Paolo D'Agostini
La Repubblica
Sulla mia pelle si fonda su due riferimenti. La "legge Gozzini" della semilibertà: avanzata nella concezione, contraddittoria nell'applicazione. E l'esperienza che Valerio Jalongo (della promettente pattuglia uscita dalla Scuola Gaumont di Renzo Rossellini oltre 20 anni fa) ha condotto come operatore di un programma di riabilitazione nel carcere romano di Rebibbia.
Il racconto che il regista ha concepito con Enzo Civitareale, Gualtiero Rosella, Diego De Silva è quello di un uomo cui dopo anni di pena detentiva viene concessa la possibilità di lavorare di giorno fuori per tornare la sera a dormire in cella. Tutto si svolge nell'entroterra agricolo salernitano, a contrasto con le origini padane del protagonista affidato alla "faccia da straniero" di Ivan Franek e al doppiaggio di Fabrizio Gifuni.
Tony, si chiama così, trova lavoro in un allevamento di bufale e azienda casearia che da dimensioni familiari - il vecchio, il figlio Vincenzo Peluso, la nipote Donatella Finocchiaro che con il nuovo venuto stringe un'intesa - è cresciuta fino a consegnarsi, tra pizzo e strozzinaggio, alla camorra. Tony, per difendere la propria possibilità di lavorare e quindi di mantenere il regime di semilibertà, si mette contro la malavita.
La sua condizione di cittadino dimezzato non è dissimile da quella di chi, pur depositario di tutti i diritti civili, vive sotto il tallone dell'usura. L'atto di giustizia finale, paradossalmente, segnerà per Tony il definitivo tramonto di ogni prospettiva di libertà.
Da La Repubblica, 26 giugno 2005
di Paolo D'Agostini, 26 giugno 2005