nick castle
|
sabato 26 febbraio 2011
|
sempre peggio...
|
|
|
|
Sempre peggio per Haneke. Thriller appassionante? Da cosa ha estrappolato la passione di questo film Francesca Felletti? Dalla peggiore interpretazione di Juliette Binoche? Dall'inadeguatezza di Daniel Auteuill? Dall'esilissima storia? Dalla lentezza morente della narrazzione? Dov'è la passione? Il fulcro del film, le cassette con le registrazioni spia, è dimenticata man mano che il film scorre, facendo finta di niente, come se fossero mai esistite. Come si può giudicare bene un film che si dimentica dell'elemento chiave con cui è nato? Come può essere un thriller appassionante se non si vede mai lo stalker? Non c'è investigazione, questo film non è niente.
[+]
Sempre peggio per Haneke. Thriller appassionante? Da cosa ha estrappolato la passione di questo film Francesca Felletti? Dalla peggiore interpretazione di Juliette Binoche? Dall'inadeguatezza di Daniel Auteuill? Dall'esilissima storia? Dalla lentezza morente della narrazzione? Dov'è la passione? Il fulcro del film, le cassette con le registrazioni spia, è dimenticata man mano che il film scorre, facendo finta di niente, come se fossero mai esistite. Come si può giudicare bene un film che si dimentica dell'elemento chiave con cui è nato? Come può essere un thriller appassionante se non si vede mai lo stalker? Non c'è investigazione, questo film non è niente. Non è da me, ma a questo preferisco American Pie (Mi pentirò di quello che ho detto!). In più la rozzezza degli effetti speciali è terrificante più quanto Haneke avrebbe voluto con la sua storia, intendo la scena del taglio dell'arteria carotidea, in cui il sangue digitale schizza in stile Liquidator...
[-]
[+] il senso del film
(di beppe baiocchi)
[ - ] il senso del film
[+] american pie
(di brando fioravanti)
[ - ] american pie
[+] ...per scoprire il meglio
(di amd68)
[ - ] ...per scoprire il meglio
[+] ragazzi
(di nickcastle91)
[ - ] ragazzi
|
|
[+] lascia un commento a nick castle »
[ - ] lascia un commento a nick castle »
|
|
d'accordo? |
|
paolo apa
|
sabato 29 ottobre 2005
|
capolavoro
|
|
|
|
L’opera di Michael Haneke è un manuale di: Sociologia della cornice. Ogni “frame” un particolare da guardare ed osservare attentamente, bisogna essere svegli per gustare questo capolavoro. A nessuno è permesso vivere senza sensi di colpa e tutti sono chiamati al recupero dell’umanità perduta.
Nell’ultimo lavoro di Abraham B. Yehoshua “Il responsabile delle risorse umane” Einaudi, si legge: “Anche le piccole colpe possono avere un potere terribile”
|
|
[+] lascia un commento a paolo apa »
[ - ] lascia un commento a paolo apa »
|
|
d'accordo? |
|
alberto86
|
venerdì 10 febbraio 2006
|
il film più enigmatico dell'anno
|
|
|
|
Penso che alquanto meritevole d'attenzione sia questo film dell'austriaco Michael Haneke,già regista del controverso"La pianista" e vincitore,con questa pellicola,del premio per la miglior regia all'ultimo festival di Cannes.Questo film,il cui titolo originale"Cachè"ritengo sia davvero azzeccato(al contrario di quello italiano),è un'opera anomala,criptica,sconcertante e forse anche irritante.Ad Haneke non interessa il thriller,che rimane soltanto un puro pretesto,ma la sua è piuttosto una riflessione freddissima,lucida ed amara sul voyeurismo,sugli scheletri nell'armadio di ogni comune famiglia borghese,sul passato che sempre ritorna...Il regista si mostra interessato a scolpire l'incerta e dilaniata psicologia dei suoi personaggi,i loro profondi timori scatenati da oscure ma non del tutto sconosciute minacce,la loro crisi esistenziale e familiare.
