La pellicola Animanera affronta il tema scottante e quanto mai attuale della pedofilia.
Mania che colpisce Enrico Russo (Antonio Friello), uomo apparentemente normale, il comune vicino di casa, che non solo adesca ed abusa, ma persino uccide le sue piccole vittime. Sulle sue tracce si pongono un magistrato (Domenico Fortunato), un commissario (Luca Ward) ed una psichiatra (Giada Desideri), che indagano procedendo a tentoni, districandosi tra le garanzie processuali giustamente invocate dal giudice, le iniziative a volte disinvolte del poliziotto e le letture magari fondate, ma un po' snobbate, dell'esperta in psichiatria.
Il film riesce nell'intento di mostrare l'ezio-genesi del disturbo del pedofilo, incapace di rimuovere le perversioni del padre che l'hanno segnato nella fanciullezza, ma per la vita. Se così è, allora, il pedofilo non può che ripercorrere con altri, le sue vittime, ad infinitum - a meno che qualcuno riesca a fermarlo - ciò che ha subito lui stesso, sospinto da una sorta di coazione a ripetere per cui l'agente è, nel contempo, aguzzino e vittima. Ma l'operazione ancora più importante che fa il film è quella che sottolinea come il dramma della pedofilia non investa solo pochi soggetti (il bambino, i suoi familiari e il criminale), bensì coinvolga la società intera, in una serie assai più ampia di attori: che dire, per esempio, della moglie che sa del vizio del marito e tace a lungo ? Che pensare dei genitori del bambino che, convinti di fare la loro parte con gratificazioni e gesti meramente materiali, in realtà sono per il piccolo psico-affettivamente latitanti ? E che peso dare alla scuola, sulla cui soglia si ferma sempre il bambino ? Non sa o finge di non sapere i problemi reali della piccola persona, che forse considera mero 'scolaro' ?
Alla fine, tra tutte le performances, si segnala quella di Friello, vero protagonista del film, perchè introspettivamente anatomizzato dalla sceneggiatura, da lui ben recitata. La sua uccisione conclusiva è, paradossalmente, prospettata come una liberazione catartica dai mali di cui era stato vittima e che procurava, a sua volta, ai bimbi.
Rimane, tuttavia, a possibile confutazione dell'assunto una domanda: ma davvero chi è vittima di pedofilia è poi così necessitato, quasi deterministicamente, a fare ad altri quel che egli ha dovuto subire ? O può invece recuperarsi, magari con il concorso di coloro che gli vogliono veramente bene e della parte migliore delle istituzioni sociali ?
La domanda non è secondaria. Perchè dalla risposta fornita - ovviamente caso per caso - dipenderà la soluzione al problema se il pedofilo sia realmente colpevole - ossia libero di autodeterminarsi - o meno.
In fondo è il dilemma posto dallo stesso poliziotto ("è una bestia") e dalla stessa psichiatra ("bisogna capire chi è").
Il dilemma, più generale e di sempre, sulle radici profonde della libertà morale di ogni persona umana.
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