L'assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford

Onore a Jesse James

Nel 1882, a 34 anni Jesse James era un uomo finito. Aveva lottato, da militare confederato, contro le prepotenze dei nordisti, contro la costruzione nel Missouri d'una ferrovia; ormai in clandestinità, aveva rapinato treni, banche, negozi, ed era diventato un uomo durissimo; aveva moglie, figli e un fratello che guidava con lui la banda. Era stanco, oppresso dalla propria fama leggendaria, braccato da gente che voleva impadronirsi della taglia e della gloria destinata a chi l'avrebbe ucciso. Progettava rapine, e non le realizzava. Restava sempre chiuso in casa, con la famiglia e con un paio di armati. Uno dei due era Robert Ford, vent'anni. Non aveva armi e Jesse James gli dette una delle sue pistole. La mattina del 3 aprile 1882 il fuorilegge era in piedi davanti al caminetto, la faccia al fuoco. Faceva molto freddo. Robert Ford lo prese in silenzio alle spalle e lo ammazzò sparandogli. Perché? «Avrebbe ucciso me. E poi, la taglia....». Sperava pure nella gloria, ma non la ebbe. Ottocento volte ripetè il suo gesto in uno spettacolo teatrale; l'assassinio venne descritto da giornalisti e scrittori, cantato dai cantastorie, illustrato in stampe e disegni: ma Ford non ebbe mai alcun plauso dall'America che amava l'assassino assassinato. Il film inaugura un western di nuovo genere: è malinconico, sobrio, emozionante, quasi un dramma psicologico tra i due personaggi, così fuori dal comune che ha atteso tre anni prima di venir distribuito. Soprattutto, nella sua lunghezza (due ore e 35 minuti), nella sua lentezza ipnotica, nella sua stabilità, esprime un nero senso di morte: come se ogni gesto di Jesse James fosse un'invocazione della fine.
Da L’Espresso, 26 dicembre 2007

di Lietta Tornabuoni, 26 dicembre 2007