Una macchina, sulle note vibranti del violino, si allontana dalla grande proprietà che, lentamente,
sparisce dietro la curva, sostituita dal paesaggio verde e grigio della campagna belga.
L'ultima scena chiude il cerchio del film, iniziato con la dedica inziale "a nos limites" (ai nostri limiti),
per raccontare come gli oggetti, i possedimenti diventino molto spesso i catalizzatori di battaglie che
nascono prima all'interno, nei cuori.
Pascale è la madre divorziata di Thierry e Francois (Jérémie e Yannik Renier), due gemelli venticinquenni
non ancora emersi dall'adolescenza.
Dopo anni di responsabilità familiari avvertite come un sacrificio, complice l'innamoramento con Jan,
Pascale inzia a progettare di vendere la casa che le è stata lasciata dall'ex-marito Luc e dove sono
cresciuti i suoi figli per aprire un agriturismo.
Da una sensazione di fastidio per quella che può apparire una scelta egoistica della madre, soprattutto
perchè sottolineata dai continui commenti offensivi di Thierry il quale riproduce distortamente gli atteggiamenti
paterni, lentamente si arriva ad apprezzare lo sforzo di Pascale di costruire, attraverso la ricerca della propria
autonomia dalle dinamiche familiari alterate, anche l'indipendenza dei propri figli.
Il conflitto tra Thierry e Pascale, supportata dal più "materno" Francois, nel momento in cui la madre uscirà
fuori dalla scena, diventerà quello del fratello contro il fratello.
Per cose apparentementi minori: la moto presa senza chiedere il permesso, il modo di mangiare, una battuta.
Isabelle Huppert porta in scena una madre sul cui viso traspare stanchezza, mista ad una sorta di rilassetezza emotiva.
Non c'è dialogo tra la madre e i figli: alcuni atteggiamenti ambigui di Pascale anzi la espongono ai commenti sempre più
malevoli di Thierry sulla sua vita sessuale. Ma comunque, con la sua presenza, resta il fragile collante che tiene unita la famiglia.
Il padre Luc, interpretato da Patrick Descamps, una figura fisicamente imponente, è moralmente assente dalla vita dei figli,
eccetto per il sostentamento economico, paletto a cui si aggrappa per le sue rivendicazoni.
Il regista, Joachim Lafosse, resta sobrio e non ingombrante per dare risalto alla narrazione di dinamiche familiari le quali
richiedono sempre uno sforzo di interpretazione profonda: sono quelle catene che tutti conosciamo, un misto di sofferenza
e di interessi personali, dalle quali ci sentiamo legati e dalle quali proviamo a liberarci, con goffi e violenti tentativi, che
sortiscono l'effetto solo di restringerle più forti.
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