olga
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mercoledì 3 ottobre 2007
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libero che libero non è
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Che ovviamente libero non è affatto per tanti di noi; figurarsi poi se si tratta di immigrati sottoposti a vari livelli di sfruttamento fino ad arrivare a situazioni estreme di quasi schiavitù. L’altra faccia di questo problema è costituita dalla mancanza di sicurezza o perlomeno dalla sensazione che essa sia meno avvertita da molti cittadini dei paesi oggetto d’immigrazione, i quali spesso vivono a contatto con gruppi di violenti o fiancheggiatori di situazioni terroristiche. Sono questi ultimi, anche se minoranza, a determinare diffusi atteggiamenti di paura e rifiuto. Ma a Ken Loach interessano come al solito i più deboli della società, anche se in questa ultima opera il taglio sembra maggiormente articolato e chiaroscurato del solito, a cominciare da Angie, la protagonista (Kierston Wareing), una bella e complessa figura femminile.
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Che ovviamente libero non è affatto per tanti di noi; figurarsi poi se si tratta di immigrati sottoposti a vari livelli di sfruttamento fino ad arrivare a situazioni estreme di quasi schiavitù. L’altra faccia di questo problema è costituita dalla mancanza di sicurezza o perlomeno dalla sensazione che essa sia meno avvertita da molti cittadini dei paesi oggetto d’immigrazione, i quali spesso vivono a contatto con gruppi di violenti o fiancheggiatori di situazioni terroristiche. Sono questi ultimi, anche se minoranza, a determinare diffusi atteggiamenti di paura e rifiuto. Ma a Ken Loach interessano come al solito i più deboli della società, anche se in questa ultima opera il taglio sembra maggiormente articolato e chiaroscurato del solito, a cominciare da Angie, la protagonista (Kierston Wareing), una bella e complessa figura femminile. La giovane vive molte contraddizioni: lavora come impiegata in un’agenzia che procura occupazione agli immigrati, ma viene licenziata, come già le è accaduto, perché si nega alle attenzioni sessuali del capo; così da sfruttata diventa sfruttatrice, perché decide di mettersi in società con l’amica Rosie (Jiuliet Ellis) per aprire una propria agenzia. Come madre, farebbe di tutto ed è disposta anche all’illegalità per dare al figlio, che vive con i nonni, agi e sicurezza, ma nella realtà lo trascura, presa dal miraggio dell’arricchimento, mentre il bambino si chiude e si incattivisce. Come figlia, si scontra con la madre che la colpevolizza perché non ha mai concluso niente di buono, ed ha un dialogo “difficile” con il padre. Questi è un vecchio operaio laburista, che non condivide i suoi metodi poco ortodossi, ma che le vuole molto bene. Come donna, è dura nell’esercitare questa nuova forma di caporalato, che esiste un po’ ovunque nell’occidente ricco e capitalista, ma s’intenerisce davanti alla ingenua e semplice etica di un giovane polacco, con il quale inizia una frettolosa ma non ininfluente relazione. Un personaggio insomma sfaccettato e vero, che da solo fa dimenticare alcune pecche del film del vecchio leone marxista. Loach sa indubbiamente raccontare in modo asciutto e quasi documentaristico, ma a volte cede alla tentazione del pistolotto didattico o della soluzione moralistica, come accade anche qui verso la fine della narrazione (vedi rapimento del figlio di Angie, colloquio con i rapitori e successivo evolversi dei fatti). Alla fine ritroviamo la protagonista a Kiev, in Ucraina, dove si trova per arruolare gli immigrati più disponibili allo sfruttamento, quelli che pagano anticipatamente per una qualsiasi occupazione che poi non trovano.
Per chiudere, una riflessione: non si sa se augurarsi che l’anziano maestro ci regali la prossima volta un film tutto diverso dagli altri o se chiedergli di non smettere mai di schierarsi dalla parte di chi sta peggio. Ognuno risponderà a suo modo.
