Il regista di matrimoni

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Un film di Marco Bellocchio. Con Sergio Castellitto, Donatella Finocchiaro, Sami Frey, Gianni Cavina, Maurizio Donadoni.
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Drammatico, durata 107 min. - Italia 2006. - 01 Distribution uscita venerdì 21 aprile 2006. MYMONETRO Il regista di matrimoni * * * 1/2 - valutazione media: 3,66 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

L'arte del cinema vista con sguardo traslucido. Valutazione 4 stelle su cinque

di GreatSteven


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martedì 9 ottobre 2018

IL REGISTA DI MATRIMONI (IT, 2006) diretto da MARCO BELLOCCHIO. Interpretato da MAURIZIO DONADONI, SERGIO CASTELLITTO, DONATELLA FINOCCHIARO, SAMI FREY, GIANNI CAVINA
Un regista cinquantenne, Franco Elica, si trova in una complicata situazione emotiva perché la figlia ha sposato un fervente cattolico e perché è obbligato controvoglia a girare l’ennesima versione de I promessi sposi. Quando poi sopraggiunge una delle tante attricette cui lui aveva promesso un provino in cambio di favori sessuali senza poi mantenere la parola data, che minaccia di denunciarlo alle autorità per violenza carnale, Franco decide di rifugiarsi in un paese marittimo della Sicilia profonda, dove incontra un uomo che si guadagna il pane quotidiano girando filmini di matrimoni e un suo collega che si spaccia per morto per ottenere finalmente il riconoscimento cinematografico cui aveva sempre ambito. Conosce pure un nobile spiantato, il principe Ferdinando Gravina di Palagonia, che gli propone di realizzare una pellicola sulle nozze di sua figlia Bona. Franco si invaghisce perdutamente dell’affascinante principessa, ne è ricambiato e insieme partono per sottrarre la donna ad un matrimonio di convenienza voluto dal padre. Il finale si può interpretare secondo tre versioni che non si escludono a vicenda: connubio, nubilato, fuga. Il terzetto di possibili epiloghi di un film olistico, che procede per sequenze incompiute e scene non finite, è la sua quintessenza, e dà al cinema italiano, o meglio, al nostro intero immaginario collettivo moderno, troppo banalizzato e televisizzato, un ampio respiro che assurge a toccasana e benedizione. Al centro del cinema di Bellocchio c’è ancora una volta un soggetto femminile, una principessa quasi sposa di cui viene osservata la progressione umana, l’enfasi emotiva e la decisione conclusiva di un sentimento (libero per Elica, costretto per lo sposo) che esiste imprescindibilmente da tutto: famiglia, società, religione. E si trasforma in un tutt’uno reale con la corsa al treno verso un amore probabilmente edonistico, e dunque non riproduttivo, ma alquanto seducente per lo spettatore. Bellocchio riesce, a questa sua 2° collaborazione con Castellitto protagonista, a lasciare confusi, angustiati, zeppi di stupende immagini, desiderosi di cogliere nell’opera quei dettagli così importanti che a una prima visione, essendo il film molto denso di significati reconditi, inevitabilmente sfuggono. Dimostra inoltre un’energia, una generosità, una voglia di rompere gli schemi che rivitalizzano l’esangue cinema italiano degli anni 2000 che già cominciava, come sopra accennato, a rivaleggiare in perdita con la televisione spazzatura. Sospeso fra una realtà tangibile e palpabile e alcuni momenti onirici di indubbio prestigio, Il regista di matrimoni vale per le sue superbe interpretazioni (Castellitto e Finocchiaro su tutti, lui sotto le righe e con pochi ma congegnati scoppi d’ira, lei inibita e sognatrice), per la scenografia (Marco Dentici) che bacia come un velo appena svolazzante i paesaggi siciliani quali ambientazione di un romanzo iniziatico cominciato da adulti che conduce a prese di coscienza ben chiare, per il tranquillo montaggio di Francesca Calvelli che aiuta a valorizzare lo svolgimento lento ma comunque ottimale e coriaceo della storia e per le musiche originali, con consulenza musicale, di Riccardo Giagni, le quali alternano una gaia giocosità ad una malinconica piattezza che insieme compongono una colonna sonora degna di sottolineare con eleganza una vicenda tanto educativa. Interessante anche il personaggio di Orazio Smamma, interpretato da un G. Cavina insolitamente burbero e al tempo stesso filosofo, regista ignorato dalla critica che, solo dopo quando ha inscenato la sua scomparsa, riesce a portare a casa un David di Michelangelo (!), salvo poi ripiombare nella sua soldatesca pazzia da solitario e procurarsi un suicidio autentico. A differenza di lui, Elica riesce a salvarsi perché sa aggrapparsi a piloni più saldi, che includono una contemplazione dell’affetto e il rifiuto di darsi arie da grande artista, quale poi forse non è, ma che sicuramente non gli interessa di essere perché svolge il proprio mestiere quasi con noncuranza, privilegiando il prodotto finito, maltrattando i comprimari e gli aiuti registi e attaccandosi di più a valori maggioritari come la ricerca di un senso nella vita e il bisogno di non sprecare tempo a rincorrere sogni irrealizzabili, per quanto, da quest’ultimo punto di vista, ciò che desidera non stia troppo in basso e ciononostante egli ce la faccia tuttavia ad ottenerlo dopo una strenua lotta. S. Frey (doppiato da Rodolfo Bianchi) gioca il ruolo del principe di Palagonia inscenando un antagonista freddo, manipolatore, cocciuto e perbenista che non è abituato a non vedersi entrare in tasca quel che brama: ecco spiegata la rivalità, tramutata così da un’iniziale seppur tremolante amicizia, fra lui e Franco Elica, la sua ostinata opposizione al corteggiamento che il cineasta propina alla figlia, opposizione basata anche su convinzioni menzognere elaborate dalla sua mente sadica e cospiratrice. La materia narrativa su cui Bellocchio ha messo le mani gli ha consentito di sfornare un capolavoro che riabilita la figura di chi si occupa del suo stesso campo e di chi anela ad un’esistenza non impostagli dalle alte sfere, da un deus ex machina che, a livello tecnico, non esiste, ma muove comunque i fili dei suoi "burattini" (o come vorrebbe chiamarli lui) nella maniera che lo compiace.

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