Gino Bartali, l'intramontabile

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La vita del toscanaccio raccontata con fervore. Valutazione 3 stelle su cinque

di Great Steven


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venerdì 19 dicembre 2014

GINO BARTALI, L’INTRAMONTABILE (IT, 2006) diretto da ALBERTO NEGRIN. Interpretato da PIERFRANCESCO FAVINO, NICOLE GRIMAUDO, SIMONE GANDOLFO, FRANCESCO SALVI, CARLO GIUFFRE’, RODOLFO CORSATO, EDOARDO GABRIELLINI, GIANNA GIACHETTI, VITTORIO AMANDOLA, EDOARDO NATOLI
Questa miniserie televisiva è andata in onda in due puntate il 26 e il 27 marzo 2006 su Rai Uno, ed è stata coprodotta da Rai Fiction in collaborazione con Endemol. Nel 1934 il fiorentino Gino Bartali, appassionato di ciclismo, passa dal dilettantismo al professionismo, e due anni dopo conquista la sua prima vittoria al Giro d’Italia. Nel medesimo anno muore però il fratello minore Giulio, anch’egli ciclista, in un incidente stradale, e Gino pensa seriamente di interrompere la sua carriera agonistica, ripensandoci in un secondo momento. Nel 1939 gli viene affidato come gregario il ventenne Fausto Coppi, che in seguito diventerà il suo maggiore rivale lungo i percorsi delle competizioni su due ruote, il quale lo batte pure, per via di un infortunio improvviso di Gino, al Giro d’Italia 1940. Nello stesso anno, Gino sposa Adriana Bani, ragazza di buona famiglia di cui è innamorato da ben sei anni, la quale lo sosterrà sempre nelle sue corse. Poi scoppia la guerra, che sopraggiunge proprio negli anni migliori di Bartali: il ciclista toscano, durante l’occupazione nazista nella penisola, si adopera per salvare migliaia di ebrei portando fototessere e documenti nascosti nei tubi dei telai della bicicletta, riuscendo a strappare alla morte molti innocenti. Nel 1946 riprende il Giro d’Italia, e qui Bartali sconfigge inaspettatamente Coppi vincendo la kermesse per la terza e ultima volta. Nel 1948 gli telefonano il presidente del Consiglio Alcide De Gasperi e il deputato alla Camera Giulio Andreotti per chiedergli di compiere un’impresa miracolosa: vincere il Tour de France, dal momento che l’attentato a Palmiro Togliatti ha scosso enormemente il clima politico e sociale italiano. Gino ce la fa anche questa volta a non deludere gli spettatori, e vince il suo secondo e ultimo Tour. Gino si ritira dal mondo dello sport nel 1954, dopo un ventennio di professionismo coronato da numerose vittorie e per nulla avaro di successi. Coinvolge nel progetto San Pellegrino, attuato in Burkina Faso, il suo amico ed ex rivale Fausto Coppi, che troverà la morte per malaria al rientro in Italia. Gino Bartali, invece, si spegne nel 2000 a causa di un arresto cardiaco, chiudendo un capitolo sensazionale e memorabile non solo dello sport ma dell’intera vita italiana. Nonostante l’inesistente somiglianza fisica, la carta vincente di questa pellicola televisiva è Favino, il quale s’è pure preparato metodicamente e con un eccellente spirito di abnegazione al ruolo (arrivando a percorrere cinquecento chilometri in bicicletta), e anche l’allenamento dialettale, per riprodurre il fiorentino schietto e verace dell’indimenticato campione di Ponte a Ema, ha dato i suoi frutti. Quanto agli altri interpreti, brilla N. Grimaudo nella parte della paziente e tranquilla moglie del protagonista, che gli dà anche due figli e non manca mai di appoggiarlo in tutto quello che fa, mentre S. Gandolfo è un Fausto Coppi ricco di sfumature e sfaccettature che prende poco a poco coscienza delle proprie potenzialità ma anche di quelle dell’avversario che, con alterna fortuna, saprà sconfiggere ma al quale anche soccomberà in certe occasioni.  F. Salvi e R. Corsato giocano il ruolo rispettivamente di Alfredo Pavesi, manager e organizzatore al servizio di Bartali, e di Alfredo Binda, grandissimo campione del ciclismo fra gli anni 1920 e 1930 che non risulta troppo simpatico a Bartali. Contributi tecnici di qualità: montaggio di Antonio Siciliano, musiche del maestro Ennio Morricone, scenografia di Tonino Zera. Il film non riscontra difetti imperdonabili, se si esclude parzialmente qualche ingolfamento nella parte centrale e un eccesso di amor proprio nelle vittorie di Bartali alle varie sfide ciclistiche, in cui Negrin si lascia un po’ sfuggire di mano la vicenda, che prende una piega celebrativa che sfiora il panegirico indiscriminato. E poi il film è un po’ troppo parlato: qualche momento di silenzio in più non sarebbe guastato, anzi, avrebbe accresciuto la magia della rievocazione esistenziale di un atleta tanto contraddittorio quanto eccezionale. Ma nel complesso l’opera riesce a rendere un’idea molto chiara e nitida del ricordo di un uomo che ha impresso un segno indelebile nei cuori dei suoi connazionali e nella società italica in genere, facendosi ammirare e ammirando lui stesso i propri concorrenti.

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