[+]
Penso che alquanto meritevole d'attenzione sia questo film dell'austriaco Michael Haneke,già regista del controverso"La pianista" e vincitore,con questa pellicola,del premio per la miglior regia all'ultimo festival di Cannes.Questo film,il cui titolo originale"Cachè"ritengo sia davvero azzeccato(al contrario di quello italiano),è un'opera anomala,criptica,sconcertante e forse anche irritante.Ad Haneke non interessa il thriller,che rimane soltanto un puro pretesto,ma la sua è piuttosto una riflessione freddissima,lucida ed amara sul voyeurismo,sugli scheletri nell'armadio di ogni comune famiglia borghese,sul passato che sempre ritorna...Il regista si mostra interessato a scolpire l'incerta e dilaniata psicologia dei suoi personaggi,i loro profondi timori scatenati da oscure ma non del tutto sconosciute minacce,la loro crisi esistenziale e familiare...Poca importanza hanno invece la vicenda e soprattutto il suo epilogo,che è lasciato azzardatamente aperto ed irrisolto.D'altronde Haneke lancia pungenti ed inquietanti interrogativi senza però concedere al suo spettatore la ben che minima risposta.Traccia un percorso che non si sa dove vada a finire e,quando sembra che tutti i tasselli della vicenda siano ormai al loro posto e che ormai si debba giungere alla scoperta della bruciante verità,ecco comparire i fatidici titoli di coda.Delusione?Rabbia?Può darsi ma è anche vero che Haneke ci insegna che di verità non ce n'è una sola,anzi...forse non ce n'è nessuna(e questo è ancor più inquietante).Ed è per questo che una vicenda così potrebbe concludersi in centinaia di modi diversi,ma non è compito del regista assegnarle una fine:essa è in ognuno di noi,a seconda del nostro modo di concepire la vita."Cachè"è forse uno dei film più strani e misteriosi degli ultimi anni;forse un enigmatico esercizio di stile,forse uno disvelamento delle ipocrisie borghesi,ma di certo un film che non potrebbe mai essere realizzato da un regista hollywoodiano,perchè di essenza totalmente europea.Un'opera che pur nella sua glacialità,nella sua lentezza e nella sua irritante irrisolutezza non lascia indifferenti,nel bene o nel male.Un peccato che l'Academy Awards l'abbia scartato perchè considerato troppo"francese"per essere un film austriaco perchè forse,visto i non eccelsi candidati a miglior film straniero di quest'anno,una statuetta se la sarebbe potuta meritare.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a alberto86 »
[ - ] lascia un commento a alberto86 »
|
|
d'accordo? |
|
darko
|
domenica 16 ottobre 2005
|
l'universo morboso della colpa
|
|
|
|
CACHE’, che significa “nascosto”, anche se il titolo che è stato poi dato alla versione italiana è NIENTE DA NASCONDERE (ossia una battuta che recita verso la fine Auteuil), è un’aspra metafora cinematografica in chiave introspettiva riguardante la negazione di responsabilità dei francesi nei confronti del trattamento dittatoriale degli algerini nel loro passato coloniale e quello attuale degli immigrati. Il tutto magistralmente ed elegantemente camuffato da film per metà noir e per metà thriller in pieno stile francese. Partendo da uno spunto molto simile a quello di Strade Perdute di Lynch, dove all’inizio del film la ricca coppia parigina visiona sul televisore di casa una misteriosa videocassetta che riprende la loro vita privata (e ne riceverà altre allegate a strani disegni infantili di bambini e polli sgozzati), il film procede molto adagio e in modo dannatamente insidioso lungo un percorso di eventi pieni di mistero, dolore e angoscia e si spegne in maniera molto realisticamente semi-irrisolta su una “sensazione” crepuscolare, dinnanzi alla quale si apre sempre di più il baratro e dove comunque la vita continua a resistere, a scorrere come un flusso incandescente di sangue che macchia e si spande inarrestabile sulle pareti fintamente linde e gelide dell’esistenza.