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fabrizio cirnigliaro
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martedì 2 febbraio 2010
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non tutto si può comprare
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La sceneggiatura di Paul Laverty, non lascia allo spettatore il tempo di studiare inquadrature, di seguire la macchina da presa, di giudicare la regia di Ken Loach, il cui stile cambia improvvisamente durante la scena del rapimento del figlio di Angie. Mentre Rosie si fa degli scrupoli, Angie riesce a tirar fuori il peggio di se stessa. E’ sempre lei a prendere l’iniziativa, nel bene , ma soprattutto nel male. L’agenzia darà lavoro ad immigrati clandestini, trovandogli un alloggio fatiscente, passaporti falsi e facendo grossi guadagni su ognuna di queste cose. Siamo tornati indietro di 100 anni se un posto letto può essere condiviso da due operai, visto che si alternano con dei turni massacranti di 12 ore ciascuno.
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La sceneggiatura di Paul Laverty, non lascia allo spettatore il tempo di studiare inquadrature, di seguire la macchina da presa, di giudicare la regia di Ken Loach, il cui stile cambia improvvisamente durante la scena del rapimento del figlio di Angie. Mentre Rosie si fa degli scrupoli, Angie riesce a tirar fuori il peggio di se stessa. E’ sempre lei a prendere l’iniziativa, nel bene , ma soprattutto nel male. L’agenzia darà lavoro ad immigrati clandestini, trovandogli un alloggio fatiscente, passaporti falsi e facendo grossi guadagni su ognuna di queste cose. Siamo tornati indietro di 100 anni se un posto letto può essere condiviso da due operai, visto che si alternano con dei turni massacranti di 12 ore ciascuno.
Sono loro, gli immigrati clandestini, gli schiavi del nuovo millennio, occasione di guadagno per le mafie locali, per i caporali e per i padroni. “Vengono da un mondo sconfitto”, sono gli esclusi, gli invisibili, colpevoli di aver portato il terzo mondo dentro ai nostri confini.
Rosarno non è un’eccezione, bisogna essere ciechi per non accorgersi di cosa sta succedendo nei magazzini/dormitori di Prato, in piazzale Lotto a Milano, dove i caporali reclutano quotidianamente gli operai necessari per una giornata di lavoro, nelle cucine dei ristoranti, nei centri smistamento dei pacchi delle grandi multinazionali della logistica. Tre anni fa c’è stata la rivolta dei cinesi nella Chinatown milanese, l’anno scorso è stata la volta degli africani a Castelvolturno, settimana scorsa sono stati gli immigrati clandestini di Rosarno a ribellarsi, con la conseguente caccia all’uomo”spontanea” dei cittadini calabresi.
Piccoli fuochi sparsi per lo stivale che fanno presagire una tensione sociale pronta ad esplodere, pericolosa. Basta ricordarsi dell’indifferenza dell’opinione pubblica nei confronti dei cori e degli insulti razzisti ricevuti settimanalmente da Mario Balotelli, giovane calciatore italiano i cui atteggiamenti in campo non sono certamente più irrispettosi rispetto a quelli tenuti dai colleghi Totti, Maresca etc etc.
Il calcio, come ha più volte dimostrato Ken Loach nei suoi film, può essere un’ottima metafora per evidenziare i problemi che affliggono la nostra società. In questo mondo libero manca la libertà di vivere una vita degna di essere vissuta, in alloggi rispettabili per degli uomini, con stipendi regolari, assistenza sanitaria, e senza il timore che qualcuno ci spari o ci prenda a mazzate se decidiamo di ribellarci, di occupare un a fabbrica, di difendere i nostri diritti civili.
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gabry
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lunedì 26 novembre 2007
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in questo mondo di loach
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Angie,ragazza madre licenziata per l'ennesima volta,decide di mettersi in proprio con l'aiuto di un'amica, offrendo lavoro precario ad extracomunitari per lo più. Dall'altra parte della barricata angie diventa da sfruttata a sfruttatrice speculando su situazioni di povertà a suo beneficio, indurendosi a tal punto che non esita a denunciare alla poizia un accampamento di clandestini.Tra l'altro ha un rapporto contrastante col padre, lontano da un mondo che sta correndo troppo in fretta e l'inadeguato ruolo di madre con un figlio che sta crescendo.
Unico elemento equilibrante nel film, il giovane polacco con il quale Angie intreccia una fugace relazione, un ragazzo pulito ancora intonso, non ancora corroso da uno spietato sistema che stritola i più deboli, un'oasi a cui lei vi attinge nei poci momenti di dolcezza che si concede.
