Sembra che "Non è un paese per vecchi" voglia voglia presentare una realtà spietata, cruda, che non lascia via di scampo. Eppure nei confronti del feroce assassino tutti si comportano con cortesia, affabilmente. Anche i criminali nemici si comportano con lui in maniera mite, arrendevole, e si presentano indifesi e disarmati, lasciandosi gentilmente ammazzare.
Si cerca di riprodurre una realtà crudele senza regole, eppure di fronte a un uomo che spara e ammazza, che minaccia e terrorizza, che circola con un fucile da killer e a viso scoperto, che entra armato negli hotel e perfino nel quartier generale dell'organizzazione malavitosa da lui tradita, nessuno gli spara a sua volta (tranne che nello scontro con il cacciatore), nessuno si vendica, nessuno lo insegue, nessuno lo perseguita, nessuno lo affronta, nessuno lo sfida, nessuno lo picchia, nesuno lo bracca, nesuno lo denuncia, nessuno lo insulta nemmeno ... sembra quasi di vivere nel regno dei buoni e dei santi!
Persino la polizia, quella americana, una delle più spietate al mondo, si presenta sonnacchiosa e compassata, priva di ogni minima parvenza di mordente e di aggressività. I suoi funzionari tollerano tranquillamente l'assassinio brutale di un proprio collega, e non pensano affatto ad avviare la caccia all'uomo nei confronti dell'omicida, ad essi ben noto.
Insomma, una sceneggiatura piena di contraddizioni e di assurdità.
L'assassino viene più volte definito "psicopatico" ma in effetti è un efferato criminale che perpetra i suoi delitti con accurato studio e conoscenza di ogni dettaglio organizzativo e tecnico. E' un cinico che persegue i suoi appetiti con lucida determinazione. E' uno che uccide per i soldi. Ma questo non vuol dire essere pazzi. Non vi sono affatto in lui quegli elementi di disfunzione o debolezza o vulnerabilità che possano giustificare la definizione patologica, e che alla fine esporrebbero lui stesso a situazioni di pericolo, o quanto meno di imbarazzo e difficoltà, che nella storia appunto non compaiono per niente.
Quanto alla decantata suspance del film, quella tensione striscante che pure andava salendo dalle scene iniziali, essa si diluisce sempre più, finendo per perdersi, per tutta quanta la seconda metà, in una stanca sequenza di situazioni ripetitive e prevedibili.
L'intensità dell'azione sarebbe potuta crescere solo sviluppando il duello fra il serial killer e il cacciatore fuggitivo, unico personaggio che riesce a mettere sotto scacco l'antagonista. Ma questo tema viene sciaguratamente messo a parte e i due non si incontrano più, fino allo scialbo finale in cui il predicozzo moralista dello sceriffo riesce solo a risultare incongruente, patetico e posticcio.
Occasione di riscatto per il film potrebbe essere l'insano gesto finale del killer (questo sì unico segno di inquietante malessere mentale) che va a uccidere la moglie del cacciatore solo perché in precedenza da lui minacciata, anche se ormai l'attuazione della minaccia non ha più alcun senso. Il gioco dell'imponderabile casualità, più volte evocato, avrebbe potuto richiamare nell'azione qualcun altro dei soggetti coinvolti e costretto stavolta proprio il glaciale sicario a doversi giocare la vita a testa o croce davanti all'imprevisto. Ma anche qui incredibilmente la scena prosegue tra blande lamentele quasi filosofeggianti della ragazza (impensabili in un momento così drammatico e terribile), compunta e arrendevole dinanzi al suo imminente uccisore.
E' proprio l'assenza di un guizzo catartico, di una resa dei conti finale, che rappresenta forse la più odiosa mancanza di rispetto per il pubblico, già costretto a subire per due ore un'escalation di atmosfere cupe e oppressive.
In conclusione un film mediocre, che dimenticheremo senza molti rimpianti.
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