De Oliveira e un Colombo portoghese
di Paolo D'Agostini La Repubblica
Che c'entra Cristoforo Colombo con Johann Sebastian Bach? Niente. Come poco unisce il decano mondiale dei registi Manoel De Oliveira allo spagnolo Pere Portabella. Ma si trovano insieme alla Mostra a rappresentare e difendere, rispettivamente con Cristoforo Colombo - l'enigma e con Il silenzio prima di Bach, la consapevolezza di un comune patrimonio culturale europeo e l'idea che anche quando fa appello alla Storia e alle biografie di uomini celebri il cinema-proprio perché lo stile non è vacuo sfizio estetico ma garanzia di maggior efficacia deve essere inventivo e fantasioso. Altrimenti ci sono l'inchiesta, il manuale scolastico, il teleromanzo didattico. Questione spinosa e rimbalzante da un angolo all'altro del programma. Sulla quale non è sempre facile capirsi: l'aggiunta di controversi spunti romanzeschi alla vera, vissuta e documentata vicenda di sterminio di ebrei del film di Lizzani sta alla pari con l'arbitrio delirante della pseudo-biografia di Bob Dylan, che le garantisce una qualità più vera del vero?
L'inarrestabile maestro lusitano inventa un personaggio colto in varie età, e la più avanzata è interpretata da lui stesso, che dedica vita, ricerche e passione ad affermare che lo scopritore dell'America era portoghese, nato in un paese dell'Alentejo chiamato Cuba come poi la più grande delle isole caraibiche e prima terra americana toccata dalle sue caravelle. Con il rigore e l'eleganza che gli sono propri. L'altro film esplora in musica e immagini liberamente associati, con procedura ellittica e modalità avanguardistiche, tre secoli di storia della nostra civiltà.
Da La Repubblica, 7 settembre 2007
di Paolo D'Agostini, 7 settembre 2007