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Angie,ragazza madre licenziata per l'ennesima volta,decide di mettersi in proprio con l'aiuto di un'amica, offrendo lavoro precario ad extracomunitari per lo più. Dall'altra parte della barricata angie diventa da sfruttata a sfruttatrice speculando su situazioni di povertà a suo beneficio, indurendosi a tal punto che non esita a denunciare alla poizia un accampamento di clandestini.Tra l'altro ha un rapporto contrastante col padre, lontano da un mondo che sta correndo troppo in fretta e l'inadeguato ruolo di madre con un figlio che sta crescendo.
Unico elemento equilibrante nel film, il giovane polacco con il quale Angie intreccia una fugace relazione, un ragazzo pulito ancora intonso, non ancora corroso da uno spietato sistema che stritola i più deboli, un'oasi a cui lei vi attinge nei poci momenti di dolcezza che si concede.
Sarà proprio il ragazzo a dare ad Angie una piccola lezione di vita , rifiutando il denaro di lei(un favore si ricambia con un altro favore), prima di ritornare nella sua terra.
Film godibile dal punto di vista narrativo, incalzante nelle scene e nei dialoghi,anche se ha il sapore del "già visto", del resto Ken Loach, a parte un paio di tentativi "sentimentali" ritorna ai suoi temi preferiti e che in fondo gli riescono meglio.Nel complesso un buon film, da consigliare.
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attalo
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giovedì 11 ottobre 2007
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la qualità del realismo
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Dopo le puntate sulla commedia sentimentale interraziale(Un bacio appassionato) e sul dramma storico(Il vento che accarezza l'erba), in entrambi i casi con esiti discutibili, Ken il rosso torna alle tematiche che preferisce, quelle dello sfruttamento e del lavoro, anche se in chiave globalizzata.
Non tutto è perfetto nella sceneggiatura(tutto il tema del "privato" della protagonista non appare bene a fuoco) ma il film, soprattutto nell'asciutto finale, ha l'essenzialità delle cose migliori di Loach; ed è molto azzeccata l'idea di individuare la protagonista in una perdente, a propria volta schiacciata dal bisogno, e non solo dall'ambizione, (quasi) come i soggetti che sfrutta
Certo, quello che dicono i detrattori di Loach è vero.
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Dopo le puntate sulla commedia sentimentale interraziale(Un bacio appassionato) e sul dramma storico(Il vento che accarezza l'erba), in entrambi i casi con esiti discutibili, Ken il rosso torna alle tematiche che preferisce, quelle dello sfruttamento e del lavoro, anche se in chiave globalizzata.
Non tutto è perfetto nella sceneggiatura(tutto il tema del "privato" della protagonista non appare bene a fuoco) ma il film, soprattutto nell'asciutto finale, ha l'essenzialità delle cose migliori di Loach; ed è molto azzeccata l'idea di individuare la protagonista in una perdente, a propria volta schiacciata dal bisogno, e non solo dall'ambizione, (quasi) come i soggetti che sfrutta
Certo, quello che dicono i detrattori di Loach è vero. Ossia che è un regista che non mette in discussione la sua poetica da almeno quindici anni e che il suo cinema ha un'ottica realista che prescinde troppo da qualsiasi valore aggiunto.
Ma se il cinema non deve soltanto indurre elementi di riflessione sul reale, è certo che può essere "anche" questo.
Loach ha fatto di questa prospettiva il suo obiettivo, e di tanto bisogna continuare a ringraziarlo.
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bob
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giovedì 11 ottobre 2007
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il solito tenace ken loach
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Con "in questo mondo libero..." il tenace regista Ken Loach ritorna a trattare problematiche sociali della Londra contemporanea (lavoro nero, precariato, immigrazione), temi che il regista e il suo sceneggiatore Paul Laverty conoscono bene e da vicino. La storia e' quella di Angie, una spregiudicata ragazza madre, che licenziata dall'Agenzia di reclutamento per la quale lavorava (colpevole di non aver ceduto all'ennesima "palpatina" del viscido capo di turno), decide di mettersi in proprio: con l'aiuto dell'amica Rose, riesce ad aprire una societa' (ovviamente in nero) specializzata nel trovare lavoro ad immigrati. Meglio se clandestini, cosi' lavorono di piu', al minimo sindacale(diciamo cosi') e sono talmente disperati che non possono neanche rischiare di fiatare.