[+]
CACHE’, che significa “nascosto”, anche se il titolo che è stato poi dato alla versione italiana è NIENTE DA NASCONDERE (ossia una battuta che recita verso la fine Auteuil), è un’aspra metafora cinematografica in chiave introspettiva riguardante la negazione di responsabilità dei francesi nei confronti del trattamento dittatoriale degli algerini nel loro passato coloniale e quello attuale degli immigrati. Il tutto magistralmente ed elegantemente camuffato da film per metà noir e per metà thriller in pieno stile francese. Partendo da uno spunto molto simile a quello di Strade Perdute di Lynch, dove all’inizio del film la ricca coppia parigina visiona sul televisore di casa una misteriosa videocassetta che riprende la loro vita privata (e ne riceverà altre allegate a strani disegni infantili di bambini e polli sgozzati), il film procede molto adagio e in modo dannatamente insidioso lungo un percorso di eventi pieni di mistero, dolore e angoscia e si spegne in maniera molto realisticamente semi-irrisolta su una “sensazione” crepuscolare, dinnanzi alla quale si apre sempre di più il baratro e dove comunque la vita continua a resistere, a scorrere come un flusso incandescente di sangue che macchia e si spande inarrestabile sulle pareti fintamente linde e gelide dell’esistenza. Senza stare a svelare troppo la trama del film, possiamo dire che stavolta Michael Haneke, già fattosi conoscere con un film altamente provocatorio e di classe come La Pianista, affonda ancora meglio i denti in tutto quello che ci può essere di marcio nella Francia intellettual-borghese e lo fa in modo ancora più crudele di Chabrol, con un tocco decisamente magistrale e inedito, più internazionale di quanto siano stati suoi film precedenti. La famiglia Laurent (un nome che potrebbe essere inteso come altra ispirazione da Lynch in Strade perdute) ha una vita tranquilla e tutto sommato piacevole, piena di cene, dibattiti culturali e si rivela pressoche indifferente al mondo esteriore. Questo però troverà modo di introdursi con violenza nella loro vita privata proprio tramite le videocassette che ricevono e che percepiscono naturalmente come minaccia. Georges Laurent, interpretato da Daniel Auteuil (già bravissimo ne L’Avversario), anche se appare come un personaggio mite e per niente risoluto, è in realtà un carnefice con poco senso di colpa e desideroso di farla franca con la semplice negazione – egli trascinerà così tutta la famiglia in una vicenda mostruosa dalla quale crediamo molto difficile la ripresa senza danni, come invece succede per magia in molti film americani e non solo. Noi non possiamo sapere come andranno le cose, dato che il film si conclude su una sospensione. Lo stesso Haneke dice che è ridicolo pensare che una persona possa farsi un’idea delle realtà semplicemente guardando un film e questo messaggio si coglie pienamente nel finale criptico dove tutto, quando ormai il peggio sembrerebbe passato, viene rimesso in discussione, ma per nulla esplicitato, lasciando allibito lo spettatore, unico testimone capace di osservare la vicenda senza parteggiare per nessuno dato che l’innocenza non è nemmeno dei più giovani e tutti hanno sempre qualcosa da tener nascosto… Cast formidabile, in testa a tutti Juliette Binoche che nonostante interpreti un ruolo secondario recupera stile dopo la parentesi commerciale e zuccherosa di Chocolat, il film di Haneke è fotografato dallo stesso Christian Berger de La Pianista e si conclude con toni particolarmente cupi e densi; a sottolineare il realismo della vicenda la quasi assenza di colonna sonora musicale. Tenendo conto che ormai è parte integrante di qualsiasi opera cinematografica il trailer che passa in tv, la bande annonce (come lo chiamano i francesi) è totalmente fuorviante e lo fa sembrare quasi un thriller che verte su sviluppi fantastici-paranormali. Un film che ti rimane dentro anche molto dopo l’uscita dal buio della sala, sconsigliato a chi è debole di stomaco e soffre di nervi.
[-]
[+] dubbio
(di giog21)
[ - ] dubbio
|
|
[+] lascia un commento a darko »
[ - ] lascia un commento a darko »
|
|
d'accordo? |
|
alessandro pesce
|
martedì 25 ottobre 2005
|
i cadaveri nell'armadio dell'occidente
|
|
|
|
In una scena del film l'intellettuale George , già stressato e nervoso a causa di alcune videocassette, telefonate e macabre cartoline che gli pervengono, attraversa molto avventatamente la strada e quasi viene investito da un ragazzo nero che con troppa esuberanza pedala sulla sua bici. George lo aggredisce in maniera esagerata, dando la colpa soltanto al ragazzo anzichè al suo stato psichico.
