Paolo D'Agostini
La Repubblica
Ecco qui, con Grande Grosso e... Verdone, la nuova prova di un talento già molte volte dimostrato dal regista e attore romano. Quello di essere audace nella prudenza, audace e prudente al tempo stesso. Sembra una contraddizione ma, a conti fatti, non lo è.
Da una parte è vero che Carlo riporta di nuovo in vita i personaggi che hanno fatto la sua fortuna all'inizio della carriera, nei primi due film Un sacco bello e Bianco Rosso & Verdone, e poi in parte ripresi o rinnovati da Viaggi di nozze. Quei personaggi sono la sua polizza di assicurazione. Rappresentano la sicurezza per il pubblico che gli è più affezionato da quasi tre decenni, sicurezza che peraltro ha superato indenne la prima generazione per trasmettersi intatta a quella dei figli. E rappresentano una garanzia di successo per lui e per il suo produttore.
Ma questa volta c'è un doppio fondo, un effetto secondario che prima non c'era o era meno forte. Perché Carlo rivisita quegli stessi personaggi - cioè il boyscout bigotto, perbenista e pedante, il professore maniaco perfezionista e persecutore, il cafone campione di volgarità: variamente distribuiti, incarnati e reincarnati nei tre film precedenti - ma li ritrova oggi. Invecchiati nell'età, e radicalizzati nei loro vizi e difetti. In un contesto storico e sociale che ha accentuato le sue cupe ombre di inquietudine, che ha estremizzato il naufragio dei valori. Ridere si ride, ma lo stampo '"malincomico'" - malinconia più comicità - che definiva la leggerezza di Verdone, ha subìto una brusca sterzata verso l'umorismo nero. Se non macabro.
L'ormai attempato boyscout Nuvolone vive due giornate d'inferno nell'impossibilità di dare degna sepoltura alla vecchia mamma a causa di un'impresa di pompe funebri che è un'associazione a delinquere. Incarnata nell'irresistibile performance di Massimo Marino. L'infame professor Cagnato non si accontenta di rendere la vita impossibile al timidissimo figlio ma estende il suo untuoso cinismo alla ragazza che gli ha scelto per fidanzata. E la famiglia dei mostruosi negozianti romani Vecchiarutti combina l'Iradiddio in un tempio del turismo di classe ma soprattutto mette in mostra tutta la tristezza della sua povertà di spirito.
È un film per divertirsi, scritto e recitato per divertire (tuttavia non tutto il cast funziona a dovere), ma anche un allarme diciamo pure accorato su come vanno le cose nella convivenza in-civile e nella famiglia. Verdone cerca e in larga parte trova registri lontani dalla tradizione dei nostri più genuini mostri della commedia. Anche se rimane resistente il cordone ombelicale che lo lega al Sordi - tanto per citare tre titoli cui i tre personaggi si possono apparentare - di Mamma mia che impressione, del Moralista, o di Dove vai in vacanza.
Meno feroce del suo predecessore ma anche suo malgrado costretto a un maggior pessimismo, forse Verdone non è del tutto contento di questo pesante fardello dal quale vorrebbe affrancarsi. Convinto che i tempi diversi richiedano un diverso sguardo.
da La Repubblica, 7 marzo 2008
di Paolo D'Agostini, 7 marzo 2008