Sin City

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Paolo D'Agostini

La Repubblica

Truccata e leccata in un bianco e nero lustro di pioggia, Sin City è "la città del vizio e del peccato"; la popolano uomini gonfi di muscoli e donne tutte curve e voluttà, che cercano di sopravvivere a un'altra notte. Un universo nero ed estremo il cui sfranto romanticismo, programmatico se mai ce n'è stato uno, ha origine sulle pagine di una graphic-novel di culto: un fumetto per adulti, in altre parole. I personaggi sono tanti. Hartigan, il poliziotto scomodo perché onesto che protegge una ragazzina dai pedofili; Marv, bruto filosofeggiante deciso a vendicare il suo unico amore; Dwight, che difende le prostitute del quartiere da Jackie Boy, agente corrotto, violento e incontrollabile.
Di fronte a questo crogiolo di marginali e perdenti sintetici, Robert Rodriguez si è posto in atteggiamento di rispetto sacrale: affermando di non sognarsi neppure di "adattare" per lo schermo le pagine disegnate dei libri di Frank Miller, ma di volerle trascrivere alla lettera, col massimo di fedeltà possibile (tanto da prendersi Miller come co-regista).
Perché allora Sin City, rigurgitante com'è di star, mitologie popolari, effetti speciali risulta deludente, troppo lungo, un po' noioso? Mettiamola così. Il fumetto, a somiglianza del film (e diversamente dalla pittura, ad esempio), è una forma di racconto diacronica, che si sviluppa nel tempo. Però è anche diverso dal cinema, e profondamente. In un fumetto, la stilizzazione fa parte del gioco: diventa stucchevole nelle inquadrature del film, quando questo riproduce le tavole disegnate con sagome dei personaggi su fondo nero, rende i personaggi invulnerabili alle pallottole o insinua tra il bianco e il nero chiazze di colore, come il sangue o il personaggio del Bastardo Giallo.
Se Rodriguez e Miller si sentono artisti d'avanguardia, la qualità grafica delle immagini non supera quella di uno spot pubblicitario ad alto budget. Ad onta dei duri e delle pupe sexy che ci abitano, il mondo a parte della Sodoma postmoderna manca singolarmente di energia, non eccita come pretenderebbe. Confrontare, per credere, i film di Tarantino, che qui partecipa come "regista ospite" (la sequenza della testa tagliata) diventando, perfino lui, irriconoscibile. Si è anche ventilato che Sin City potesse vincere la Palma d'oro a Cannes; e il film, presentandosi in concorso, aveva posto la sua candidatura. Fosse andata così (con "L'enfant" ha trionfato una concezione di cinema agli antipodi), si sarebbe trattato davvero di una mutazione epocale. Sventata, fortunatamente: ma per quanto ancora?
Da La Repubblica, 2 giugno 2005


di Paolo D'Agostini, 2 giugno 2005

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