Sembra una scena avulsa dal contesto ma racchiude il senso del film: la borghesia è malata, i suoi incubi derivano dai propri sensi di colpa, dai dèmoni del passato e dalle colpe personali e sociali e invece tende a imputare la sua crisi e soprattutto le sue paure al nuovo, al diverso da sè. E così anche l'Occidente invece di interrogarsi su sè stesso se la prende col terzo Mondo o con le civiltà che non comprende.
[+]
In una scena del film l'intellettuale George , già stressato e nervoso a causa di alcune videocassette, telefonate e macabre cartoline che gli pervengono, attraversa molto avventatamente la strada e quasi viene investito da un ragazzo nero che con troppa esuberanza pedala sulla sua bici. George lo aggredisce in maniera esagerata, dando la colpa soltanto al ragazzo anzichè al suo stato psichico.
Sembra una scena avulsa dal contesto ma racchiude il senso del film: la borghesia è malata, i suoi incubi derivano dai propri sensi di colpa, dai dèmoni del passato e dalle colpe personali e sociali e invece tende a imputare la sua crisi e soprattutto le sue paure al nuovo, al diverso da sè. E così anche l'Occidente invece di interrogarsi su sè stesso se la prende col terzo Mondo o con le civiltà che non comprende.Aggiungiamoci i sensi di colpa della Francia nei riguradi dell'algeria...
Per fortuna il film di Haneke è molto meno schematico di questa mia presentazione, come al solito il regista austriaco affonda la lama nelle ferite dell'animo, esamina al microscopio la psiche umana ma non esprime tesi assolute e stavolta evita anche i compiacimenti morbosi presenti nella PIANISTA.
Inoltre la lettura socio politica non è l'unica possibile, c'è anche quella metacinematografica, con echi alla Lynch.. insomma un film a più strati, molto affascinante.
[-]
[+] sì ma...
(di pabla)
[ - ] sì ma...
|
|
[+] lascia un commento a alessandro pesce »
[ - ] lascia un commento a alessandro pesce »
|
|
d'accordo? |
|
anonimo
|
sabato 29 ottobre 2005
|
tutto cachè, anche la storia.
|
|
|
|
Magistrale nella tecnica del piano sequenza coincidente con lo spazio temporale della scena che immerge lo spettatore nella visione delle famigerate cassette, il film si appiattisce su di un ritmo lentissimo, spiazzando lo spettaore per le due scene insanguinate (fate che il gallo sia falso perché altrimenti Haneke è un povero coglione) e nulla più.
E' una bella comodità far credere di analizzare le dinamiche di una coppia senza in realtà farlo, ed è altrettanto comodo suggerire soltanto e lasciare lo spettatore in balia dei marosi a farsi domande sul ruolo dei vari giocatori: mentono tutti, sono tutti scemi?
Dialoghi esasperanti con domande ovvie mai poste e risposte fuori registro.
Tecnicamente a tratti superbo, globalmente deludente.
[+]
Magistrale nella tecnica del piano sequenza coincidente con lo spazio temporale della scena che immerge lo spettatore nella visione delle famigerate cassette, il film si appiattisce su di un ritmo lentissimo, spiazzando lo spettaore per le due scene insanguinate (fate che il gallo sia falso perché altrimenti Haneke è un povero coglione) e nulla più.
E' una bella comodità far credere di analizzare le dinamiche di una coppia senza in realtà farlo, ed è altrettanto comodo suggerire soltanto e lasciare lo spettatore in balia dei marosi a farsi domande sul ruolo dei vari giocatori: mentono tutti, sono tutti scemi?
Dialoghi esasperanti con domande ovvie mai poste e risposte fuori registro.
Tecnicamente a tratti superbo, globalmente deludente.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a anonimo »
[ - ] lascia un commento a anonimo »
|
|
d'accordo? |
|
|
mercoledì 6 marzo 2013
|
e niente da sapere...
|
|
|
|
Infatti non c'è niente da sapere, da spiegare, da giudicare. Il finale di questo bellissimo lavoro di Haneke può lasciare delusi e forse sconcertati, ma a mente fredda lo si apprezza in pieno. Georges ritrova il sonno e la tranquillità dopo che quel fatto sgradevole, ricomparso dopo quarant'anni e ingigantito oltre misura, è tornato a turbargli vita e atmosfera famigliare. Dall'inizio: la sigla è già un'innovazione non indifferente e lo spettatore viene subito "solleticato". Una coppia colta, affermata e benestante, Georges e Anne Laurent (Daniel Auteuil e Juliette Binoche), conducono un'esistenza agiata e ricca di soddisfazioni professionali. Hanno una casa tranquilla, arredata con ottimo gusto, i libri sono parte integrante di una parete.
