Roberto Nepoti
La Repubblica
A tratti è difficile capire ciò che avviene in Syriana; però — non sembri un paradosso — anziché di un difetto si tratta di un pregio. Perché il film riproduce, anche nella struttura narrativa, l’estrema complessità degli intrighi della globalizzazione, in quel teatro critico del nostro tempo che è il Medioriente. Un po’ come accadeva in Traffic, che fruttò l’Oscar per la sceneggiatura a Stephen Gaghan, le azioni procedono parallelamente, spostandosi di continuo tra luoghi geograficamente lontani (un emirato del Golfo, Washington, Ginevra) e moltiplicando i personaggi:
un agente della Cia prossimo alla pensione, un giovane analista esperto d’energia, un principe riformista che vuole cedere lo sfruttamento dei gas naturali ai cinesi, i dirigenti di un gigantesco trust del petrolio, un avvocato.
Il montaggio alternato di tanti eventi in gioco mira, con ambizione pari al talento, a sintetizzare e a mettere in relazione, in un sol colpo, gli sporchi giochi di potere che coinvolgono multinazionali, servizi segreti, vittime e carnefici, interi popoli. La prova del nove della complessità risiede nel fatto che gli stessi protagonisti stentano a comprendere gli intrighi cui prendono parte: a cominciare da Bob Barnes, l’agente che, dopo un’intera vita spesa per la bandiera a stelle-e-strisce, si rende conto di essere stato sempre sfruttato e ingannato dai suoi capi. E Clooney gli conferisce una nota di amara disillusione da attore di classe che ne fa la vera star del film.
Da La Repubblica, 11 febbraio 2006
di Roberto Nepoti, 11 febbraio 2006