Paolo D'Agostini
La Repubblica
Attenzione a dire «il regista più vecchio del mondo». Che Manoel de Oliveira, con i 97 anni che compirà in dicembre, sia il decano del cinema mondiale è un fatto. Ma tutti coloro che gli hanno lavorato accanto sono fermi nel dichiarare la loro fede nell'intramontabile modernità e vocazione innovatrice del grande portoghese.
Dice uno di questi testimoni: «Le sue inquadrature sono composizioni ovvie e semplici e, al tempo stesso, inimmaginabili». È insomma lui, più di un'infinità di colleghi che gli potrebbero essere anche pronipoti, a tenere alta la bandiera inventiva della settima arte.
Specchio magico, puntuale capitolo di una produzione ché nella quarta età si è fatta incalzante, rinnova l'incontro con la scrittrice Agustina Bessa-Luis che già più volte si è trovata sulla strada di De Oliveira come fonte d'ispirazione o interlocutrice, a partire da “Francisca”'
(1981).
Qui il regista prende l'avvio dal romanzo L'anima dei ricchi, 2002. secondo libro della trilogia «Il principio dell'incertezza» cui egli stesso aveva già attinto. Anche i ricchi piangono, si potrebbe grossolanamente parafrasare. Appena fuori di prigione dov'è finito per un delitto non commesso Luciano trova impiego pressò una ricca famiglia. Alfreda, la padtona (Leonor Silveira, attrice feticcio del maestro come altri che popolano il cast), ha un solo cruccio: vorrebbe che le apparisse la Vergine Maria. E pensa che sia possibile giacché fidati consiglieri le hanno assicurato che la Madonna era ricca.
Pur di far contenta la signora, con l'aiuto di un amico conosciuto in galera Luciano è pronto a comprare la complicità di una fanciulla di pochi scrupoli per inscenare l'apparizione tanto desiderata. Divagando da par suo - élegantemente, ironicamente, saggiamente, audacemente, senza fretta - intorno a questo spunto per chiunque. altro esile lungo due ore e un quarto di film, il grande vecchio ci parla di grandi ansie contemporanee. Lo smarrimento indotto dai processi di «materializzazione e artificializzazione» (parole sue), il vuoto spirituale, le tensioni religiose e le aspettative di santità.
Dietro la sua lezione e il suo elogio della semplicità, dall'alto di un numero pressoché incalcolabile di opere e di anni consacrati alla riflessione e alla creazione, e di un piglio invidiabilmente energico che non gli impedisce la coscienza del limite e della relatività, troneggia la consapevolezza che «gli artisti non sono creatori ma solo ricreatorj di qualcosa che la vita crea. non sono il cinema o le altre arti che creano la vita, ma il contrario».
Come ha detto, sottovoce nel corso di una conferenza stampa tanto affollata quanto distratta dalla frenetica attesa di George. Clooney.
Da La Repubblica, 2 settembre 2005
di Paolo D'Agostini, 2 settembre 2005