ariel
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giovedì 29 marzo 2007
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armeni, chi sono costoro?
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Al di là di valutazioni estetiche e di tecnica cinematografica, al bel film dei fratelli Taviani a cui va riconosciuto il coraggio ed il merito di aver, finalmente, spalancato il sipario su una truce pagina della storia degli ultimi anni dell'Impero Ottomano, già in piena Grande Guerra, pagina che per tanti versi si annuncia, nel suo orrore, come antesignana della "shoa" ebraica.
E' un film che fa riflettere chi, come è il caso di colui che scrive, da anni amico della Turchia, cerca, purtroppo invano e con il rischio di mettere a repentaglio i propri rapporti affettivi con gli amici di quel Paese, di spiegare che il genocidio armeno, "il grande male", non è un'invenzione dell'europeo sobillato o plagiato dagli Armeni, ma è una realtà tragicamente accaduta (e documentata) su istigazione del movimento panturco di giovani ufficiali dell'esercito sultaniale, assecondato e militarmente eseguito dai governanti dell'eclettico Palazzo sul Bosforo (Dolmabahçe Saray).
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Al di là di valutazioni estetiche e di tecnica cinematografica, al bel film dei fratelli Taviani a cui va riconosciuto il coraggio ed il merito di aver, finalmente, spalancato il sipario su una truce pagina della storia degli ultimi anni dell'Impero Ottomano, già in piena Grande Guerra, pagina che per tanti versi si annuncia, nel suo orrore, come antesignana della "shoa" ebraica.
E' un film che fa riflettere chi, come è il caso di colui che scrive, da anni amico della Turchia, cerca, purtroppo invano e con il rischio di mettere a repentaglio i propri rapporti affettivi con gli amici di quel Paese, di spiegare che il genocidio armeno, "il grande male", non è un'invenzione dell'europeo sobillato o plagiato dagli Armeni, ma è una realtà tragicamente accaduta (e documentata) su istigazione del movimento panturco di giovani ufficiali dell'esercito sultaniale, assecondato e militarmente eseguito dai governanti dell'eclettico Palazzo sul Bosforo (Dolmabahçe Saray).
Rimango dell'avviso che l'odierna Repubblica Turca, nata nel 1923 dal suo lungimirante fondatore, l'autocrate Mustafà Kemal, pur non essendo responsabile del sangue armeno versato in Anatolia o a Istanbul, deve criticamente assumersi le proprie responsabilità storiche, sull'esempio di altre nazioni europee, tra cui anche l'Italia, relativamente ai misfatti perpetrati dall'estinto Impero Ottomano. Sarebbe un passo altamente apprezzato per l'agognato, anche se difficoltoso, ingresso della Turchia nell'Unione Europea. Costituirebbe, inoltre, un liberatorio atto dovuto nei confronti di un piccolo popolo, laborioso, intelligente ed intraprendente.
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lory r.
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domenica 15 aprile 2007
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un dramma antico ma attuale
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La Masseria delle Allodole” è un film che non si dimentica. Non si può dimenticare.
La storia ha una valenza che và al di là del fatto storico in sé . Mi è sembrato che i Taviani abbiano voluto poeticamente ricordare tutti gli innocenti perseguitati ed uccisi per motivi inesistenti, l’assurdità’ di qualsiasi persecuzione razziale, dove persone che intrattenevano rapporti amichevoli e cordiali nel giro di poche settimane si trasformano in orribili persecutori ed in straziati perseguitati.
Le donne armene sono figure eccezionali,grandissime, veramente eroiche, vedono morire i loro uomini, i loro bambini e loro debbono subire un destino ancora più duro…sono uccise lentamente ma inesorabilmente nella loro anima, nella loro dignità.
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La Masseria delle Allodole” è un film che non si dimentica. Non si può dimenticare.
La storia ha una valenza che và al di là del fatto storico in sé . Mi è sembrato che i Taviani abbiano voluto poeticamente ricordare tutti gli innocenti perseguitati ed uccisi per motivi inesistenti, l’assurdità’ di qualsiasi persecuzione razziale, dove persone che intrattenevano rapporti amichevoli e cordiali nel giro di poche settimane si trasformano in orribili persecutori ed in straziati perseguitati.
