Roberto Nepoti
La Repubblica
I film di Cristina Comencini escono tutti con un marchio di fabbrica riconoscibile: lo sguardo posato sulla realtà e sensibile, civile, umoristico e serio insieme. Non fa eccezione Bianco e Nero, prima commedia sentimentale interrazziale prodotta in Italia (negli Usa e in Francia se ne contano parecchie, da Spike Lee a "Romuald e Juliette" di Coline Serreau) e scritta dalla regista assieme a Giulia Calenda e Maddalena Ravagli.
Sposata a Carlo, tecnico informatico, Elena fa la mediatrice culturale. Più che un lavoro, lo sente come una missione: tanto da portarsi a casa le questioni razziali facendone il leitmotiv della propria giornata. Durante una serata di beneficenza Carlo conosce Nadine, nera e magnifica, nonché moglie di Bernard, l'intellettuale africano con cui Elena collabora. La coppia bianca invita Nadine a portare i suoi bambini alla festa organizzata per la loro figlia. Poi, complice un guasto al computer della donna, divampa la passione. Che diventa presto di dominio pubblico, separando Nadine e Carlo dai rispettivi compagni.
Per trattare un tema che permane, dalle nostre parti, delicato, Comencini ha scelto la via migliore: lavorare sul simbolico, sui modi in cui i membri delle rispettive etnìe simbolizzano il rapporto col (rispettivo) "diverso". Semplificando, una sorta di diffidenza-attrazione per cui, ad esempio, il maschio bianco imprigiona la donna nera in uno stereotipo erotico, o la bambina nera s'identifica nella bionda Barbie.
La scena più riuscita è quella della festicciola per bambini, tipico non-luogo globalizzato dove i genitori appaltano l'affetto dei figli a clown e strozzapalloncini "professionali": Nadine e Carlo vi si sentono ugualmente estranei, cominciando così ad avvicinarsi l'una all'altro. C'è un problema, però. Preoccupata di non lasciare spazi opachi rispetto all'argomento, la sceneggiatura si sforza di tenere assieme cose difficili da far convivere: oltre al simbolico, un elenco un po' didascalico di situazioni "tipiche" dei rapporti interrazziali che fatica a integrarsi con le ragioni della commedia. Anche a volerci vedere un film "meticcio", che nel caso non guasterebbe, il risultato è abbastanza diseguale.
Altro problema la scelta degli attori: che sono tutti simpatici, tutti piacevoli ma stentano a fare équipe. Ad onta dell'assegno in bianco rilasciatole dal cinema dopo "Saturno contro", Ambra Angiolini è confinata in un ruolo di cui non sembra molto convinta. Quanto a Fabio Volo, altro personaggio televisivo "convertito" al grande schermo, la simpatia non basta a compensare il fatto che tra lui e Aissa Maiga non scatti mai la "chimica" sessuale, soprattutto in una storia imperniata sulla passione.
I momenti più gustosi del film li offre il cast di supporto: con Franco Branciaroli, che non sapevamo così spiritoso, nella parte di un razzista ontologico, quasi candido, incondizionato estimatore delle bellezze dalla pelle nera; Anna Bonaiuto, che fa da par suo il personaggio di Adua, madre-suocera zuppa di pregiudizi; Katia Ricciarelli la quale, proveniente dalla magniloquenza dei palcoscenici d'opera, al cinema recita più vero del vero.
Da La Repubblica, 11 gennaio 2008
di Roberto Nepoti, 11 gennaio 2008