[+]
Infatti non c'è niente da sapere, da spiegare, da giudicare. Il finale di questo bellissimo lavoro di Haneke può lasciare delusi e forse sconcertati, ma a mente fredda lo si apprezza in pieno. Georges ritrova il sonno e la tranquillità dopo che quel fatto sgradevole, ricomparso dopo quarant'anni e ingigantito oltre misura, è tornato a turbargli vita e atmosfera famigliare. Dall'inizio: la sigla è già un'innovazione non indifferente e lo spettatore viene subito "solleticato". Una coppia colta, affermata e benestante, Georges e Anne Laurent (Daniel Auteuil e Juliette Binoche), conducono un'esistenza agiata e ricca di soddisfazioni professionali. Hanno una casa tranquilla, arredata con ottimo gusto, i libri sono parte integrante di una parete. Lui guida una berlina BMW. Vengono turbati da una videocassetta che ritrae l'ingresso di casa loro e relativi spostamenti di persone intorno ad essa. Chi la manda? Perchè? A quale scopo? Si recano dunque alla Polizia. Il litigio con il giovane in bicicletta fuori dal Commissariato la dice lunga sullo stato emotivo di Georges, che si sente vittima di una persecuzione. La seconda videocassetta è il punto di svolta della vicenda: si vede la casa rurale dove Georges ha trascorso l'infanzia, e insieme ai macabri disegni "naif" allegati comincia così a ricordare qualcosa che aveva rimosso. Vengono messi al corrente, loro malgrado, alcuni amici intimi della coppia che rimangono sbalorditi dal fatto che la Polizia non può intervenire perchè - "Non è successo niente di concreto" -. Entra in scena ora Majid (Maurice Bénichou), il bambino che negli anni '60 doveva essere adottato dalla famiglia di Georges e poi... non se ne fece più nulla. Dapprima Georges tiene Anne all'oscuro di questo "segreto", triste ed ingombrante, e va a trovare Majid grazie agli indizi forniti dalla cassetta. Un incontro inquietante, Georges aggressivo e minaccioso e Majid, al contrario, sereno e indifeso. Anne è molto risentita per essere stata esclusa, ma poi Georges le spiega (quasi tutto...) quell'antipatico fatto successo quarant'anni prima. Fatto del quale lui non si sente responsabile, odiava Majid da piccolo e lo odia adesso. Oltretutto Majid si dichiara estraneo ai fatti. La sequenza in salotto tra i due coniugi è davvero unica, Auteuil è straordinario quando ammette di avere fatto "la spia" per fare allontanare Majid. Resta calmo nonostante Anne lo incalzi senza pietà: - "E poi? E dopo? Hai fatto la spia? Tutto qua? In che modo hai fatto la spia? Perchè non me lo vuoi dire?" -. Rivelatore è l'incontro con il produttore televisivo dove Georges scopre che le cassette sono giunte anche a terze persone, con il chiaro intento di rovinargli la carriera. Agghiacciante la scena del suicidio di Majid, con la scia di sangue che si proietta sulla parete e Georges pietrificato, incredulo e sconvolto ma tuttavia "freddo" in una tale circostanza, tanto che rientra a casa, manda via gli amici e informa semplicemente Anne di quanto è successo. La scena finale è risolutrice. Georges rincasa presto a va a letto dopo avere avvisato di lasciarlo dormire, dimostrando una volta in più che lui non si è mai sentito responsabile di quell'azione attuata verso Majid quando aveva sei anni. Daniel Auteuil recita in modo magistrale, è convincente in un film claustrofobico, "chiuso" tra la via sempre inquadrata dal misterioso "osservatore" e i pochi spostamenti in città, e Juliette Binoche non è da meno. - di "Joss" -
[-]
|
|
[+] lascia un commento a »
[ - ] lascia un commento a »
|
|
d'accordo? |
|
andrea redace
|
lunedì 21 novembre 2005
|
niente da nascondere. e da cercare.