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Con "in questo mondo libero..." il tenace regista Ken Loach ritorna a trattare problematiche sociali della Londra contemporanea (lavoro nero, precariato, immigrazione), temi che il regista e il suo sceneggiatore Paul Laverty conoscono bene e da vicino. La storia e' quella di Angie, una spregiudicata ragazza madre, che licenziata dall'Agenzia di reclutamento per la quale lavorava (colpevole di non aver ceduto all'ennesima "palpatina" del viscido capo di turno), decide di mettersi in proprio: con l'aiuto dell'amica Rose, riesce ad aprire una societa' (ovviamente in nero) specializzata nel trovare lavoro ad immigrati. Meglio se clandestini, cosi' lavorono di piu', al minimo sindacale(diciamo cosi') e sono talmente disperati che non possono neanche rischiare di fiatare. Cosa puo' volere di piu' la bella Angie, divenuta in breve piu' stronza e senza scrupoli che mai? Perche' "in questo mondo libero" basta un attimo e da sfruttati, si diventa sfruttatori. Il cinema amaro di Ken Loach dimostra dunque ancora una volta di essere capace di far riflettere, di provocare dubbi. Siamo sicuri che la strada che abbiamo imboccato da qualche anno, quella del lavoro non piu' "fisso", sempre piu' flessibile, interinale, sia quella "giusta"? E' un mondo che produce speranza per le future generazioni che vogliono farsi una famiglia? O forse le soffoca? Mi sa tanto che non siamo messi molto bene. E in effetti il "mondo libero" descritto dal regista inglese e' tristemente squallido. A vedere le scene in cui gli immigrati sono costretti ad elemosinare un lavoro, non sembra siano passati cosi' tanti anni dalla "Grande Depressione". Bisognerebbe far vedere qualche immagine del film anche a Michael Moore: scoprirebbe che anche in Inghilterra non e' che poi si stia sempre cosi' bene... Il film pero' nel suo insieme, nonostante l'indubbia forza della tematica, non convince fino in fondo. Procede a strappi, alternando momenti veri, pieni di energia, ad altri poco credibili. "In questo mondo libero..." non possiede la lucidita' e la sincerita' dei film migliori (cioe' quelli dei primi anni '90) del regista inglese. Il soggetto ha piu' di un cedimento (su tutti il momento in cui viene "improvvisamente" aiutata la famiglia clandestina iraniana). Le iniezioni di ironia (il barista "mascotte") non vanno a segno e sono poco funzionali al racconto. La stessa regia di Loach e' troppo piatta, quasi televisiva. Non e' vibrante e nervosa come avrebbe dovuto essere. Sicuramente notevole per contro la protagonista Kierston Wareing. La sua prova, vera e sofferta, e' senza dubbio la parte migliore del film. (Voto:6,5)
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filippo catani
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venerdì 19 dicembre 2014
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guerra tra disperati
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Angie lavora per un agenzia di collocamento che tratta soprattutto con i lavoratori dell'Europa dell'Est. Una volta licenziata, separata con un figlio, la donna decide di mettere su una agenzia propria in nero con l'aiuto della sua coinquilina.
Nonostante siano passati sette anni dalla realizzazione di quest'opera, la sua attualità è veramente stringente in quanto Loach mette in scena la più classica delle guerre tra i poveri. Da una parte troviamo persone più o meno disperate chi in fuga perchè perseguitato politico e chi semplicemente in cerca di fortuna. Queste persone sono disposte a tutto pur di essere pagate ma allo stesso tempo non accettano di essere sfruttati o presi in giro.
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Angie lavora per un agenzia di collocamento che tratta soprattutto con i lavoratori dell'Europa dell'Est. Una volta licenziata, separata con un figlio, la donna decide di mettere su una agenzia propria in nero con l'aiuto della sua coinquilina.
