Munich

Acquista su Ibs.it   Soundtrack Munich   Dvd Munich   Blu-Ray Munich  
Un film di Steven Spielberg. Con Moritz Bleibtreu, Eric Bana, Mathieu Kassovitz, Geoffrey Rush, Bijan Daneshmand.
continua»
Titolo originale Munich. Drammatico, durata 164 min. - USA 2005. uscita venerdì 27 gennaio 2006. MYMONETRO Munich * * * - - valutazione media: 3,43 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Un film sul "padre" Valutazione 0 stelle su cinque

di Michele Capitani


Feedback: 100
giovedì 26 maggio 2011

Questo è un film sul padre.
Chi pensa che questo sia un film politico, o sul conflitto arabo-israeliano, o sul terrorismo, o peggio sull'antisemitismo, o una spy-story, non ha capito quasi nulla, e comunque si perde il meglio: diciamo che sarebbe come leggere "Il nome della rosa" seguendo solo l'aspetto giallo delle vicende, o guardare "Schindler's list" preoccupandosi unicamente delle sorti imprenditoriali di Oskar; spero di rendere l'idea... Difatti, questo è un film sul padre: sull'esigenza di averne uno, e sul diventarlo. A guardarle così, tutto sommato le tante sequenze di bombe, sangue e intrighi sono giusto drammatici intermezzi, seppure appassionanti e sostanziosi, e narrativamente ben variati, di un discorso però parecchio più profondo e ricco di rimandi alla memoria e, appunto, al senso della paternità.

Il protagonista è Avner Kaufmann (Eric Bana, convincente), giovane israeliano, sorta di "primus inter pares" di un commando ufficialmente inesistente anche per il Mossad (vi compare, tra gli altri, un accigliato Daniel Craig/Steve), incaricato di uccidere gli attentatori palestinesi di "Settembre nero" del famoso blitz alle Olimpiadi di Monaco del 1972. Egli non ha avuto mai dei genitori come li intendiamo solitamente: in uno dei primi dialoghi con la moglie (Ayelet Zurer), lei gli ricorda che lui è stato abbandonato: "Sei stato messo in un kibbutz: Israele per te è tua madre". Insomma, genitori che rinunciano all'averlo come figlio, tanto che concretamente il nuovo stato di Israele con le sue istituzioni, i suoi ideali e il suo bisogno di sopravvivenza, gli ha fatto da padre (ben raffigurato da Golda Meir/Lynn Cohen, virago comandante su altri uomini). Ma lui è anche un "senza-padri" essendolo tutta la sua generazione, la prima dopo Auschwitz, perciò il fulcro simbolico di tutto il film mi sembra quel dialogo ad Atene col palestinese: Avner è un senza padre che difende la patria come tale, l'altro è un senza patria che però sa che questa verrà conquistata dai suoi figli, dato che lui stesso è padre e ne ha avuto uno a sua volta. Gli Ebrei sono un popolo senza padre in quanto scampati alla Shoah (non ancora così remota come inizia ad apparire oggi), i Palestinesi sono gli esiliati per eccellenza dalla patria.

Insomma, tutte paternità ambite ma rimpiante, violentate e monche, deficitarie, se non soppresse, e comunque insufficienti per fondare la propria identità: un padre lo si deve pretendere anche a costo, a quanto pare, di massacrare altri che hanno la stessa esigenza, e un'efficace raffigurazione di ciò è anche nel rapporto coi due informatori francesi: il "papà" preferisce Avner al proprio figlio reale Louis; ecco la lotta per il padre: sarà infatti quest'ultimo ad informare i nemici del protagonista, non il "papà" che invece, fino alla fine del film, rassicurerà Avner sulla propria protezione.

Entrambe dalla stessa radice, le parole "padre" e "patria" le considero qui, volutamente, l'uno metafora dell'altra e viceversa, visto che entrambe sono per un uomo la radice di se stesso, la provenienza in cui stare, anche materialmente: "Avete una patria in cui lottare, ecco perché voi comunisti europei non potete capire la nostra lotta" gli dice il guerrigliero palestinese ad Atene, ovviamente non sapendo la vera identità dell'interlocutore. Anzi, splendido che in quel dialogo centrale l'identità del palestinese sia esplicita, quella dell'israeliano no.