|
|
|
|
Ambientato a Parigi, il film del regista austriaco Michael Haneke - 62 anni - racconta con ritmo bradipico ma tensione crotalica la vicenda di George, un conduttore di programmi culturali alla televisione francese e della sua famiglia in seguito ad una serie di velate minacce, inviate sotto forma di videocassette dall'inquadratura fissa dell'ingresso di casa sua e disegni, tracciati da mano infantile, che riportano a ricordi provenienti da un passato dimenticato. La vicenda lascerà fuoriuscire un aspetto inedito, e fino allora ignoto persino ai due personaggi principali, del rapporto di fiducia e stima che li unisce e che unisce loro alla cerchia di amicizie e conoscenze comuni....
Interpretato magistralmente da Danie Auteuill, dal suo impermeabile beige e da una bravissima Juliette Binoche, il film nutre la voglia di sapere, il desiderio di scoprire quale sia la colpa del protagonista nei confonti del presunto sospetto (un algerino a cui il personaggio di Auteuill è legato da una vicenda avvenuta negli anni dell'infanzia), per poi lasciarlo a digiuno di qualsiasi spiegazione.
[+]
Ambientato a Parigi, il film del regista austriaco Michael Haneke - 62 anni - racconta con ritmo bradipico ma tensione crotalica la vicenda di George, un conduttore di programmi culturali alla televisione francese e della sua famiglia in seguito ad una serie di velate minacce, inviate sotto forma di videocassette dall'inquadratura fissa dell'ingresso di casa sua e disegni, tracciati da mano infantile, che riportano a ricordi provenienti da un passato dimenticato. La vicenda lascerà fuoriuscire un aspetto inedito, e fino allora ignoto persino ai due personaggi principali, del rapporto di fiducia e stima che li unisce e che unisce loro alla cerchia di amicizie e conoscenze comuni....
Interpretato magistralmente da Danie Auteuill, dal suo impermeabile beige e da una bravissima Juliette Binoche, il film nutre la voglia di sapere, il desiderio di scoprire quale sia la colpa del protagonista nei confonti del presunto sospetto (un algerino a cui il personaggio di Auteuill è legato da una vicenda avvenuta negli anni dell'infanzia), per poi lasciarlo a digiuno di qualsiasi spiegazione.
Insomma: è proprio il caso di dire che la messa in scena della banalità può anche correre il rischio di apparire interessante ,se interpretata da grandi attori, tuttavia alla fine rimarrà sempre quella cosa che è se mancante di una ragione che la giustifichi.
Sarebbe come correre per miglia e miglia, lasciando intendere di avere un'ideale per cui farlo (vedi Forrest Gump) e poi ad un certo punto annunciare che la corsa è finita e ci si può tranquillamente girare e tornare a casa che tanto non c'è nessuna ragione per proseguire.
[-]
[+] e se...
(di anonimo)
[ - ] e se...
[+] e se...
(di alobar)
[ - ] e se...
[+] no
(di nathanael)
[ - ] no
|
|
[+] lascia un commento a andrea redace »
[ - ] lascia un commento a andrea redace »
|
|
d'accordo? |
|
conte di bismantova
|
giovedì 1 febbraio 2007
|
noi e loro
|
|
|
|
Il muro dell'incomunicabilità e dell'incomprensione fra due mondi, quello del francese e dell'algerino quest'ultimo vittima del primo - durante l'infanzia - che gli ha negato una vita agiata facendolo espellere dalla famiglia in cui era stato adottato - la propria - convincendo i genitori con una menzogna nata dall'invidia e dal timore che l'amore della madre non fosse tutto per se'. Può un bambino essere condannato di una cattiveria simile? Si può rinfacciare dopo tanti anni un accaduto remoto che - seppur condizionante un'intera vita - nacque da un dispetto infantile? Tutto questo può anche essere paragonato alla situazione politica e sociale della francia - e del mondo di oggi: l'incomunicabilità fra diverse culture che nasce da violenze antiche ma forse troppo in fretta sepolte da un "non ho colpa io se è così".
