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L'insostenibile leggerezza dell'arte Valutazione 3 stelle su cinque

di gianleo67


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domenica 10 marzo 2013

Philip ed Erik sono due giovani amici che condividono la stessa idea della letteratura e della vita ed ambiscono a pubblicare la loro opera prima. Al primo tentativo Philip ha un immediato successo mentre Erik no e mentre il primo attraverserà una grave crisi creativa che lo porta sull'orlo del suicidio, il secondo troverà la sua giusta misura artistica ed esistenziale nel rapporto con l'amico depresso e con un solitario autore norvegese che li ha ispirati entrambi.
Al suo debutto cinematografico il trentenne autore norvegese Joachim Trier punta sulla fredda ironia di un originale linguaggio registico che scandisce i tempi drammatici, in un flusso ininterrotto di parole (una demiurgica voce narrante) ed immagini, delle esperienze artistiche ed umane di due aspiranti scrittori nella Norvegia dei nostri tempi, registrando il disagio esistenziale di una generazione sempre in bilico tra la banalità degli stereotipi dominanti (maschilismo, anticonformismo, sessismo, controcultura letteraria) e la ricerca di un equilibrio interiore che normalizzi il loro rapporto con l'arte e con la vita.
L'idea di fondo è che l'ispirazione letteraria sia un demone perverso e indomito che agita le coscienze degli uomini e che, se non correttamente governato, puo' condurre facilmente ad una insana instabilità emotiva che è tanto più grave e insostenibile (profonda) quanto più forte e urgente è la qualità di questa ispirazione (l'amico più dotato esaurisce tanto rapidamente la sua ispirazione quanto progredisce stabilmente quella dell'autore più mediocre). La narrazione di Trier persegue la coerenza logica di una struttura letteraria in divenire ove, date le condizioni iniziali (due amici con una passione e volontà comune), si pervenga alle possibili soluzioni di esistenze che deviano da un percorso originario per assecondare le molteplici possibilità di eventi casuali (la vita non è mai come la si immagina, nè tanto meno come la si immagina nei libri). La ripetizione (reprise) evocata dal titolo è quindi sia il riferimento al miraggio (illusione) della riproducibilità di un percorso che tenta di recuperare nella finzione letteraria/cinematografica la singolarità dell'esperienza reale (l'arte che imita la vita) sia una mera registrazione degli eventi nelle forme di un 'cinema verità' che ricorda l'exploit artistico della 'Nouvelle vogue' (una camera mobilissima che insegue i soggetti negli spazi occasionali della loro spontaneità).Particolarmente significativa appare quindi l'ossessione del tormentato protagonista Philip per una sorta di ricostruzione degli eventi di una vita interrotta (o della sua rappresentazione) attraverso un processo di rivisitazione (reprise) delle tappe che l'hanno condotto al suo tragico punto di arresto e da cui non riesce a progredire (come uomo?come personaggio?) fino alla presa di coscienza di una tragica irripetibilità degli eventi (ripetere il viaggio a Parigi con la fidanzata cercando di riprodurre il copione esatto della prima esperienza conduce alla frustrante consapevolezza di un inutile e doloroso dejavù).Parimenti la ripetizione (reprise) delle tappe che avevano condotto lo scrittore Sten Egil Dahl al raggiungimento di una tregua con i propri tormenti artistici condurrà il più mite Erik a trovare il giusto percorso per incanalare il proprio talento letterario lontano da Oslo.
Finale di amaro sarcasmo sulla fatua ribalta letteraria di un mediocre di successo che trova nella televisione (pericoloso mezzo di mistificazione della realtà) la sua cassa di risonaza e drammatico count-down dell'anima narrante verso il punto zero di un nuovo incipit. Ribalta assicurata presso vari Festival del Cinema Indipendente di mezzo mondo, quella di Trier è una voce originale e significativa nel panorama cinematografico dell'ultimo decennio. Insostenibile leggerezza dell'arte.

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