Rischio a due

Se il sogno americano è una partita di football

Costretto a lasciare il football dopo un brutto incidente sul campo, il giovane Brandon fa pronostici sulle partite. E ci azzecca parecchio; tanto che il veterano Walter lo chiama a lavorare per lui. Interpretato da Al Pacino in una delle sue parti favorite di uomo carismatico e manipolativo, Walter ha costruito le proprie fortune su un'attività singolare: non accetta scommesse, ma vende "consigli" e incamera soldi dai bookmaker. Lo fa anche attraverso un canale satellitare di cui Brandon, ribattezzato John Anthony, "l'uomo da un milione di dollari", diventa la star.
Baciato dalla fortuna, il neo-imbonitore comincia a sentirsi infallibile; mentre il suo mentore si rivela malato di cuore e altre complicazioni (l'adulterio, i tirapiedi di un tipaccio del "giro") intervengono a movimentare la faccenda.
Però Rischio a due non è un thriller, né un film d'azione. La sua novità - e il suo interesse - consiste nel proporsi come un film sul Sogno Americano osservato nell'ottica delle dipendenze: dipendenza dal gioco, dal bisogno di "tornare in gioco", dall'ossessione di vincere e dal senso di onnipotenza che infetta chi si abitua troppo a farlo.
Anche i rapporti tra Walter e Brandon (cui si aggiunge Toni, la moglie del primo, ex tossicodipendente e ora più consapevole di entrambi gli uomini) sono un complesso gioco di dipendenza, competizione e debolezza insieme.
Metafora di una concezione della vita, il football diventa una religione laica con i suoi devoti e i suoi celebranti; ma soprattutto, esercita una fascinazione malata su individui incerti e influenzabili, rivendendo loro l'invadente illusione americana della "seconda possibilità".
La parabola si trasforma in moralità, e assume un atteggiamento didascalico, allorché il giovanotto deve decidere in quale mondo vivere. Passare l'esistenza stressato come Walter, ex-giocatore ed ex-bevitore a rischio cardiaco, per dimostrare di essere il migliore in ogni momento? O scegliere, piuttosto, una vita più autoconsapevole e libera dalle dipendenze, rinunciando all'ebbrezza del successo? Non sarà svelare un segreto dire che, qui, si fa strada la parabola di "redenzione". Se la tematica di fondo è individuata con una lucidità apprezzabile per un film di "studio", le (buone) intenzioni dimostrative si smarriscono spesso in un surplus di parole, e talvolta di chiacchiere. Migliore rispetto alle sciape commedie sentimentali cui si presta di solito, Matthew McConaughey conferisce al personaggio una certa energia fisica. Inesorabilmente bravo (e un po' gigione) Pacino, in un character tagliatogli addosso come un abito di alta sartoria.
Da La Repubblica, 29 aprile 2006


di Roberto Nepoti, 29 aprile 2006