[+]
Il muro dell'incomunicabilità e dell'incomprensione fra due mondi, quello del francese e dell'algerino quest'ultimo vittima del primo - durante l'infanzia - che gli ha negato una vita agiata facendolo espellere dalla famiglia in cui era stato adottato - la propria - convincendo i genitori con una menzogna nata dall'invidia e dal timore che l'amore della madre non fosse tutto per se'. Può un bambino essere condannato di una cattiveria simile? Si può rinfacciare dopo tanti anni un accaduto remoto che - seppur condizionante un'intera vita - nacque da un dispetto infantile? Tutto questo può anche essere paragonato alla situazione politica e sociale della francia - e del mondo di oggi: l'incomunicabilità fra diverse culture che nasce da violenze antiche ma forse troppo in fretta sepolte da un "non ho colpa io se è così".. Credo che questo film, in mezzo alle solite tematiche cinematografiche presentate di continuo sul grande schermo e già spesso viste e riviste, sia un bagno di efferata novità. Un film che non giudica, che ti avvolge in una crisi introspettiva crescente di fronte alla quale non sai che parte prendere. Il finale muto, coi "loro figli" mescolati dinnanzi alla scuola coi "nostri figli" ci mostra l'angosciosa soluzione fatale. E' questo secondo me un grande film, che consiglio a tutti gli appassionati del bel cinema.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a conte di bismantova »
[ - ] lascia un commento a conte di bismantova »
|
|
d'accordo? |
|
theophilus
|
lunedì 9 dicembre 2013
|
questo sì che è un thriller.
|
|
|
|
CACHÉ
Il primo commento che c'è venuto spontaneo alla bocca al termine di Caché, premiato a Cannes 2005 per la regia, è che Michael Haneke è un sadico. Ma un sadico con le idee chiare e che sa giocare bene con le paure del pubblico. Un sadico, però, che non ha neppure pietà di se stesso, poiché riteniamo che in questo caso il classico processo d’identificazione vada innanzitutto dai personaggi e dalla vita verso il regista. Caché è un thriller come lo intendiamo noi, non truculento (c’è una sola – magistrale – scena di sangue che lascia letteralmente senza fiato), non esteriormente violento, ma che ha in sé e inietta goccia a goccia un continuo filo d’angoscia, come una flebo.
[+]
CACHÉ
Il primo commento che c'è venuto spontaneo alla bocca al termine di Caché, premiato a Cannes 2005 per la regia, è che Michael Haneke è un sadico. Ma un sadico con le idee chiare e che sa giocare bene con le paure del pubblico. Un sadico, però, che non ha neppure pietà di se stesso, poiché riteniamo che in questo caso il classico processo d’identificazione vada innanzitutto dai personaggi e dalla vita verso il regista. Caché è un thriller come lo intendiamo noi, non truculento (c’è una sola – magistrale – scena di sangue che lascia letteralmente senza fiato), non esteriormente violento, ma che ha in sé e inietta goccia a goccia un continuo filo d’angoscia, come una flebo. Non consente una scappatoia rassicurante grazie al mostrarci qualcosa di terrificante ma del tutto avulsa da un contesto normale, bensì dà luogo ad una inevitabile immedesimazione con personaggi facilmente riconoscibili che si trovano a vivere situazioni che li destabilizzano, ma poco a poco, in maniera ben dosata e in cui la norma si fa ancora più paurosa, perché, in quanto tale, ti riguarda per forza. Alla fine si è presi da un meccanismo che si fonda sull’ansia dell’incognito, su qualcosa d’invisibile che è fuori o dentro di te e ti minaccia senza che tu possa rendertene conto. È come la vita d'oggi, che avvertiamo – noi del versante nord-occidentale del globo - appesa ad un filo perché il nostro benessere è minacciato soprattutto dalla paura di perderlo.
È l’uomo (il regista) a guardarsi dentro in questo film, senza chiarire nulla a chi lo osserva e senza potersi offrire alcuna garanzia, giacché non ha sicurezze su cui poggiare.
Il regista e il pubblico si specchiano, dunque, nel protagonista maschile. George (chi meglio di Daniel Auteuil poteva interpretare questa parte?), è un uomo apparentemente calmo e tranquillo che viene insidiato da se stesso. Il regista lo guarda e gioca a rimpiattino con lui e George forse non ne è al corrente (ci chiediamo, con questo, se Auteil e Juliette Binoche, che interpreta la parte della moglie Anne, fossero del tutto a conoscenza dei ruoli che svolgevano all’interno del film e della manipolazione a cui il regista può averli assoggettati).
