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Opera dello stesso regista del famoso “Suicide club”, puo’ essere per certi versi considerato un suo prequel (narrando alcuni fatti antecedenti il celebre suicidio collettivo che costituisce l’inizio di quel film) ma, nonostante certi espliciti legami con quella pellicola (tra cui qualche scena del suo cruento incipit, inserita all’interno di questa) e’ un film completamente diverso sia nella forma che nella sostanza ed anche, almeno a mio parere, un’opera assai piu’ organica e riuscita. Mentre “Suicide club” era un thriller-horror geniale (almeno nella sua prima meta’) ma alquanto eterogeneo e discontinuo, questo e’ un sensazionale dramma psicologico (con ben pochi elementi del thriller e nessuno del genere horror) ed e’ un film molto piu’ coeso e coerente. A questo riguardo non posso non rilevare come sia del tutto depistante la locandina “gore” del film, che fa presagire contenuti del tutto diversi da quelli ai quali e’ improntato il 95 % di esso: ci si aspetta un thriller sanguinoso ed invece si assistera’ a una commedia drammatica, nella quale c’e’ molto massacro psicologico, ma ben poca violenza fisica. Attraverso la storia di una famiglia, apparentemente normale, che viene devastata dalla fuga improvvisa delle due figlie adolescenti, il regista affronta con spietata lucidita’ e anche con una certa dose di cinica ironia l’argomento della crisi della famiglia, minata dagli egoismi incrociati dei suoi componenti e da mancanza di dialogo e vera empatia, dal distratto autoritarismo dei genitori e dalla rancorosa frustrazione dei figli: problemi e veleni che la trasformano da quel luogo di affetti e reciproca comprensione che dovrebbe essere e che tutti vorrebbero fosse in un silenzioso campo di battaglia di individualita’ distanti e conflittuali. Le sole famiglie che funzionano sono quelle che non esistono realmente: quelle sempre allegre e felici degli spot pubblicitari, quelle che immaginiamo nei nostri sogni e, realta’ tutta e solo giapponese, quelle che si possono “affittare” a pagamento per un breve periodo di tempo, assumendo attori che recitino il ruolo di membri di una perfetta famiglia felice. Pochi altri film a mia memoria hanno affrontato lo stesso tema con tanta intensita’, spregiudicatezza e potenza di immagini. Ben calibrata (e assai meno stridente che in altri film asiatici) la mescolanza di commozione, disperazione, ironia e comicita’. Davvero toccanti alcune scene (soprattutto quella di coinvolgimento emotivo della protagonista in una situazione di paternita’ simulata che le ricorda il rapporto col suo vero padre), veramente umoristiche e divertenti altre. Memorabile, fra esse, il colpo di scena dello svelamento della prosaica realta’ (di recita su commissione) che si cela dietro la apparentemente perfetta famiglia dell’amica della protagonista. Ottime regia, sceneggiatura e recitazione, che riescono a mantenere sempre ben viva l’attenzione dello spettatore nonostante la notevole lunghezza della pellicola (oltre due ore e mezza). Peccato solo che il finale sia inferiore al resto del film, inutilmente sanguinoso e piuttosto contraddittorio, surreale ed improbabile. Cio’ non toglie che il film resti un ottimo film, coraggioso e provocatorio come solo i giapponesi sanno farne.
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