Lo scafandro e la farfalla

Arianna Finos

Jean-Dominique Bauby aveva vissuto i suo primi 43 annida re dell'alveare. Direttore dell'edizione francese di Elle, circondato da donne che gli altri uomini potevano solo sognare. Poi, nel 1995, un ictus devastante cambiò la sua vita. Per sempre. Il coma, il risveglio, la sindrome locked-in: mentalmente vigile ma prigioniero dentro il suo corpo, in grado di comunicare solo attraverso il battito della palpebra dell'occhio sinistro. Un'esperienza raccontata, battito dopo battito, in un'autobiografia, Lo scafandro e la farfalla, pubblicata nel 1997, due giorni prima di morire, che il pittore-regista Julian Schnabel ha trasformato in film.
L'argomento è di quelli che respingono gli spettatori, ammette Schnabel (definito «un genio» dal New York Times), autore di pellicole come Basquiat, sull'amico artista newyorkese, e Prima che sia notte. Ma la straordinaria capacità visiva di un pittore come Schnabel ha trasformato questa tragica storia in un film pieno di vita: «il più bello che ho visto negli ultimi dieci anni» ha detto l'amico Sean Penn. «Lo considero un racconto sulla vita e sul potere dell'arte» spiega Schnabel.
Nato a Brooklyn, figlio di immigrati cechi, 57 anni, Schnabel era diventato famoso per l'abitudine di sfoggiare pigiami e pareo in ogni occasione pubblica. Ora, invece, si è convertito ai jeans: «Mi fanno sentire gradevole» scherza. Ha dedicato il film, premiato a Cannes, vincitore di due Golden Globes, candidato a quattro Oscar, al padre: «È morto di cancro a 92 anni. Aveva vissuto una vita felice, senza malattie. Ma non sono mai riuscito a liberarlo dalla paura della morte. Penso che questo film avrebbe potuto aiutarlo».
Da Il Venerdì di Repubblica, 15 febbraio 2008

di Arianna Finos, 15 febbraio 2008