Nonostante siano passati sette anni dalla realizzazione di quest'opera, la sua attualità è veramente stringente in quanto Loach mette in scena la più classica delle guerre tra i poveri. Da una parte troviamo persone più o meno disperate chi in fuga perchè perseguitato politico e chi semplicemente in cerca di fortuna. Queste persone sono disposte a tutto pur di essere pagate ma allo stesso tempo non accettano di essere sfruttati o presi in giro. Dall'altra parte c'è una giovane donna abbandonata dal compagna e con un figlio problematico di cui si occupano i nonni. Questa donna è capace di generosità e amore come di atti senza scrupoli pur di mettere insieme un po' di denaro per se e la famiglia. Ovviamente non può e non deve esserci un lieto fine perchè ovviamente chi è che si avvantaggia dalle regole di questo mondo libero? Ovviamente i soliti noti secondo Loach (e non solo). Di stringente attualità la conversazione che padre e figlia hanno seduti sulla panchina dei giardinetti pubblici. Come sempre Loach non teme di sollevare un tema scomodo e nel farlo non nasconde certo la mano in quanto i suoi pensieri e la sua opinione sono assolutamente ben chiari.
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luca scial�
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lunedì 14 settembre 2015
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quando una sfruttata diventa sfruttatrice
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Gli anni passano, ma il cinema di Ken Loach resta. Perchè restano i soliti problemi, quelli che caratterizzano il Mondo da sempre. In questa sede il regista britannico si occupa di sfruttatori e sfruttati, schiavi e padroni, più precisamente, di immigrati ricattabili. Ad approfittarsi di loro Angie, bionda mozzafiato, con un figlio che non vede mai, accudito dai suoi genitori. Dopo tanti lavori precari e sottopagati, decide di sfruttare il business degli immigrati dell'est, arricchendosi sulla propria pelle. Si trasforma così in una cinica senza scrupoli.
Sono passati quasi dieci anni da questo film ma non è cambiato niente. Il realismo col quale è raccontato, quello che caratterizza sempre i film di Loach anche in tempi più recenti rispetto agli inizi, ce lo mostra in tutta la sua crudezza.
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Gli anni passano, ma il cinema di Ken Loach resta. Perchè restano i soliti problemi, quelli che caratterizzano il Mondo da sempre. In questa sede il regista britannico si occupa di sfruttatori e sfruttati, schiavi e padroni, più precisamente, di immigrati ricattabili. Ad approfittarsi di loro Angie, bionda mozzafiato, con un figlio che non vede mai, accudito dai suoi genitori. Dopo tanti lavori precari e sottopagati, decide di sfruttare il business degli immigrati dell'est, arricchendosi sulla propria pelle. Si trasforma così in una cinica senza scrupoli.
Sono passati quasi dieci anni da questo film ma non è cambiato niente. Il realismo col quale è raccontato, quello che caratterizza sempre i film di Loach anche in tempi più recenti rispetto agli inizi, ce lo mostra in tutta la sua crudezza. E se spesso i film di Loach lasciano sempre un dubbio e un barlume di speranza, questo invece ci lascia l'amarezza della certezza che lo sfruttamento dell'immigrazione non finirà mai.
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renato m.
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mercoledì 10 ottobre 2007
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ken loach, un messaggio fecondo.
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Ken loach ritorna a parlare del sociale, delle sottili e profonde dinamiche dell' aggregazione umana. Ritorna, anche in quest'ultima opera, il messaggio di fondo del regista: non c'è mai riscatto sociale attraverso la violenza, il sopruso, la corruzione morale; si rimane, piuttosto, sempre in una dimensione di squallore in cui la vittima, a ben guardare, si mescola con il carnefice in una condivisione infinita di miserie umane. Che gli uomini debbano condividere le proprie miserie in fondo è una realtà ma il riscatto, quello vero, va cercato nella direzione giusta se si vuole cambiare un pò questo mondo.
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francesco
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lunedì 15 ottobre 2007
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crudelia demon
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La storia di Angie, "bionda homini lupa" che si sente autorizzata a sfruttare perche' sfruttata, preda e predatrice nella catena alimentare della nuova giungla multietnica (anche quando si tratta di trovare un uomo per il sabato notte), offre un'attualissima occasione di riflessione sui meccanismi selvaggi e immorali della società della "totalmente libera impresa". Che piombano sullo spettatore come quel finale-mannaia, secco e improvviso. Mentre negli occhi ci resta un mucchietto di banconote passato di mano e appena inquadrato.