Il distacco dal padre/patria in Avner si verifica quando capisce che il suo padre altro non sa fare che richiedergli morte, e se ne accorge quando gli viene il dubbio che le vittime non fossero strettamente legate a quell'attentato, e che in fondo tutto l'odio nasce nei Palestinesi per rivendicare il loro diritto alla patria, per quanto sassosa e inospitale.

Come si esce dunque da tutto questo? In due maniere: la prima la intuisce l'artificiere del commando, Robert/Mathieu Kassovitz (il dialogo al binario): capisce che tramite la prevaricazione e il massacro reciproco del suo popolo con l'altro, gli Ebrei si stanno allontanando dal valore fondante della loro identità profonda che è Dio, "il" Padre per eccellenza. Uscire dalla logica della distruzione e dalla spirale infinita di botte e risposte (i Palestinesi uccisi vengono rimpiazzati subito da altri ancor più feroci, e questi danno a loro volta la caccia ad Avner e compagni) vuol dire allora tornare a quel Padre/identità, anche prescindendo dalla patria geografica, come poi farà il protagonista. La seconda maniera è infatti quella di Avner: se l'identità non si ottiene nemmeno adempiendo ai massacri richiesti dalla patria, padri allora si deve diventare: per lui, che verso la fine si trasferirà a New York, solo la famiglia conterà d'ora in poi, cioè sarà lui padre, e la sua identità sarà di padre e marito, un'identità legittimata dalla logica degli affetti, non della distruzione. Nella sequenza in cui ripensa al massacro all'aeroporto di Monaco, proprio mentre fa l'amore con la moglie, la feconda per la seconda volta: proprio nell'incubo di quelle morti (atleti e terroristi) che aveva generato la sua missione ad uccidere, rigenera la terra nuova in cui ora abita, e insieme la terra nuova, effettiva e simbolica, che è il ventre di sua moglie (dunque tutt'altro che una caduta spielberghiana nel sentimentalismo, come pure è stato detto in sede autorevole!).

Nella patria non più sua invece non tornerà, dato che i suoi figli (e figli di un padre certo, e non conteso da nessuno!) ne creano una in terra vergine, che non deve più subire la faida eterna di due fratelli, che si sono scordati di essere fratelli, e che non ci sanno convivere.

Solo un film tanto ebreo (regia, sceneggiatura, cast, ambientazione) poteva parlarci del "padre" con questo spessore; solo "The believer" potrebbe superarlo in profondità; magari ci torneremo prossimamente.

[+] lascia un commento a michele capitani »
Sei d'accordo con la recensione di Michele Capitani?

Sì, sono d'accordo No, non sono d'accordo
77%
No
23%
Scrivi la tua recensione
Leggi i commenti del pubblico
Munich | Indice

Recensioni & Opinionisti Premi
Multimedia Shop & Showtime
Premio Oscar (5)
Golden Globes (3)
Critics Choice Award (2)
AFI Awards (1)


Articoli & News
Immagini
1 | 2 |
Scheda | Cast | News | Trailer | Poster | Foto | Frasi | Rassegna Stampa | Pubblico | Forum | Shop |
prossimamente al cinema Film al cinema Novità in dvd Film in tv
Altri prossimamente » Altri film al cinema » Altri film in dvd » Altri film in tv »
home | cinema | database | film | uscite | dvd | tv | box office | prossimamente | colonne sonore | Accedi | trailer | TROVASTREAMING |
Copyright© 2000 - 2024 MYmovies® // Mo-Net All rights reserved. P.IVA: 05056400483 - Licenza Siae n. 2792/I/2742 - credits | contatti | redazione@mymovies.it
Normativa sulla privacy | Termini e condizioni d'uso
pubblicità