Sin City

Lietta Tornabuoni

Le società si chiamano Wild Bunch (Mucchio selvaggio), Troublemaker. Due guardano dalla terrazza nella notte la città in bianco e nero, infiammata dal rosso dell'abito da sera di lei. Lui è in smoking. Si tengono vicini,una coppia elegante sempre più sensualmente accostata. «Siete la donna ideale», dice lui. «Sono stanca di essere sola», dice lei. Lui la stringe e la uccide colpendola alle spalle: «Incasserò l'assegno domani», dice. Questa è la prima scena, le altre sono più dure: testicoli strappati via a un ometto giallo, una bambina di undici anni rapita e tormentata con crudeltà lubrica, testa più volte sommersa nel gabinetto sino all'affogamento, sedia elettrica, mani, braccia mutilate, un decapitato il cui capo seguita a chiacchierare, gambe tagliate e divorate da un cane lupo, un'auto scoperta rossa lunga come un treno, una stanza con le teste di cinque donne carine appese alla parete come trofei di caccia (l'assassino antropofago ne ha mangiato i corpi), risatacce sgangherate come nei film messicani, botte da orbi. [...]

di Lietta Tornabuoni, articolo completo (3292 caratteri spazi inclusi) su La Stampa 19 maggio 2005