Manderlay

Roberto Nepoti

Secondo episodio della trilogia politica di Von Trier, che si concluderà con Washington. Grace (Bryce Dallas Howard, al posto della Kidman) lascia Dogville col padre e i suoi gangster. In Alabama s'imbattono in Manderlay, decrepita proprietà-prigione dove la schiavitù non è stata abolita. Grace decide di portarvi la democrazia.
Tutto, più o meno, funziona come in Dogville. Von Trier ne riprende il dispositivo, un palcoscenico teatrale con indicazioni sommarie degli elementi scenici, fondo nero, niente pareti. La zelante Grace impone ai suoi protetti i sacri riti della partecipazione collettiva. Ma gli ex-schiavi, spaventati dalle responsabilità, rimpiangono i tempi della servitù e si ribellano. Indignata e delusa, la ragazza finisce per usare gli stessi metodi degli schiavisti.
Evidente che, pur ambientando nell'America anni 30, il regista allude a quella odierna, usa a imporre la democrazia con la violenza; nel frattempo, stigmatizza le degenerazioni del volontariato. Più anarchico che mai, Lars ribalta tutte le convinzioni della fanciulla, che in gran parte coincidono con le nostre: lui pensa che ogni rivoluzione compia un percorso ciclico, riportando la società a uno stato ontologico.
C'è chi ha apprezzato il prototipo, ma trova Manderlay troppo simile a quello. In tutt'altro genere, sarebbe come dire che del Signore degli anelli ti piace solo la prima parte, perché le seguenti si ripetono.
Da La Repubblica, 28 ottobre 2005


di Roberto Nepoti, 28 ottobre 2005