Le donne armene sono figure eccezionali,grandissime, veramente eroiche, vedono morire i loro uomini, i loro bambini e loro debbono subire un destino ancora più duro…sono uccise lentamente ma inesorabilmente nella loro anima, nella loro dignità. Sono morte ancor prima di essere uccise.
Forse questo film ha qualche difetto nel respiro troppo poco ampio che viene dato a certe inquadrature, nella brevita' della risoluzione di alcune scene ,ma credo tali carenze siano ampiamente superate dalla poesia con cui i registi hanno rivestito un evento così drammatico, dalla bellezza delle immagini e delle musiche, dalla bravura di tutti gli interpreti, nessuno escluso.
Un film da non perdere, perché ci fa riflettere su avvenimenti del nostro passato, ma che purtroppo continuano ad accadere. Non dobbiamo dimenticare questi morti perché dimenticarli significherebbe ucciderli un’altra volta.
Il film non è adatto a dei bambini, ma se avete dei figli adolescenti allora li DOVETE portare. Io l’ho fatto e sono contenta che i miei figli abbiano molto apprezzato il film. Spesso ci sono immagini più crude nei telegiornali, e quasi, quasi ci si fa l’abitudine. Qui la crudeltà delle situazioni è mediata dalla valenza artistica del film, che non si limita a colpire lo spettatore come un pugno nello stomaco, lo fa PENSARE.
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nadia
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mercoledì 28 marzo 2007
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scelta teatrale
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I Taviani hanno voluto un impianto teatrale, senza vasti panorami e grandiosità: dalla casa stessa, un fondale prospettico stretto tra due muri convergenti, i monti alle spalle; alle singole tappe dell'eccidio, una per stanza della masseria; alla dimensione intima dei dialoghi, dei gruppi familiari e dei militari, dei mendicanti, delle deportate. E poi la dimensione corale - nel senso della tragedia greca - del funerale, della festa, della comunità armena spaventata, dello strazio delle donne sui corpi dei maschi trucidati, fino al canto nazionalista dei Giovani Turchi contrapposto al canto armeno proibito alle deportate.
Inutile aspettarsi azione o suspance, come forse certi recensori che hanno lamentato l'uso della camera fissa.
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I Taviani hanno voluto un impianto teatrale, senza vasti panorami e grandiosità: dalla casa stessa, un fondale prospettico stretto tra due muri convergenti, i monti alle spalle; alle singole tappe dell'eccidio, una per stanza della masseria; alla dimensione intima dei dialoghi, dei gruppi familiari e dei militari, dei mendicanti, delle deportate. E poi la dimensione corale - nel senso della tragedia greca - del funerale, della festa, della comunità armena spaventata, dello strazio delle donne sui corpi dei maschi trucidati, fino al canto nazionalista dei Giovani Turchi contrapposto al canto armeno proibito alle deportate.
Inutile aspettarsi azione o suspance, come forse certi recensori che hanno lamentato l'uso della camera fissa. Un film da vedere.
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riccardo
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martedì 8 maggio 2007
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da vedere
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I fratelli Taviani riaccendono il ricordo del cosiddetto "olocausto degli armeni", in un film attuale e dal gusto amaro, che rimanda subito alla situazione politica contemporanea: il rifiuto della Turchia di riconoscere la strage della minoranza cristiana, definendola una "menzogna internazionale" e la conseguente difficoltà di entrare nell'Unione Europea. La pellicola è scorrevole, ben recitata e con suggestive ambientanzioni. A volte,e soprattutto nella prima parte, sembrà assumere, tuttavia, le sembianze di una "fiction"televisiva, con la narrazione di un'amore impossibile che però addolcisce il tutto, e dai festeggiamenti che rallegrano l'atmosfera. Ma c'è qualcosa che turba gli animi, la certezza e consapevolezza di un futuro molto prossimo venato d'odio e di crudeltà, e nella seconda parte del film, lo spettatore partecipa alle strazianti torture dei capostipiti e i discendenti maschi delle famiglie armene e all'interminabile deportazione delle donne verso i deserti della Mesopotamia e della Siria: qui si alternano momenti di violenza(le torture su coloro che tentano di scappare) e di amicizia(e in seguito di amore stesso) tra la protagonista armena e il soldato turco, che non avrà di certo un bell' epilogo.