In effetti, abbiamo sospettato quasi da subito che il mittente anonimo delle videocassette che turba l’esistenza fin lì – c’immaginiamo, ma non ne siamo certi – relativamente serena di una famiglia della medio alta borghesia parigina, fosse il regista stesso. Solo lui può spiare la vita dei protagonisti e insidiarne il tran tran quotidiano, perché solo lui può trasporre le immagini incriminate dalla pellicola con la quale gira il film alle videocassette riprodotte attraverso il televisore. Quando, finalmente, George confessa ad Anne di credere di sapere chi sia il colpevole, implicitamente dichiara se stesso colpevole, ora negando ora addossandosi una primigenia responsabilità che, ad ogni modo, il pubblico non avrà mai i mezzi di appurare con certezza, navigando nel territorio difficilmente percorribile del subconscio.
Alla fine del film, la chiara sensazione che molti dubbi non siano stati chiariti permarrà. Ma noi siamo altrettanto convinti che questo sia esattamente lo scopo del regista, se non, addirittura, la sua aperta ammissione di non potere sciogliere alcuno degli enigmi proposti, perché sono i suoi stessi enigmi, il simbolo della paura di esistere che ci accomuna. C’è una densa schermaglia nel linguaggio, una tensione che è sempre in agguato per accumulo di cose nascoste o da nascondere, dette o non dette, di colpe o mancate ammissioni di colpa, fino al sentirsi colpevoli senza essere certi di esserlo.
Avevamo, dapprima, anche pensato ad una sostanziale identità fra il cineasta e l’occhio del grande fratello di Orwell, o, addirittura, l’occhio di Dio, ma queste ci sono sembrate immediatamente soluzioni troppo facili e accomodanti per un regista che ha sempre proposto storie molto dure e di ardua decifrazione. Quel qualcuno che spia la tua vita e i tuoi incontri con altre persone altro non è che un guardarsi dal di fuori, un proiettarsi fuori da se stesso per esaminarsi in modo meno compiacente e assolutorio.
Se Caché è titolo che gioca a nascondino con l’emotività del pubblico, la traduzione italiana Niente da nascondere sottolinea invece l’autodifesa del protagonista nei momenti in cui tenta di farsi fuori dai sensi di colpa. Egli cela alla moglie un episodio della propria infanzia e questo c’è parso un espediente usato dal regista come esca per creare tensioni e verso cui convogliare il bisogno del pubblico di trovare una spiegazione. Ma non ci si riuscirà mai nel film e quell’infilarsi nudo di George sotto le coperte, nascosto dal buio della sua stanza, ci ha rivelato una sostanziale dicotomia, una lacerazione del protagonista (di Michael Haneke), che ha bisogno di indagare e di essere indagato sulla propria colpevolezza/innocenza: ma né lui, né altri potrà venirne a capo.
Importante, ancora, è lo sguardo implacabile sul comportamento che George e la moglie tengono col figlio. Freddi, quasi glaciali nella loro meticolosa incapacità di avere una reazione emotiva violenta nel momento in cui il figlio scompare, i due sono perfetta espressione del cliché buonistico e rassicurante che trionfa nella nostra società, quando si accodano alla logica del senso di colpa nel momento del suo ritorno, la mattina dopo. È la madre che chiede scusa al figlio di appena 12 anni, perché ne ha paura, è incapace di difendersi da lui e ha bisogno di credere di aver sbagliato, per poter poi avere l’alibi che esista per lei un rimedio, una redenzione. Il figlio, che, invece, necessiterebbe di essere aggredito, a quel punto sfugge disgustato l’abbraccio materno.
La scena finale, la cinepresa piazzata davanti alla scuola, può adombrare ogni tipo di scenario e scatenare le domande più oscure alle quali, siamo certi, il pubblico non vorrà nemmeno provarsi a rispondere.
Enzo Vignoli,
16 ottobre 2005.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a theophilus »
[ - ] lascia un commento a theophilus »
|
|
d'accordo? |
|
|