Uno dei migliori fra i molti film che ho visto sull'argomento.
La fotografia naturalmente è uno dei fattori che contribuiscono all'atmosfera nel passaggio dal colore a un bianco e nero che contribuisce a rendere meno crude certe scene ma nello stesso tempo sottolinea lo stato d'animo dei detenuti e degli spettatori man mano che la vicenda si dipana.
E' uno dei rari film in cui si insiste sul ripetersi delle giornate sempre uguali scandite dalla sveglia, dalla magra colazione e dal lavoro , dall'ammassarsi alla fine nelle baracche dove il sonno non è riposo : questo, a mio parere, a differenza di tante altre pellicole rende l'idea della “ banalità del male “: l'orrore, il sopruso diventano routine. Indimenticabile la scena in cui il protagonista, dopo essere caduto per il peso del sacco che gli era stato messo sulle esili spalle, si rialza e porge la schiena con le braccia pronte a ricevere il peso insostenibile ma.... da sostenere per continuare a vivere.
Debbo ammettere che in vari momenti mi sono commossa proprio per la linearità e la semplicità con cui gli avvenimenti vengono descritti e per come la narrazione venga affidata in gran parte alle espressioni dei volti.
E' anche uno dei pochi film che insiste sulla disumanità degli “ appelli “ che si protraevano al gelo per ore, a volte per tutta la notte con l'unico scopo di infierire ulteriormente sui detenuti e di provocarne la morte per assideramento. ( Il timore di questi appelli è sempre descritto dai sopravvissuti nei loro libri ma raramente rappresentato)
Ed ecco allora un'altra scena magistrale :i prigionieri visti dall'alto che dondolano a ritmi differenti per cercare di restare i piedi sperando che il tempo passi il più velocemente possibile mentre uno di essi, ormai impazzito gesticola in modo inconsulto.
Un'altra particolarità è il soffermarsi sull' atteggiamento dei due schieramenti contrapposti di chi ha contribuito alla liberazione del campo.
L'americano sa che il destino che attende il protagonista non sarà facile : l'Ungheria entrerà a far parte del URSS e anche i Russi non son mai stati teneri con gli ebrei.
Gyuri decide di tornare in patria accompagnato da un russo che ostenta un falso entusiasmo per la libertà riacquistata dai sopravvissuti ma che non riesce a strappare nemmeno un sorriso a persone tanto provate riportandole“ allegramente” alle loro vite precedenti che però non saranno mai più le stesse. E' come se il protagonista capisse che, comunque vadano le cose è stato crudelmente giocato dal destino, che poi, afferma, è composto da tante piccole scelte inconsapevoli, e diffida anche del futuro. Terribile la risposta : “ provo soltanto odio”.
Grazie alla sua giovane età probabilmente riuscirà a costruirsi la vita che avrebbe voluto ma quanta mestizia nei suoi pensieri mentre si allontana in controluce dalla piazza un tempo familiare... Nessun sopravvissuto può dimenticare di esser stato senza destino
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