La seconda notte di nozze

Paolo D'Agostini

Tutti e tre i film italiani scelti per concorrere al Leone d’oro sono tratti da romanzi italiani contemporanei. Due su tre sono tratti da romanzi degli stessi registi che poi li hanno trasformati in film. Fra i tre è La seconda notte di nozze di PupiAvati (film e libro: edito da Mondadori) il più misterioso. Quello di cui si sa meno, quello sul quale l’autore è rimasto sinora più abbottonato. Attivissimo a quasi 67 anni e al trentesimo titolo della sua carriera, il regista emiliano proviene dalle realizzazioni (e dalle soddisfazioni) ravvicinate di Quando arrivano le ragazze?, recentissimo, La rivincita di Natale, rivisitazione a diciassette anni di distanza del suo Regalo di Natale che offrì a Diego Abatantuono un importante rilancio “serio”, Il cuore altrove, che ha segnato la scoperta cinematografica di Neri Marcorè. Una certa propensione al distinguersi e all’appartarsi dalle grandi famiglie del cinema italiano (da quella della commedia satirica a quella, sua coetanea, della generazione nouvelle vague), il perseguire una poetica delle piccole cose e delle radici provinciali, e infine il gusto di scegliere interpreti non prevedibili o perché “scoperte” o perché impiegati in una chiave nuova, per poi assimilarli spesso al proprio “clan”: ecco tre caratteristiche della personalità e del cinema di Avati.
La seconda notte di nozze ci riporta alle settimane immediatamente successive alla fine della guerra, primavera ‘45. Nino (Marcorè) è un giovanotto che si dà da fare senza troppi scrupoli e ai margini, o decisamente fuori, della legalità. Sua madre Liliana (Katia Ricciarelli: ecco un ulteriore esempio di quel gusto di cui si diceva nel comporre imprevedibilmente i cast) è una piacente vedova angustiata dall’indigenza di quei giorni difficili non meno che dalle scapestratezze del figlio. Senza più nulla da perdere e in modo quanto mai avventuroso i due lasciano Bologna per avviarsi verso sud, per raggiungere in Puglia la famiglia del marito e padre morto.
Qui, tra la diffidenza e anzi l’ostilità generale, troveranno il conforto di un’anima semplice che li accoglierà.. E Giordano (Antonio Mbanese), possidente, segnato da una qualche tara che lo rende impacciato e infantile, generosamente e coraggiosamente dedito alla bonifica dei campi mutati, da sempre perdutamente innamorato della cognata Liliana, sposa di suo fratello. Così nel romanzo che però, a quanto (pochissimo) è dato sapere, l’autore ha fedelmente ripercorso. Nuova, per Avati che ha spesso prediletto la familiarità di ambientazioni vicine alla sua biografia, da Bologna all’Appennino emiliano, l’incursione nel profondo Mezzogiorno d’Italia. Il tamtam prefestivaliero preannuncia un Avati particolarmente in forma.
Da La Repubblica, 30 agosto 2005


di Paolo D'Agostini, 30 agosto 2005