Perche' tanto il mercato non si ferma e la battaglia per il pane infuriava prima e infuriera' dopo lo spazio di vita narrato nel film. Loach (e Paul Laverty, il suo storico avvocato-sceneggiatore) giocano tutto intorno a un personaggio femminile al tempo stesso comprensibile e inaccettabile, vittima e carnefice, vestito di suggestioni da cinema e rotocalco: un po' moto-dark lady armata di cellulare e spiccioli di sesso, un po' Crudelia Demon in pelliccia maculata che spiega all'antichissimo padre come hanno risistemato il mondo, un po' "soccer mom" che si agita, falsamente casual, a bordocampo.
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La storia di Angie, "bionda homini lupa" che si sente autorizzata a sfruttare perche' sfruttata, preda e predatrice nella catena alimentare della nuova giungla multietnica (anche quando si tratta di trovare un uomo per il sabato notte), offre un'attualissima occasione di riflessione sui meccanismi selvaggi e immorali della società della "totalmente libera impresa". Che piombano sullo spettatore come quel finale-mannaia, secco e improvviso. Mentre negli occhi ci resta un mucchietto di banconote passato di mano e appena inquadrato.
Perche' tanto il mercato non si ferma e la battaglia per il pane infuriava prima e infuriera' dopo lo spazio di vita narrato nel film. Loach (e Paul Laverty, il suo storico avvocato-sceneggiatore) giocano tutto intorno a un personaggio femminile al tempo stesso comprensibile e inaccettabile, vittima e carnefice, vestito di suggestioni da cinema e rotocalco: un po' moto-dark lady armata di cellulare e spiccioli di sesso, un po' Crudelia Demon in pelliccia maculata che spiega all'antichissimo padre come hanno risistemato il mondo, un po' "soccer mom" che si agita, falsamente casual, a bordocampo. In casa tiene la foto della Monroe ma anche la sua e' un'innocenza perduta da secoli. Rimpiango forse l'ironia nera di film di Loach come "Riff Raff" oppure "Piovono pietre", magari personaggi più compiuti come il protagonista di "My name is Joe" e tuttavia Angie non puo' che essere sempre una figura precaria. Come me, come tanti, come troppi. Da vedere, da discutere.
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piernelweb
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domenica 27 gennaio 2008
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in questo mondo di immigrati
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Film di denuncia sociale, premiato a Venezia 2007 per la miglior sceneggiatura, con il quale Ken Loach esplora la drammatica realtà dell'ingresso nel mondo del lavoro povero per gli immigrati dell'est europeo nella florida Inghilterra. La narrazione è sostenuta dall'ottima interpretazione di Kierston Wareing, autentica mattatrice del film che dà un anima e un volto credibili all'evoluzione del suo personaggio. E' nella riflessione sull'escalation verso il successo personale, in una desolante lotta tra mediocri, dove l'immigrazione è una nuova opportunità di guadagno per alcuni, che il lavoro del regista inglese assume il suo più integro valore. Inopportuna e poco credibile invece la love story tra Angie ed un giovane lavoratore rumeno.
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Film di denuncia sociale, premiato a Venezia 2007 per la miglior sceneggiatura, con il quale Ken Loach esplora la drammatica realtà dell'ingresso nel mondo del lavoro povero per gli immigrati dell'est europeo nella florida Inghilterra. La narrazione è sostenuta dall'ottima interpretazione di Kierston Wareing, autentica mattatrice del film che dà un anima e un volto credibili all'evoluzione del suo personaggio. E' nella riflessione sull'escalation verso il successo personale, in una desolante lotta tra mediocri, dove l'immigrazione è una nuova opportunità di guadagno per alcuni, che il lavoro del regista inglese assume il suo più integro valore. Inopportuna e poco credibile invece la love story tra Angie ed un giovane lavoratore rumeno. Non un capolavoro ma ancora un film di valore per il veterano Loach, sempreverde e lungimirante alla varcata soglia dei 70 anni.
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