desolato, pare l'emblema del vuoto interiore del suo personaggio. Le è stato di aiuto?
"Mi ha fatto sentire molto solo, questo sì. Mi muovevo solo una volta a settimana per uccidere un po' di gente, poi ritornavo a casa e avevo sei giorni liberi davanti a me in quella landa desolata. Ho cercato di interiorizzare quella solitudine, anzi quell'isolamento, ed è stato difficilissimo perché è una dimensione a me sconosciuta".
Quell'orribile acconciatura che porta nel film serve per umanizzare il suo personaggio?
"Devo ammettere che era un'acconciatura davvero brutta. È stata un'idea del parrucchiere. I Coen non ne sapevano nulla. Ci ha messo pochi minuti. Quando ho visto il risultato ho capito molte cose del mio personaggio: un uomo in profondo contrasto con la vita di tutti i giorni. Un uomo disturbato e sofferente, ma non un pazzo".
Come si trova a recitare in inglese?
"Fare questo lavoro in una lingua straniera è molto difficile. È uno sforzo contraddittorio: da una parte lavori per sembrare il più naturale possibile, dall'altro ti scervelli per usare parole che non sono le tue. Ho preso coscienza che per me parlare e recitare in inglese non sarà mai come esprimermi in spagnolo. E ho anche capito che non voglio che sia così. Quando dico 'te amo' mi vengono in mente tante cose che fanno parte del mio vissuto: ricordi, sensazioni, immagini. Se dico 'I love you', non succede la stessa cosa. Quando parli la tua lingua, la tua vita è dentro ogni parola".
Da L’Espresso, 21 Febbraio 2008
di Emilia Carpineta, 21 Febbraio 2008