Natalia Aspesi
La Repubblica
Il regista e il film più esotici della 62esima Mostra del Cinema non vengono dalla Corea o dalla Cina, ma dalla Francia: lui è Philippe Garrel. che con i suoi lunghi ricciuti capelli grigi e lo sguardo languido è l’immagine impolverata di un tempo che sembra non essere mai esistito. il suo film è Les amants reguliers, e in tanti si era pronti a piantarlo li a metà, non tanto per i suoi 178 minuti quanto perché a chi gliene importa più del sepolto, dimenticato, antidiluviano ’68 vìsto da uno che l’ha vissuto, soprattutto dopo The Dreamers di Bernardo Bertolucci? In più Garrel è un regista fuori moda, perché era ed è rimasto povero in un epoca in cui la povertà, tanto temuta, è segno di fallimento.
Il suo film è costato meno dl uno spot, un milione e mezzo dl euro, e per risparmiare all’osso ha anche preso come attori il padre Maunce e il figlio Louis (bello, protagonista di Dreamers) a paga da elemosina. Il suo linguaggio nelle interviste pare antico come il sanscrìto: parla di classe operaia, di borghesia, di rivoluzione come se, arrivato ventenne allo storico Maggio parigino, li si fosse installato tra pavé disselciato e cariche della polizia, rifiutando di guardare oltre la sua giovinezza, il mondo che cambiava, invecchiava, regrediva.
Garrel è uno dei casi tipici del cinema: quello di un regista che, girando sempre film sublimi, osannati anche se pesantemente francesi, maestro di rigorose pellicole di idee e d’amore, quasi nessuno sa chi sia, quasi nessuno ha visto i suoi lavori, se non in raffinati cineclub o da noi in televisione, trasmessi poco prima dell’alba, e neppure doppiati. Eppure il pubblico è rimasto di sale, incantato: bianco e
nero, visi innocenti di giovinezza dei rivoluzionari illusi, del poeti libertari che sognavano di non diventare mai famosi, barricate in strada e hashish in casa, amour fou e morte, in un lungo racconto nostalgico di tempi che malgrado tutto erano belli e vivi, e che agli scoraggiati giovani spettatori di oggi paiono favole. Si sa che ai festiva! del cinema si accumula di tutto, anche alla rinfusa, perché, come nei supermercati, è l’abbondanza della merce (non sempre di qualità) che conta.
da La repubblica, 4 settembre 2005
di Natalia Aspesi, 4 settembre 2005