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I fratelli Taviani riaccendono il ricordo del cosiddetto "olocausto degli armeni", in un film attuale e dal gusto amaro, che rimanda subito alla situazione politica contemporanea: il rifiuto della Turchia di riconoscere la strage della minoranza cristiana, definendola una "menzogna internazionale" e la conseguente difficoltà di entrare nell'Unione Europea. La pellicola è scorrevole, ben recitata e con suggestive ambientanzioni. A volte,e soprattutto nella prima parte, sembrà assumere, tuttavia, le sembianze di una "fiction"televisiva, con la narrazione di un'amore impossibile che però addolcisce il tutto, e dai festeggiamenti che rallegrano l'atmosfera. Ma c'è qualcosa che turba gli animi, la certezza e consapevolezza di un futuro molto prossimo venato d'odio e di crudeltà, e nella seconda parte del film, lo spettatore partecipa alle strazianti torture dei capostipiti e i discendenti maschi delle famiglie armene e all'interminabile deportazione delle donne verso i deserti della Mesopotamia e della Siria: qui si alternano momenti di violenza(le torture su coloro che tentano di scappare) e di amicizia(e in seguito di amore stesso) tra la protagonista armena e il soldato turco, che non avrà di certo un bell' epilogo. Da vedere.
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stef.c
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giovedì 7 giugno 2007
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brivido
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Un film bello, ma in alcuni passaggi, duro come lo puo essere la realtà ed un documento storico figlio dei Taviani, immagini e silenzio piu potenti di tante parole come le fotografie mostrate attraverso la cinepresa. Sicuramente si nota il rimarchevole tentativo di far apparire a torto ed a ragione i Turchi come vittime del dovere in alcuni casi e degli avvenimenti in altri. Una caratteristica del film che probabilmente ritrae fatti e situazioni realmente accadute, il pentimento di qualche ufficiale turco ma che in tempi di revisionismo storico suona un po come "siam un po tutti colpevoli e tutti vittime".Questo fa perdere un po di sostanza al film. Il film potrebbe avere gli ebrei come protagonisti e non cambierebbe nulla, due facce della stessa medaglia, la discriminazione.
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Un film bello, ma in alcuni passaggi, duro come lo puo essere la realtà ed un documento storico figlio dei Taviani, immagini e silenzio piu potenti di tante parole come le fotografie mostrate attraverso la cinepresa. Sicuramente si nota il rimarchevole tentativo di far apparire a torto ed a ragione i Turchi come vittime del dovere in alcuni casi e degli avvenimenti in altri. Una caratteristica del film che probabilmente ritrae fatti e situazioni realmente accadute, il pentimento di qualche ufficiale turco ma che in tempi di revisionismo storico suona un po come "siam un po tutti colpevoli e tutti vittime".Questo fa perdere un po di sostanza al film. Il film potrebbe avere gli ebrei come protagonisti e non cambierebbe nulla, due facce della stessa medaglia, la discriminazione. Bello perchè romanzato ma allo stesso tempo nudo e crudo, bella anche la fotografia adatta all'epoca in cui si svolge la storia, effetti 3d migliorabili. consigliato
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jacopo b98
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giovedì 2 maggio 2013
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un film riuscito a metà, troppi sentimentalismi
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salvata con l’aiuto del consolato spagnolo. I Taviani, al loro diciottesimo film, hanno deciso di filmare il libro omonimo di Antonia Arslan, da loro adattato per lo schermo. Hanno così messo in immagini il più sporco, e ancora impunito, genocidio della storia, quando i turchi decisero di sterminare la minoranza armena. I Taviani fanno sì di far comprendere allo spettatore la terribile violenza del massacro, filmato senza pietà, con notevoli quantità di sangue e violenza. Fanno inoltre capire quanto la tragedia fosse annunciata da tanti piccoli segnali. Però i registi mettono insieme a tutto ciò una romantica storia d’amore, tra la protagonista Nunik (Vega) e, prima un tenente dell’esercito (Preziosi) che scappa per paura di doverla vedere morire, poi con l’ufficiale Yusuf (Bleibtreu) che alla fine denuncia i crimini dell’esercito oltre al suo, aver ucciso Nunik, per paura che lei soffrisse.
