La stella che non c'è

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Un film di Gianni Amelio. Con Sergio Castellitto, Ling Tai, Angelo Costabile, Hiu Sun Ha, Catherine Sng, Enrico Vanigiani, Roberto Rossi, Chungqing Xu, Biao Wang, Jian-yun Zhao, Qian-hao Huang, Xiu-feng Luo, Xian-bi Tang, Lin Wang.
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Drammatico, durata 104 min. - Italia 2006. uscita venerdì 8 settembre 2006. MYMONETRO La stella che non c'è * * * - - valutazione media: 3,00 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

In viaggio con l'anima aperta alla ricerca di sé. Valutazione 4 stelle su cinque

di GreatSteven


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martedì 30 maggio 2017

 

LA STELLA CHE NON C'E' (IT/FR/SVIZZ/SING, 2006) diretto da GIANNI AMELIO. Interpretato da SERGIO CASTELLITTO, TAI LING

Un gruppo di industriali cinesi compra un altoforno in Italia presso un'acciaieria che sta per chiudere. Vincenzo Buonavolontà, responsabile della manutenzione della fabbrica, sa che l'altoforno acquistato ha una centralina difettosa e, offrendosi di ripararlo, in un vivace colloquio col responsabile della delegazione cinese, mediato da una giovane interprete, chiede agli industriali tempo affinché il guasto venga riparato. Malgrado le rassicurazioni ricevute, l'équipe straniera riparte in tutta fretta dopo aver smontato l'intero altoforno dalla fabbrica. Vincenzo non può far altro, a questo punto, con la centralina già sostituita e pronta, che partire per Shanghai e concludere laggiù l'affare lasciato in sospeso. Giunto in terra cinese, riceve però una fredda accoglienza da parte del manager che gli dice fra l'altro che la fabbrica è stata venduta e, non conoscendosene i proprietari, manca anche l'indirizzo. Fortuna vuole che Vincenzo rincontri la traduttrice conosciuta in Italia, ripescata per caso in una biblioteca, la quale ha perso il lavoro per colpa sua ma, in cambio di denaro, si offre di accompagnarlo alla ricerca della misteriosa fabbrica. Fra città piovose, navigazioni su fiumi nebbiosi, soste forzate in miniere a cielo aperto e ripide salite architettoniche, Vincenzo e Liu Hua (così si chiama la ragazza) viaggeranno per tutta la nazione e stringeranno un'insperata amicizia che aiuterà entrambi a crescere e a vincere sui dolori del passato. Nel precedente Le chiavi di casa (2004), Amelio, tramite lo spunto di Nati due volte di Giuseppe Pontiggia, aveva raccontato la storia di un amore improbabile ma straordinariamente intenso, fra un padre che non conosce il figlio handicappato e il figlio disabile che è all'oscuro della sua paternità. Qui, con un cambio di rotta doveroso ma che apporta i suoi buoni frutti, e sempre mediante l'origine letteraria (il film è liberamente ispirato a La dismissione di Ermanno Rea), il regista calabrese ritorna sul tema degli affetti difficili, che vengono potenziati dalla distanza fisica e dal bisogno di attraversare luoghi sconosciuti per ottenere obiettivi importanti e riconoscere quanto c'è stato di sbagliato alle spalle e quanto di buono si può fare per recuperare i pezzi persi per strada. A proposito di pezzi, la centralina riparata da Vincenzo funge da incipit per costruire la mirabolante storia di un rapporto amichevole – ben evitata la trappola del sentimentalismo e della deriva romantica – fra un uomo e una giovane donna che non potrebbero essere più diversi fra loro. Lui, operaio riparatore senza moglie né figli, pragmatico, fortemente anti-idealista, volenteroso, generoso e con chiari scopi in testa, e lei, dal canto suo, acculturata, poliglotta, sedotta e abbandonata, appigliata a fragili affetti famigliari e con un futuro che, giorno dopo giorno, le crolla addosso quasi senza speranza di rimonta. La speranza viene però trovata quando i due si incontrano e, una conversazione tradotta, un incontro in biblioteca e un pranzo tipico dopo, la simpatia comincia lentamente a fiorire e fa della sua stessa lentezza il motore che anima l'intera trama. La profondità dei numerosi temi toccati (la solitudine, l'angoscia esistenziale, la burocrazia zoppicante e intralciante, gli amori che deludono e imbestialiscono, il viaggio come mezzo di conoscenza) trova la sua pratica attuazione nei dialoghi molto rarefatti, ma che giungono tutti al momento opportuno, senza un indugio di troppo, e di questo va dato merito alla splendida sceneggiatura che il regista ha scritto insieme a Umberto Contarello. I paesaggi soporiferi e foschi della Cina sono magistralmente accompagnati dai brani musicali originali della violinista Lisa Green (citata nei titoli di coda), che esegue lei stessa col relativo strumento, e dalle lamentose e piacevoli canzoni di Liu Shi Feng (anche lei menzionata a fine film). L'idea di incentrare la trama su due personaggi così forti, di impatto assicurato e fondamentali, non mette però troppo in secondo piano i comprimari, che fanno apparizioni di pochi secondi, ma aiutano a comprendere meglio gli intenti e i sentimenti che animano la coppia protagonista, soprattutto per quel che concerne il background di Liu Hua: il ragazzo aggressivo che la taccia di facili costumi, il bambino da lei partorito e che ora cresce senza madre, la nonna vecchissima che però conserva un rapporto positivo con lei, ma anche riguardo a Buonavolontà (un Castellitto tenuto con grande efficacia sotto le righe e a briglia stretta, capace di una prova molto convincente e sofferta), specie quando incontra il manager che parla italiano e che gli sottolinea l'apparente inutilità della sua trasferta e l'operaio dell'industria che Vincenzo non vedrà mai, che gli mostra di saper montare anche lui la centralina con acciaio tenace e che poi prende il pezzo mancante, salvo buttarlo via in quanto ce ne sono già altri. E che dire del bilinguismo imperante nei dialoghi? Liu dice a Vincenzo che lui sapeva il cinese meglio di lei quand'erano in Italia: il manutentore esprime in cinese solo lo stretto indispensabile per la sopravvivenza fisica, l'italiano è l'idioma adoperato non solo per intendersi con Liu, ma anche e soprattutto per capire la sua anima, i suoi vissuti, la sua sofferenza. In un paese dove nessuno parla la sua lingua, il personaggio principale maschile non si sente comunque uno straniero solitario, perché ha accanto una compagna di viaggio che è dipendente da lui come lui da lei: la relazione è talmente stringente e importante che nessuno dei due può sbarazzarsi dell'altro, neanche dopo che il viaggio fallisce e l'obiettivo prefisso non è stato conseguito. E basta uno scambio di battute su cose apparentemente banali, come una ciambella offerta da lei e da lui respinta, per rinsaldare un legame che travalica le differenze culturali e nazionali per entrare dritto nel cuore. E il cuore, si sa, non è una centralina da rimpiazzare quando non funziona più: è una vastissima industria da riempire con le esperienze fatte, in cui ogni frammento e ogni componente ha la sua insostituibile rilevanza. Premio Pasinetti per Castellitto al 63° Festival di Venezia.

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