Einstein

Un film di Liliana Cavani. Con Vincenzo Amato, Maya Sansa, Sonia Bergamasco, Piotr Adamczyk, Andréa Ferréol.
continua»
Formato Serie TV, Biografico, - Italia 2007.
   
   
   

Un genio certo, ma con pochi soldi, lo studio in cucina, la moglie che lasciò per un nuovo amore. Lo racconta la regista che gira un film per la tv. Un media, dice, che lui non avrebbe snobbato..

di Elena Martelli Il Venerdì di Repubblica

Liliana Cavani, non è un mistero, ama le vite. Il suo cinema spesso ne ha incrociate, da San Francesco d'Assisi a Galileo passando per De Gasperi: uomini illustri straordinari, scomodi, tendenzialmente controcorrente. «Ogni tanto viene fuori qualcuno che ci fa fare dei grandi passi avanti. Pensi a Francesco d'Assisi, ad Albert Einstein: dovremmo farci irradiare da loro. Frequentarli, rende la vita un'occasione stupenda» racconta la regista, tracciando la stazione d'inizio e quella attuale del suo viaggio nel cinema. Francesco, girato nel '66 dall'autrice di Il portiere di notte, fu il primo film finanziato dalla Rai. Einstein, prodotto dalla Ciao Ragazzi di Claudia Mori per RaiUno, è l'ultimo film a cui sta lavorando: lo vedremo in onda il prossimo anno. Vincenzo Amato, interprete di Nuovomondo di Emanuele Crialese, sarà il grande scienziato, padre della teoria della relatività, premiato con il Nobel per la Fisica nel 1921, Maya Sansa vestirà i panni della moglie Mileva, sua compagna al politecnico di Zurigo, allora unica università ad accettare le donne. «In matematica Mileva era brillante, forse più ferrata di lui: quando si trattò di tradurre in formule matematiche i percorsi intuitivi, vasti e originali di Einstein, ebbe un ruolo di primaria importanza».
Al di là del genio, cosa l'ha attratta dell'uomo Einstein?
«Einstein nasce nel XX secolo ma appartiene al XXI, forse anche al XXII. La cosa che più mi ha intrigato è stato scoprire che attorno a lui non c'è un laboratorio, un'équipe. C'è solo un uomo con la moglie, gli amici, oggi diremmo un guru che, non a caso, frequentava i principali pensatori dell'epoca. Quest'uomo, che ha intuizioni da far girare la testa, diventate importanti al pari delle piramidi, studia al tavolo della cucina, lavora accanto ai piatti sporchi della sera prima. Un uomo che ha i problemi ,;I di tutti: pochi soldi (per avere I un'entrata accetta l'impiego all'ufficio brevetti di Berna) una moglie con cui lavora e mette al mondo figli... Questioni molto umane. Come la fine del suo matrimonio che coincide con l'amore per la cugina Elsa. Dietro a lui, intanto, scorre la Storia, con le caratteristiche di sempre: prepotenze, ammazzamenti...». Con la teoria della relatività, ultimata intorno al 1915, Einstein ha rivoluzionato la scienza ma ha anche influenzato tutto il pensiero del 900. «E sono convinta che se le sue intuizioni fossero scese di più nel nostro sapere quotidiano avremmo tutti una visione della vita più aperta. Certe liti nazionali ed internazionali si guarderebbero per quel che sono: una gran perdita di tempo. Il fatto che Einstein sia uno tra i primi pacifisti, secondo me è anche il risultato della compiutezza dei suoi processi logici. Una persona con queste intuizioni, non si può perdere dietro alle guerre causate dal potere imperialistico, dai risentimenti razziali, culturali. Lui arriva e scombina tutto, noi siamo ancora qui a discutere della questione islamica, del velo... È logico che sono risentiti contro di noi per mille ragioni, ma questo accade perché siamo fondamentalmente tutti un po' ignoranti».
Soprattutto in matematica. Nelle nostre scuole è tabù.
«È vero. Perché la insegnano male. Anch'io al liceo classico ero una somara. Ma per saltare un anno e andare in terza, presi dieci lezioni di trigonometria: la trovai meravigliosa, più elementare che fare una traduzione dal greco. Sa chi era l'insegnante? Il professor Degoli, che diventò famoso per Lascia o raddoppia. Era di Carpi come me, aveva una grande memoria, poi ha perso cadendo sulla domanda del controfagotto... Erano gli anni 50, insegnava al liceo scientifico ed era famoso perché andava in tivù».
Poi in Rai arrivò anche lei con un concorso: lo vinse ma non accettò.
«Eravamo diecimila partecipanti per trenta posti. Ma non volevo fare il funzionario quindi non accettai il contratto fisso. Con me entrò anche Enzo Siciliano: ci siamo ritrovati nel '96 nel Cda Rai».
Come reagì sua madre al gran rifiuto?
«Non glielo dissi. Ma lavorai subito lo stesso. Stava per nascere Raidue, allora si chiamava il canale culturale. Siccome non sapevo nulla del Terzo Reich proposi di lavorare su quel tema. La tivù è servita ad educarmi, a capire il XX secolo. Ho fatto tante inchieste prima di girare Francesco che tra l'altro andò al festival di Vene zia. Per due e tre anni, fare tv è stata la mia università». Visto cosa è diventata oggi, quel che dice fa impressione. «Fa più che impressione. Proponevamo cose incredibili, avevamo l'idea che la tv fosse uno strumento di emancipazione culturale. Quando io e Siciliano ci ritrovammo nel Cda, anche aiutati dall'opposizione, almeno siamo riusciti ad avviare la macchina del cinema prodotto dalla Rai, e quella della fiction. Già allora si importava troppo».
Quando gli intellettuali hanno incominciato a snobbare la tivù?
«L'hanno sempre snobbata. Perché era popolare. Per me, no. Sarà che, affrontando la storia dei totalitarismi ho visto l'importanza dei media per la propaganda dì regime. Tutti i media sono importanti».
Da Il Venerdì di Repubblica, 13 settembre 2007

di Elena Martelli, 13 settembre 2007

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