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salvata con l’aiuto del consolato spagnolo. I Taviani, al loro diciottesimo film, hanno deciso di filmare il libro omonimo di Antonia Arslan, da loro adattato per lo schermo. Hanno così messo in immagini il più sporco, e ancora impunito, genocidio della storia, quando i turchi decisero di sterminare la minoranza armena. I Taviani fanno sì di far comprendere allo spettatore la terribile violenza del massacro, filmato senza pietà, con notevoli quantità di sangue e violenza. Fanno inoltre capire quanto la tragedia fosse annunciata da tanti piccoli segnali. Però i registi mettono insieme a tutto ciò una romantica storia d’amore, tra la protagonista Nunik (Vega) e, prima un tenente dell’esercito (Preziosi) che scappa per paura di doverla vedere morire, poi con l’ufficiale Yusuf (Bleibtreu) che alla fine denuncia i crimini dell’esercito oltre al suo, aver ucciso Nunik, per paura che lei soffrisse. Ed è qui che sta il punto debole del film: il sentimentalismo. I Taviani, curiosamente mettono un tal sentimento e una tal ovvietà nel finale da renderlo probabilmente strappalacrime, ma certo non molto consono all’argomento trattato e alla durezza di toni usata nel pieno del film. Perciò il film di denuncia si trasforma il un gran melodramma, talvolta riuscito, talvolta molto meno.
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luigi chierico
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sabato 25 giugno 2016
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dolore e morte di un popolo
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I fratelli Paolo e Vittorio Taviani, sfogliando le pagine dello straordinario libro “La masseria delle allodole” della scrittrice Antonia Arsalam,hanno voluto aprire una pagina sull’antica storia del popolo Armeno che si far risalire ad un figlio di Noè.Tralasciando il lungo passato ci leggono l’ultimo capitolo, l’epilogo della sua storia. Ci offrono uno spettacolo completo, una storia vera ma penosa di cui si è macchiata l’umanità prima dell’olocausto del popolo ebraico. Due popoli, l’armeno e l’ebraico, da un passato glorioso, che hanno lasciato un segno indelebile al mondo civile, perseguitati e massacrati in meno di 40 anni. Sebbene la vicenda richieda di dover mostrare allo spettatore d’ogni nazione episodi di inaudita atrocità, da far rabbrividire chiunque, tuttavia il film offre lo spunto per parlare di Patria ed Amore.
