Padre e figlio registi insieme dal Caucaso
di Paolo D'Agostini La Repubblica
Le due generazioni georgiane di Temur e Gela Babluani, padre e figlio che hanno co-firmato L'eredità, sono lo specchio dello sconcertante miscuglio tra passato presente e futuro nella repubblica caucasica. Temur porta con sé un bagaglio di tradizioni e spirito ribelle antichi, di mal sopportata sovietizzazione, di ricerca artistica e politica – non indolore – di nuovo corso. Gela, francesizzato, si è affacciato al cinema con la prepotenza scioccante dell'opera prima Tzameti (13), divenuto un caso internazionale dopo il premio veneziano ed ora candidato a un rifacimento americano. Entrambi sanno di cosa parlano quando parlano di violenza.
Tre francesi arrivano a Tbilisi per prendere possesso di un'eredità, ma la loro attenzione è rapidamente dirottata. Fatta subito l'esperienza di un pericoloso equilibrio tra rovina, nuova ricchezza e criminalità, si fanno guidare da un ambiguo interprete che dice di aver rinunciato a lavorare per le organizzazioni umanitarie perché le risorse finivano al mercato nero. A bordo di uno scassato autobus tra le maestose montagne s'imbattono nella strana coppia formata da un nonno e da un nipote che trascinano una bara. Stanno raggiungendo il villaggio di origine dove il vecchio si presterà a un pareggio di conti con il clan rivale. Un'antica faida esige una nuova vittima e l'impenetrabile montanaro va a immolare se stesso. I francesi, sospesi tra orrore e smania di filmare, si mettono in mezzo e le loro presunzioni civilizzatrici peggiorano il bilancio di morte. Terzo frutto in concorso di un controverso cammino verso libertà e democrazia, dopo l'armeno Guediguian e l'altro georgiano Iosseliani, è il migliore.
Da La Repubblica, 17 ottobre 2006
di Paolo D'Agostini, 17 ottobre 2006