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I fratelli Paolo e Vittorio Taviani, sfogliando le pagine dello straordinario libro “La masseria delle allodole” della scrittrice Antonia Arsalam,hanno voluto aprire una pagina sull’antica storia del popolo Armeno che si far risalire ad un figlio di Noè.Tralasciando il lungo passato ci leggono l’ultimo capitolo, l’epilogo della sua storia. Ci offrono uno spettacolo completo, una storia vera ma penosa di cui si è macchiata l’umanità prima dell’olocausto del popolo ebraico. Due popoli, l’armeno e l’ebraico, da un passato glorioso, che hanno lasciato un segno indelebile al mondo civile, perseguitati e massacrati in meno di 40 anni. Sebbene la vicenda richieda di dover mostrare allo spettatore d’ogni nazione episodi di inaudita atrocità, da far rabbrividire chiunque, tuttavia il film offre lo spunto per parlare di Patria ed Amore. La masseria è un luogo molto antico, ricco di ricordi, un rifugio per le “allodole” immersa in un panorama agreste, non mancano i confronti con le belle feste e la miseria,il dolore della morte di un padre patriarca della famiglia Avakian,il pater familias,che in punto di morte ammonisce:”Fuggite,fuggite”. La guerra,la rivoluzione,l’odio,i pregiudizio travolgono tutto così come una valanga sradicando alberi,abbattendo case ed uccidendo persone fa “raso al suolo”. Ed ecco che anche l’Amore, tra i più nobili e puri dei sentimenti, viene calpestato come fosse un oggetto; un’anima viene massacrata e straziata per essere offerta in sacrificio ad un folle ideale: l’eliminazione di una “razza”. La bella, giovane e generosa, eroica Nunik tradita è la principale protagonista di questa vicenda mirabilmente interpretata da Paz Vega. Ancora oggi dopo 100 anni dagli episodi tanto bene e reali portati a conoscenza di tutti, prima dalla bravissima Antonia Arslam nel suo libro e dopo nel loro film dai fratelli Taviani, sembrano non appartenere alla storia dell’uomo. I morti disseminati dappertutto, donne e fanciulle offese, violentate, madri e mogli fatte assistere alle atrocità consumate sui propri figli e mariti di un intero popolo armeno sembrano non appartenere né a noi né al genere umano. I personaggi di questo film sono tanti e tutti ben interpretati principalmente da Paz Vega e da Mohammed Bakri che copre le vesti di Nazim,il più bravo tra gli attori a cui è stata affidata la parte del più sconvolgente ed emblematico personaggio,il mendicante turco dalla risposta sagace sempre pronta. Il film, come spesso accade, non consente immediatamente di inquadrare tutti i personaggi di una intrigata vicenda e così, contrariamente al libro, sulle cui pagine il lettore si può soffermare o torna a rileggere, nella proiezione molto sfugge. Una delle più impressionanti scene che riportano alla memoria le parole “fuggite, fuggite pronunciate in punto di morte dal capostipite della famiglia Avakian, è così descritta nel testo:”Sempad e Shushaning sono ancora in cucina. Lei è seduta,lui in piedi dietro di lei….. E così si compì il destino di Sempad.Lame balenarono,urla si alzarono,sangue scoppiò dappertutto,un fiore rosso sulla gonna di Shushaning è la testa del marito,decapitata,che le viene lanciata in grembo”. Il romanzo si chiude con una pagina bianca, il film chiude la Storia con una pagina”nera”. Meglio il film o il romanzo?, lascio al pubblico l’ardua sentenza, io consiglio entrambi:un bel scrivere non disdegna un bel vedere. chibar22@libero.it
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samuele siani
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lunedì 9 aprile 2007
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nemmeno per la tv
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I fratelli Taviani confezionano un prodotto che non sarebbe adatto neppure per una prima serata di Rai1. L'eccidio degli armeni è trattato come una favola del settecentesco Carlo Gozzi. I personaggi hanno una psicologia da opera lirica, sembrano quelli della Traviata: si innamorano in un istante e senza un perché; lo stesso odio per gli armeni non ha un perché, né vi si leggono in esso le profonde e contradditorie motivazioni.
Tutto l'impianto del film è visivamente stucchevole e teatrale (nel senso peggiore del termine). Gli attori sono affettati: le loro movenze e la loro dizione sono da teatro di giro di fine ottocento, oggi degne di attori che, usciti dalle scuole dei teatri stabili, sbarcano il lunario dedicandosi alla fiction.
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I fratelli Taviani confezionano un prodotto che non sarebbe adatto neppure per una prima serata di Rai1. L'eccidio degli armeni è trattato come una favola del settecentesco Carlo Gozzi. I personaggi hanno una psicologia da opera lirica, sembrano quelli della Traviata: si innamorano in un istante e senza un perché; lo stesso odio per gli armeni non ha un perché, né vi si leggono in esso le profonde e contradditorie motivazioni.
Tutto l'impianto del film è visivamente stucchevole e teatrale (nel senso peggiore del termine). Gli attori sono affettati: le loro movenze e la loro dizione sono da teatro di giro di fine ottocento, oggi degne di attori che, usciti dalle scuole dei teatri stabili, sbarcano il lunario dedicandosi alla fiction.
Leggendo di tutti quelli che ammirano questi attori e questa recitazione, non posso che notare come ormai l'estetica televisiva delle fiction abbia presto piede nella nostra capacità critica.
Molte scene sono risibili: dalla moglie del generale che spiffera svenuta al capofamiglia sordo; la serva greca (ma era una serva?) che lavandosi il viso si ricorda della collana; il colloquio/rapimento con il console spagnuolo.
Anche la stessa regia è banale. L'esempio più lampante è il racconto dell'uomo in Italia che a 14 anni si allontana dalla Turchia. E i due geniali registi ci fanno vedere la scena che racconta. Neppure un esordiente farebbe una scena così didascalica.
Ma la cosa più penosa di tutte, la vera colpa dei fratelli Taviani è di aver creato un film senza cuore, su un argomento del quale, probabilmente, non si sono mai assoluamente interessati. Non vi è la minima partecipazione affettiva nella vicenda. E le scene grandguignolesche sono narrate con la stessa superficialità di un ballo al consolato spagnolo.
L'unica stella va al povero Moritz Bleibtreu, valido e intenso attore tedesco, che per misteriosi motivi si è trovato con gli attori e i registi del bagaglino.
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[+] estetica dell'insulto
(di nadia)
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chiara
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venerdì 30 marzo 2007
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cinema italiano di ottimo livello
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Con una struttura narrativa impostata per il grande pubblico il film parte lento e stentato, nonostante i costumi e le ambientazioni perfette e la bellissima coralità della cerimonia funebre. La fase che descrive gli ultimi momenti di serenità per gli armeni, o meglio il preludio della tragedia, manca di pathos e soffre di manierismo…risulta particolarmente scolastico il ruolo affidato alla figura di Egon (Preziosi). Non perché lui dia una cattiva prova di attore, ma proprio perché sono dialoghi assai banali soprattutto quelli che vedono protagonisti lui e Nunik (Vega). Per fortuna un personaggio che scompare senza lasciar traccia. Poi però c’è un salto notevole di qualità ed un crescendo di scene ottimamente riuscite ed il film inizia per davvero.
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Con una struttura narrativa impostata per il grande pubblico il film parte lento e stentato, nonostante i costumi e le ambientazioni perfette e la bellissima coralità della cerimonia funebre. La fase che descrive gli ultimi momenti di serenità per gli armeni, o meglio il preludio della tragedia, manca di pathos e soffre di manierismo…risulta particolarmente scolastico il ruolo affidato alla figura di Egon (Preziosi). Non perché lui dia una cattiva prova di attore, ma proprio perché sono dialoghi assai banali soprattutto quelli che vedono protagonisti lui e Nunik (Vega). Per fortuna un personaggio che scompare senza lasciar traccia. Poi però c’è un salto notevole di qualità ed un crescendo di scene ottimamente riuscite ed il film inizia per davvero. Dalla minestra versata sulla tavola imbandita, alla strage a tappe nelle stanze della masseria chiusa dalla potenza dell’immagine dei soldati turchi in piedi troneggianti sulla distesa dei cadaveri. Certo, non c’è un’inquadratura sbagliata e molte scene sono costruite con maestria e sapienza. Si tratta di cinema italiano di ottimo livello, da lodare, ma a mio parere, c’è un quid che sfugge e che rende il prodotto cinematografico imperfetto. Nonostante abbia il merito di affrontare un drammatico episodio storico ancora senza giustizia, rimane un po’ troppo melò più che adattamento cinematografico di un romanzo. Forse, e dico forse, perché poca giustizia è resa alla complessità della storia di un popolo le cui radici affondano già nel primo millennio a.C. insediato in una regione, quella anatolica, di fondamentale importanza per il controllo delle vie di comunicazione tra Oriente ed Occidente e ancor meno si possono dire affrontati gli intricati eventi storici che hanno determinato l’insorgere del “pericolo armeno” ed il genocidio.
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[+] abbastanza fedele al libro
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